2021 11 03 Accusate di convertire...
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PAKISTAN - Sialkot: cristiano accusato di blasfemia attende il processo da 2 anni
Stephen Masih, mentalmente disabile, non è stato ritenuto idoneo a sostenere il procedimento giudiziario dal Punjab Institute of Mental Health. Era stato arrestato a marzo 2019 dopo una discussione con la vicina.
Gli attivisti per i diritti umani del Pakistan hanno chiesto al governo di rilasciare Stephen Masih, cristiano originario del distretto di Sialkot e detenuto da oltre due anni in attesa di processo per blasfemia. Masih, che è mentalmente disabile, non è stato ritenuto idoneo a sostenere il procedimento giudiziario dal Punjab Institute of Mental Health. Secondo la Jubilee Campaign, finora si sono tenute 42 udienze in tribunale e in nessun caso sono emerse delle prove contro Masih.
Il cristiano era stato arrestato a marzo 2019 dopo una discussione con una vicina in cui aveva utilizzato un linguaggio offensivo. Il giorno dopo il marito della donna, un religioso musulmano di nome Hafiz Muhammad Mudassar, aveva radunato una folla e picchiato Masih e la famiglia dopo averlo accusato di blasfemia. La polizia del Punjab, anziché arrestare gli aggressori, ha stilato un primo rapporto informativo contro Masih per blasfemia.
Voice of Justice, un’organizzazione umanitaria che ha sostenuto il rilascio dell’uomo cristiano, ha affermato che sussistono serie preoccupazioni per la sua vita in carcere. Le persone accusate di blasfemia di solito vengono tenute separate perché corrono il rischio di venire uccise e in più a Masih non è stata fornita un’adeguata assistenza medica.
“Stephen Masih soffre da tempo di una condizione di salute mentale che gli impedisce di capire e pensare correttamente, e solo per questo dovrebbe essere assolto”, ha dichiarato Joseph Jansen, fondatore di Voice for Justice. “In più la vita in carcere per un cristiano è più difficile: sappiamo che i musulmani lo molestano e lo maltrattano”.
La sorella Alia sostiene che Masih aveva utilizzato un linguaggio offensivo durante il litigio con i vicini, ma non aveva fatto nulla di blasfemo, e ha esortato le autorità a rilasciarlo.
Sialkot (AsiaNews 02/11/2021 di Shafique Khokhar)
NEPAL - Katmandú, due suore coreane in carcere con l’accusa di operare conversioni
Le due religiose gestiscono un centro che fornisce alloggio, cibo, istruzione, servizi medici ai bambini poveri di Pokhara. Sono detenute dal 14 settembre e si attende l’udienza per la scarcerazione su cauzione. Il vicario apostolico del Nepal: “Fatto gravissimo che rivela l’intolleranza verso la Chiesa e le comunità minoritarie”.
Due suore missionarie coreane della congregazione di San Paolo di Chartres sono state fermate in Nepal lo scorso 14 settembre e si trovano tuttora agli arresti. Le accuse mosse alle religiose Gemma Lucia Kim e Martha Park sono di proselitismo e attività di conversione.
Le due suore sono state arrestate nella loro missione di Pokhara, a 200 chilometri da Katmandú, dove dirigono un centro di formazione per i bambini poveri della baraccopoli. Fino al 27 settembre sono rimaste sotto custodia per essere poi tradotte alla prigione del distretto. La Chiesa locale ha avanzato una richiesta di libertà su cauzione ma finora l’esame di questa istanza è stato sempre rinviato a causa delle festività indù: la speranza è che l’udienza possa finalmente tenersi domani.
A difesa delle due religiose è intervenuto mons. Paul Simick, vicario apostolico del Nepal che, in un comunicato diffuso da Aiuto alla Chiesa che soffre, ha espresso la sua apprensione per la vicenda: “Le accuse di conversione sono del tutto infondate e ingiuste. Quanto sta avvenendo rivela non solo l’intolleranza verso le nostre missionarie, ma anche una totale ignoranza verso le necessità dei più poveri”. Il lavoro delle due suore in Nepal è sempre stato a favore degli ultimi e con un occhio alle ingiustizie della società, come sottolinea mons. Simick: “Hanno dedicato anni della loro vita ai poveri e ai bisognosi: come Chiesa esigiamo un’indagine dettagliata di quanto avvenuto”.
A preoccupare soprattutto sono le condizioni di salute delle suore, entrambe anziane, che potrebbero peggiorare nel corso della detenzione. “La comunità cattolica vede questo avvenimento come un attacco alle comunità minoritarie e un intento di criminalizzare le attività missionarie - ha dichiarato il vicario apostolico del Nepal -. Le iniziative delle suore, come i servizi sociali, l’educazione e l’attenzione medica, vengono viste come un’esca per la conversione”.
La Chiesa locale si augura che giunga presto la scarcerazione su cauzione e che le due sorelle possano tornare ad occuparsi della comunità Happy Home, un centro che fornisce alloggio, cibo, istruzione, servizi medici e formazione professionale a circa 120 bambini delle baraccopoli di Pokhara. Durante la pandemia di Covid-19, hanno distribuito generi alimentari alle persone povere del distretto.
Il Nepal è un Paese dove le piccole comunità cristiane mostrano oggi una crescente vitalità. Tuttavia, l’ostilità da parte di una frangia dei radicali indù sta rendendo complicato il processo di evangelizzazione e sta facendo aumentare le accuse di conversioni forzate verso i cristiani.
(AsiaNews27/10/2021)
INDIA - La violenza sui cristiani, “flagrante violazione della Costituzione”
Le aggressioni a danno dei fedeli cristiani indiani sono chiare e flagranti violazioni della Costituzione, e come tali vanno perseguite e fermate: lo affermano sacerdoti, religiosi, promotori dei diritti umani nella società indiana, all’indomani della pubblicazione del Rapporto, curato da un gruppo di organizzazioni cristiane, che segnala nel 2021 più di 300 episodi di violenza contro i cristiani in India. Il documento, inviato a Fides, è redatto da Ong come “United Against Hate”, “Association for Protection of Civil Rights” e “United Christian Forum” e altre.
“Quanto sta accadendo ai cristiani in India non è una novità. Accade con spaventosa regolarità negli Stati governati dal Bharatiya Janata Party (BJP) da più di 20 anni”, commenta all’Agenzia Fides p. Cedric Prakash, studioso gesuita e scrittore, attivo nella difesa e promozione dei diritti umani. “Tuttavia, dal 2014 gli elementi legati all’ideologia ‘Hindutva’ (che propugna un nazionalismo religioso indù) hanno portato avanti la loro agenda con violenze e propaganda di odio contro le minoranze religiose, come cristiani e musulmani, godendo di maggiore impunità”, spiega. “Anche i leader più intransigenti indù si nascondono dietro l’immunità, dicendo: noi siamo i capi; nessuno può toccarci, non ci accadrà nulla”, afferma padre Prakash.
“Aggressioni e minacce sono aumentati drasticamente. Questo è totalmente contro la Costituzione, l’ethos democratico e il tessuto pluralistico del Paese. Il popolo indiano deve alzarsi per fermare immediatamente questo fanatismo prima che sia troppo tardi”, dice.
Secondo il rapporto intitolato “Cristiani sotto attacco in India”, pubblicato il 21 ottobre scorso, in tre stati del nord dell’India, come Uttar Pradesh, Uttarakhand, Haryana e Delhi, si segnalano la maggior parte degli attacchi contro i cristiani.
“I timori e i sospetti sui cristiani che convertono gli indù sono del tutto infondati. Brutali attacchi hanno avuto luogo in 21 stati.
Più di 49 denunce sono state registrate nelle stazioni di polizia, ma non è stata intrapresa alcuna azione, nota il testo. Dall’inchiesta realizzata, emerge che la maggior parte delle violenze sono avvenuti contro i cristiani che appartengono ai Dalit e alle comunità tribali. Gli autori delle aggressioni sono gruppi nazionalisti indù che incolpano i cristiani di convertire gli indù tramite lusinghe, tramite il denaro o altre forme di aiuto. L’accusa è totalmente negata dai cristiani: come sottolinea Minakshi Singh, Segretario generale del gruppo “Unity in Christ”, ente Protestante con sede a Delhi, che ha contribuito al Rapporto, “questo non è affatto vero, infatti non c’è stato alcun cambiamento significativo nella percentuale della popolazione cristiana, anzi, il suo numero si sta riducendo”, rileva.
Padre Ajaya Kumar Singh, sacerdote cattolico, avvocato e difensore dei diritti umani, afferma a Fides: “La libertà di religione o di credo è un diritto fondamentale. È la pietra angolare di tutti i diritti in quanto coinvolge la coscienza. I gruppi Hindutva accusano i cristiani da oltre un secolo di fare proselitismo senza prove e reali motivazioni”. Accusare i cristiani di convertire con la forza gli altri al cristianesimo è pura propaganda, ed è un pretesto per compiere la violenza. Ognuno ha il diritto di scegliere le proprie convinzioni. La prova della libertà di religione è il diritto a convertirsi” dice il sacerdote a Fides.
“In alcuni villaggi, le chiese cristiane sono state devastate, in altri i Pastori sono stati percossi o maltrattati. Le assemblee di fedeli sono state disperse da folle di violenti e i cristiani sono finiti in ospedale con ferite. Anche la polizia è accusata di minacciare i fedeli, di trascinarli nelle stazioni di polizia e di compiere incursioni durante i servizi di preghiera domenicali”, riferisce il sacerdote commentando il Rapporto.
“Occorre far emergere il più possibile i fatti reali, con accertamenti indipendenti. Nessuno deve scusarsi o vergognarsi perché esercita il diritto di scegliere la propria religione o il proprio credo. Apprezziamo che gruppi indipendenti della società civile, che tutelano le libertà individuali, si uniscano a questa campagna per evidenziare i problemi”, conclude padre Singh.
In un recente episodio, un gruppo di 30 attivisti appartenenti al Vishwa Hindu Parishad (Consiglio mondiale indù) e al Bajrang Dal (Partito dei duri e forti) hanno costretto una scuola cattolica nello stato indiano del Madhya Pradesh a installare nel campus una statua di Saraswati, la dea indù della conoscenza. Anche in passato, il Madhya Pradesh, che è governato dal partito nazionalista indù Bjp, ha registrato numerosi casi di violenza su cristiani, sacerdoti e suore.
Secondo il censimento indiano del 2011 gli indù sono 966 milioni, su una popolazione indiana di 1,3 miliardi. I musulmani sono 172 milioni, mentre i cristiani toccano quota 29 milioni in tutto.
(SD-PA) (Agenzia Fides 27/10/2021)
INIZIATIVA
Dedicata alle donne la campagna di Acs contro le persecuzioni
Da 17 al 24 novembre in tutto il mondo la #RedWeek di Aiuto alla Chiesa che Soffre: cattedrali, chiese, monumenti ed edifici pubblici si illumineranno di rosso per ricordare i cristiani perseguitati e puntare soprattutto i riflettori sulle violenze subite dalle donne appartenenti alle minoranze
Vuole richiamare l’attenzione su ragazze e donne appartenenti a minoranze religiose che subiscano rapimenti, matrimoni obbligati, conversioni forzate e violenze sessuali la campagna #RedWeek di quest’anno di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Lanciata nel 2015 per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla persecuzione dei cristiani e sulla necessità di garantire la libertà religiosa, l’iniziativa vedrà centinaia di cattedrali, chiese, monumenti ed edifici pubblici di tutto il mondo illuminarsi di rosso dal 17 al 24 novembre. La #RedWeek partirà dall’Austria con un evento che si svolgerà a Vienna, nella cattedrale di Santo Stefano. Lungo l’elenco dei luoghi coinvolti dalla fondazione pontificia, fra questi le cattedrali di Montreal e Toronto, la basilica di Montmartre a Parigi, importanti edifici in Slovacchia e le scuole di 6 diocesi in Australia, mentre in Belgio verranno accese delle candele per ricordare i cristiani perseguitati. In tutto il mondo diversi anche i momenti di preghiera organizzati nelle chiese per quanti non godono del diritto alla libertà religiosa.
Le violenze sulle donne nel Rapporto Acs “Ascoltate le loro grida”
Le vittime delle persecuzioni spesso non sono in grado di parlare da sole, e per dare voce alle giovani donne vittime di violenze sessuali e conversioni forzate, quest’anno Acs Gran Bretagna lancerà il rapporto “Ascoltate le loro grida - Rapimenti, conversioni forzate e violenze sessuali a donne e ragazze cristiane” che sarà presentato ufficialmente al Parlamento britannico, a Westminster, il 24 novembre, durante il #RedWednesday. Sarà illuminato di rosso l’edificio del Foreign and Commonwealth Office. Il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo 2021, ha rivelato che nei cinque continenti, due terzi della popolazione vive in paesi con gravi violazioni della libertà religiosa. Aiuto alla Chiesa che Soffre denuncia numeri in aumento e nella sola Africa violazioni nel 42% delle nazioni, con in testa Burkina Faso e Mozambico. Il presidente esecutivo di Acs Thomas Heine-Geldern spiega che la campagna #RedWeek vuole inviare “un chiaro messaggio di solidarietà ai cristiani perseguitati in tutto il mondo” e dare voce “a coloro che soffrono tragicamente le conseguenze della persecuzione”. “Per noi - aggiunge Heine-Geldern - la libera pratica della religione è uno dei pilastri della democrazia liberale. Ogni forma di discriminazione basata sull’appartenenza religiosa deve essere categoricamente respinta”.
(RV 2021 11 02 Tiziana Campisi – Città del Vaticano)