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2021 12 29 Noi abbiamo perso la testa. A loro gliela tagliano

Fonte:
CulturaCattolica.it
NIGERIA - Sacerdote ucciso la vigilia di Natale MYANMAR - Natale di sangue, strage di cristiani INDIA - La mitezza dei cristiani di fronte alle aggressioni nei giorni di Natale

MEOTTI - Noi abbiamo perso la testa. A loro gliela tagliano

NIGERIA - Sacerdote ucciso la vigilia di Natale

Don Luke Adeleke, 38 anni, sacerdote ordinato da poco, il 19 agosto 2017, della diocesi di Abeokuta, capitale dello Stato sudoccidentale di Ogun, è stato ucciso mentre tornava a casa dopo aver celebrato la Messa della vigilia di Natale, la sera del 24 dicembre. Secondo le informazioni raccolte da Fides, il sacerdote è stato colpito da una raffica di proiettili esplosi da una banda di uomini armati nella località di Ogunmakin Obafemi Owode, zona dove c’è una fortissima criminalità. (SL) (Agenzia Fides 28/12/2021)

MYANMAR - Natale di sangue, strage di cristiani
I militari hanno massacrato e bruciato decine di civili nello Stato a maggioranza cristiana del Kayah: donne e bimbi tra i 38 morti.

Le fonti della resistenza contro il regime militare in Myanmar hanno segnalato un nuovo massacro operato dai militari il 24 dicembre a Hpruso, nello Stato orientale di Kayah, dove autoveicoli di una colonna in transito su una strada di grande comunicazione sono stati attaccati e poi bruciati e i passeggeri trucidati. Risultano 38 morti, tra cui un bambino e due operatori dell’organizzazione umanitari Save the Children.
Un massacro portato a sangue freddo dalle milizie locali Karenni. Nel Kayah quasi la metà della popolazione è cristiana, perlopiù cattolici. Le foto della strage sono state diffuse sul web.
Media locali riferiscono che truppe governative birmane, su ordine della giunta militare al potere nel Paese, avrebbero radunato e ucciso i civili a colpi di arma da fuoco per poi caricarli su camion e auto successivamente incendiati.

Secondo alcuni testimoni le vittime erano fuggite dai combattimenti tra gruppi di resistenza armata e l’esercito del Myanmar vicino al villaggio di Koi Ngan, e sarebbero state fermate dalle truppe governative mentre si dirigevano verso i campi profughi nella parte occidentale di Hpruso.
Il sottosegretario dell’Onu per gli Aiuti umanitari, Martin Griffith si è detto “inorridito” e ha condannato “questo incidente grave e tutti gli attacchi contro civili nel Paese, che sono proibiti in base al diritto umanitario internazionale”. A conferma della brutalità della repressione militare, pochi giorni fa la Bbc aveva confermato quattro uccisioni di massa avvenute a luglio di civili per complessive 40 vittime seppelliti frettolosamente nella foresta nell’area di Sagaing, al centro di scontri tra militari e forze di difesa popolare.

La dura condanna del cardinale Bo
Arriva la dura condanna del cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon, per il massacro nel villaggio di Mo So, a Hpruso, nello Stato di Kayah, nel Myanmar, di almeno 38 persone - per lo più donne e bambini - ritrovate, il giorno di Natale, carbonizzate all’interno di tre veicoli dati alle fiamme. In una dichiarazione pubblicata il 26 dicembre, il porporato, definisce un “indicibile e spregevole atto di barbarie disumano” l’attacco e assicura la sua preghiera per le vittime e i loro cari.
“Fratelli che uccidono fratelli, sorelle che uccidono sorelle: questa non potrà mai e poi mai essere una soluzione ai nostri problemi. Pistole e armi non sono la risposta”.
Il cardinale Bo definisce la guerra inaccettabile, afferma che “la soluzione e la ricerca della pace è dentro di noi e tra noi” e chiede alla comunità internazionale preghiere, solidarietà, assistenza umanitaria e sforzi diplomatici per aiutare il Myanmar a porre fine ai tragici conflitti e a cercare giustizia e pace.
“Prego dal profondo del mio cuore per la fine delle tragedie che abbiamo visto negli ultimi giorni, settimane e per troppi anni e decenni” insiste l’arcivescovo di Yangon che ricorda il messaggio e la preghiera di Papa Francesco del giorno di Natale per il Medio Oriente, il Myanmar, i numerosi prigionieri di guerra e i civili in carcere per motivi politici, per i migranti, gli sfollati e i rifugiati.
“L’intero nostro amato Myanmar è ora una zona di guerra”, afferma inoltre il cardinale Bo facendo riferimento anche agli attacchi aerei nello Stato di Kayin che hanno costretto migliaia di persone a fuggire oltre il confine con la Thailandia e ai bombardamenti a Thantlang, nello Stato di Chin. “Quando finirà tutto questo? Quando cesseranno decenni di guerra civile in Myanmar? Quando potremo godere della vera pace, con giustizia e vera libertà? Quando smetteremo di ucciderci l’un l’altro?”, si interroga il porporato nella nota riportata da Vatican News.
(Stefano Vecchia e Redazione Internet lunedì 27 dicembre 2021- Avvenire)

INDIA - La mitezza dei cristiani di fronte alle aggressioni nei giorni di Natale
Sopportare la violenza e l’odio predicando la speranza: è la risposta della comunità cristiana del Paese che, nei giorni scorsi, ha subito aggressioni e atti vandalici.

Rispondere al male con il bene. Sopportare la violenza e l’odio, predicando la speranza e testimoniando la carità nella società. Scossa dalle aggressioni subite, ma salda nella fede, la comunità cristiana in India replica con mitezza evangelica all’ondata di violenza che l’ha colpita negli ultimi giorni, proprio in concomitanza con la festività del Natale, in diversi territori della vasta nazione asiatica.
Padre Prakash, che da anni monitora i casi di violenza sui cristiani indiani, circa il 2 per cento della popolazione, rileva che «negli ultimi tempi soprusi sulle comunità di fede sono avvenuti con spaventosa regolarità in tutta l’India, in particolare negli stati governati dal Bharatiya Janata Party».

Tra gli episodi più scioccanti, ad Agra, nello Stato di Uttar Pradesh, alcuni estremisti indù hanno bruciato immagini natalizie all’esterno di una scuola cristiana. E nel centro di preghiera “Matridham Ashram”, nella diocesi cattolica di Varanasi, sempre in Uttar Pradesh, un gruppo di militanti ha assediato e intimorito una celebrazione natalizia gridando slogan come «morte ai missionari». In Assam, Stato dell’India orientale, la notte di Natale due estremisti hanno fatto irruzione in una chiesa presbiteriana, interrompendo le celebrazioni e chiedendo a tutti gli indù, presenti per spirito di condivisione interreligiosa, di lasciare l’edificio. Nello Stato settentrionale di Haryana, la notte della vigilia, un concerto natalizio di ragazzi è stato interrotto con l’accusa di usare i tradizionali carols come “strumento di conversione religiosa”. Nel medesimo Stato, il giorno di Santo Stefano, una statua di Cristo è stata distrutta e la chiesa cattolica del Santo Redentore ad Ambala è stata oggetto di atti vandalici, con grande sconcerto dei padri redentoristi. Questi ed altri casi di aggressioni, secondo padre Prakash danno la cifra di «una campagna ben orchestrata per denigrare e demonizzare i cristiani, spesso condotta con finalità politiche». La campagna, rileva il gesuita, ha il pericoloso effetto di «polarizzare la società su base religiosa, dividendo la maggioranza indù dalle altre comunità di fede, come quelle cristiane o musulmane».

Alla radice vi è lo spauracchio delle cosiddette “conversioni forzate”, del presunto proselitismo condotto da comunità cristiane che vivono la loro vita di fede alla luce del sole, che agiscono per bene della società con opere di carità senza alcuna discriminazione o distinzione castale. È il caso delle Missionarie della carità, la congregazione religiosa fondata da Madre Teresa di Calcutta, che due settimane fa hanno subito una denuncia con l’accusa di «aver attirato ragazze al cristianesimo e ferito sentimenti religiosi indù», e che hanno visto non ancora rinnovata l’autorizzazione ad operare a livello economico e finanziario come ente di carità riconosciuto. Rileva perplesso padre Prakash che «tra l’altro si fomentano timori infondati, sostenendo che la popolazione cristiana sia in aumento mentre le statistiche lo smentiscono», osserva. E mentre lo Stato del Karnataka nei giorni scorsi ha approvato una legge per vietare le conversioni religiose, tale provvedimento rischia di provocare ulteriori tensioni interreligiose. In tali difficoltà, i cristiani continuano ad annunciare e vivere il Vangelo di Cristo, il Dio-con-noi. (RV, di Paolo Affatato, 2021 12 28)

Assolutamente da segnalare il lavoro del giornalista Giulio Meotti https://meotti.substack.com/
segnala costantemente notizie totalmente censurate dai media

Noi abbiamo perso la testa. A loro gliela tagliano

Mentre in Europa si volevano bandire i riferimenti cristiani, in Africa gli islamisti decapitavano un cristiano e consegnavano la testa alla moglie. A Natale un pensiero ai nostri martiri imbarazzanti
Giulio Meotti

Mentre in Europa si discuteva della politica “inclusiva” della Commissione secondo cui augurare “Buon Natale” e riferirsi ai nomi cristiani era discriminatorio consapevoli, come scrive la candidata dei gollisti francesi Valérie Pécresse su Le Figaro di oggi che “un’Europa senza radici non può che far nascere un’Europa senza valori, aperta a tutti i nichilismi e offerta a tutti i fondamentalismi, un inizio dal fondamentalismo islamista”, l’Isis decapitava un pastore cristiano prima di consegnare la testa alla moglie per mostrarlo alle autorità, in Mozambico , racconta la BBC .

Come nel Caravaggio della testa mozzata, questi cristiani sono decollati in nome del Misericordioso, ma dirlo è un sospetto scorretto, una verità intollerabile, perché questa è questa una guerra di religione, della cui ferocia, appunto religiosa, solo un fronte è consapevole, il loro.

In molte zone della Nigeria i cristiani non potranno celebrare il Natale, c’è paura anche soltanto ad andare in chiesa. Il vescovo Wilfred Chikpa Anagbe ha appena denunciato una “Jihad contro i cristiani”. Impossibile tenere il conto degli uccisi. L’ultima strage è di 12 fedeli. I militanti islamici hanno attaccato al villaggio cristiano di Kilangal i fedeli uscendo dalla chiesa.

“Questo Natale, anche nelle remote montagne dell’Afghanistan controllato dai talebani, i credenti isolati celebreranno la venuta di Gesù” scrive Rex Rogers su Cbn. “Ma se vengono scoperti è la morte. Questo è il prezzo che sono disposti a pagare per essere in comunione con altri credenti a Natale. In Iran, dove i cristiani sono spesso imprigionati e torturati, migliaia di credenti ‘segreti’ sono assolutamente determinati a festeggia il Natale. In Algeria, dove il governo ha chiuso quasi tutte le chiese, molti cristiani si completamente smarriti. Nabila ci ha detto che i suoi fratelli hanno minacciato di ucciderlo per la sua fede”.

Siamo ciechi di fronte alla caratura feroce di Male in cui si specchia la nostra impietosa malattia culturale.

I cristiani dell’Africa sub-sahariana sono oggi i più perseguitati al mondo, ma la loro situazione è molto meno presente nelle notizie rispetto a quella dei musulmani in Occidente, vittime dell’’islamofobia’”, scrive Alexandre Del Valle su Valeurs Actuelles. Il bilancio che l’analista francese traccia è spaventoso.

In Iraq, il numero di cristiani è sceso da 1,5 milioni nel 2003 a meno di 200.000 oggi... un calo dell’87 per cento in 20 anni. I cristiani in Siria, sebbene protetti da Bashar al-Assad, oggi sono meno di 745.000, rispetto ai 2,2 milioni prima della guerra civile. In Turchia, dall’assassinio del leader protestante armeno Hrant Dink (2006), di padre Andrea Santoro, ucciso a Trebisonda il 5 febbraio 2006, di padre Adriano Franchini, accoltellato a Smirne nel dicembre 2007, di monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, decapitato a Iskenderun dal suo autista nel giugno 2010, e dopo il massacro di dieci cristiani evangelici turchi a Malatya nel marzo 2007, i pochi cristiani rimasti in questo paese membro della Nato hanno paura. Ora sono 90.000, contro i 3 milioni del 1900.

In tutti i paesi musulmani, la conversione al cristianesimo è un crimine (apostasia) che la sharia punisce con la morte e che tutti i paesi musulmani - tranne l’Albania - puniscono. In Afghanistan, Sudan, Arabia Saudita, Mauritania, Iran, Somalia, Pakistan, la conversione al cristianesimo è punibile con la morte. In Arabia Saudita, questo paese “amico” dell’Occidente, la legge wahhabita prevede che qualsiasi religione diversa da quella musulmana sia vietata ai musulmani per nascita, sauditi e non. Il semplice possesso della Bibbia è un crimine lì, come nella Corea del Nord comunista. In Somalia, è stato ucciso il vescovo di Mogadiscio e la sua cattedrale è stata rasa al suolo. È vietata ogni pratica religiosa non musulmana. I convertiti cristiani vengono regolarmente decapitati. In Sudan, negli anni 1990-2000, il conflitto tra il nord del Paese a maggioranza-musulmana e il sud cristiano-animista ha alimentato per 40 anni una civile che ha portato all’indipendenza del Sud Sudan, dopo un genocidio di più di un milione di cristiani. Coloro che sono rimasti nel nord del Paese sono perseguitati. Ricordiamo la tragica storia di Mariam Yehya Ibrahim, una donna di 27 anni condannata a morte nel 2014 all’ottavo mese di gravidanza semplicemente per la sua fede cristiana. Il suo caso ha commosso pochissimi ipocriti occidentali. In Pakistan la legge contro la blasfemia è usata come pretesto per perseguitare i cristiani: professare la fede cristiana è “blasfemia” punibile con la morte. Tutti conoscono il triste caso di Asia Bibi, condannata a morte nel 2010 e poi incarcerata per 10 anni prima di essere estradata in Occidente. In Cina, i cristiani che rifiutano le chiese del regime, sono perseguitati, ma in Occidente dove denunciamo la sorte dei musulmani uiguri, non si preoccupano del destino dei cristiani cinesi. Questo Natale i cristiani di Hong Kong - da Jimmy Lai a Nathan Law - che si sono battuti per diritti, democrazia e libertà contro il regime cinese lo trascorreranno in carcere. In Corea del Nord, la dittatura comunista di Kim Jong-un vieta ogni appartenenza al cristianesimo: 166 sacerdoti sono scomparsi e 70.000 cristiani sono imprigionati a vita nei campi di lavoro forzato.

Questi cristiani perseguitati sono maschere funebri in un patibolo lontano, senza sfondo, senza nome, dramma impressionante e allo stesso tempo ormai banale, ripetendosi ogni giorno. Questi uomini sono tronchi umani in attesa del verdetto, sono già oltre la vita. Sono i sequestrati, sono i depredati, sono i decollati, sono i martoriati di uno scontro di civiltà che abbiamo deciso di ignorare, a nostro rischio e pericolo, perché come dice il cardinale Robert Sarah nell’ultimo numero di Valeurs Actuelles abbiamo “apostasia silenziosamente”. Nel nostro “Impero del Bene”, come lo chiamava Philippe Muray, non c’è posto per le vittime del Male.

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