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2022 04 13 Mercoledì Santo 2022

Fonte:
CulturaCattolica.it
Mercoledì Santo 2022: Preghiamo per i nostri fratelli cristiani perseguitati: è per il nostro bene. CINA - nuova stretta contro la Chiesa non ufficiale MYANMAR - vescovo ostaggio dei militari nella cattedrale di Mandalay ITALIA - “Davanti a Dio non ci sono figli di serie B”: padre Maccalli ricorda le vittime del terrorismo jihadista

Mercoledì Santo 2022

Dal 2013 ricordiamo nella preghiera, ogni mercoledì, i tanti cristiani che nel mondo sono perseguitati in molti modi, compresa la morte.

Meno se ne parla più deve intensificarsi la preghiera e il ringraziamento.
Il loro sacrificio è ciò che più contribuisce alla vita, alla santificazione e alla purificazione della Chiesa.

Sono membra del Corpo di Cristo e in unione con Lui e col Suo Sacrificio fanno il nostro vero bene.
Soffrono per noi.

La nostra eventuale indifferenza è, in fondo, indifferenza al nostro bene, indifferenza a Cristo.

Perché pregare e ringraziare almeno ogni mercoledì?
Perché, nella settimana santa, è il giorno del tradimento di Giuda.

Se il motivo del tradimento di Giuda rimane un mistero noto solo a Dio, che conosce il cuore di ognuno di noi, almeno la sua successiva disperazione fino al suicidio ci aiuta a comprendere la vera insidia diabolica che oggi è spaventosamente dilagante: l’ossessione di noi stessi.

L’originaria sfida che ci spinge a voler essere dio decidendo persino la vita di altri esseri umani, (l’aborto, origine della guerra, e l’omicidio nelle sue mille forme), ci porta all’angoscia dell’impotenza che non impara cos’è l’uomo neppure dal dolore e preferisce darsi la morte piuttosto che implorare la salvezza che viene dal Crocifisso.

Preghiamo per i nostri fratelli cristiani perseguitati: è per il nostro bene.

CINA - La Pasqua di Xi Jinping: nuova stretta contro la Chiesa non ufficiale
Le autorità portano di nuovo via mons. Shao Zhumin, vescovo di Wenzhou: era stato liberato ai primi di novembre dopo un precedente arresto. Scomparso anche mons. Cui Tai, vescovo di Xuanhua. Si trovava agli arresti domiciliari da più di 10 anni: sospette torture nei suoi confronti.

Il 7 aprile le autorità hanno portato via a bordo di un aereo mons. Shao Zhumin, vescovo di Wenzhou (Zhejiang). I fedeli locali sono preoccupati perché non sanno dove il loro pastore si trovi in questo momento; la polizia avrebbe anche requisito il suo cellulare. Il sospetto è che il governo gli abbia voluto impedire di celebrare le funzioni della Settimana santa, soprattutto la Messa del Crisma.
Non è la prima volta che le Forze dell’ordine arrestano mons. Shao, facendolo sparire anche per mesi. I primi di novembre era tornato libero dopo un fermo di diversi giorni. Egli è spesso sottoposto al lavaggio del cervello per spingerlo ad aderire alla Chiesa “ufficiale”, controllata dal Partito comunista cinese (Pcc).

La scure di Pechino si è abbattuta anche sulla diocesi di Xuanhua (Hebei). A gennaio, prima del Capodanno lunare, le autorità hanno sequestrato più di 10 religiosi, tra cui il vescovo Agostino Cui Tai (agli arresti domiciliari da più di 10 anni) e il suo vice Zhang Jianlin. Al momento non si hanno notizie sul loro eventuale rilascio.

Oltre alle immancabili pressioni per accettare l’autorità dell’Associazione patriottica cattolica – espressione del Pcc – il governo cinese sarebbe in cerca di notizie su mons. Zhao Kexun, morto nel 2018 e fino a quel momento vescovo ordinario di Xuanhua. Dopo un raid nel 2007, egli ha vissuto nascosto in una località segreta per evitare problemi con le autorità.

Da quanto si è appreso, la polizia ha torturato mons. Cui e alcuni sacerdoti per ottenere informazioni su mons. Zhao, compreso il luogo dove è sepolto. Per la diocesi di Xuanhua questa situazione è un disastro senza precedenti. Molti vescovi e sacerdoti sono stati arrestati e non sono stati rilasciati. I fedeli non ricevono cure pastorali. Su internet circolano notizie che diffamano e calunniano la Chiesa sotterranea.

La firma nel 2018, e il rinnovo nell’ottobre 2020, dell’Accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi non ha fermato la persecuzione nei confronti dei suoi esponenti, soprattutto di quelli non ufficiali.
11/04/2022 Roma (AsiaNews)

MYANMAR - vescovo ostaggio dei militari nella cattedrale di Mandalay
Una quarantina di soldati ha occupato la cattedrale e trattenuto per ore monsignor Marco Tin Win, il vicario episcopale, i fedeli e i dipendenti della parrocchia. Giallo sul loro rilascio

Venerdì sera, subito prima della preghiera quaresimale, una quarantina di soldati birmani ha occupato la cattedrale di Mandalay, nel Myanmar centrale, e messo sotto custodia decine di fedeli che erano all’interno. I militari, dopo aver occupato l’intera area della cattedrale, hanno rinchiuso nell’edificio anche l’arcivescovo, monsignor Marco Tin Win, e i dipendenti degli uffici parrocchiali.

Dopo tre ore, ad alcuni dei reclusi è stato concesso di uscire e tra questi un corrispondente di Catholic News Agency, che ha diffuso la notizia.
Altri sono stati liberati successivamente ma le notizie sono frammentarie, non è chiaro se l’arcivescovo sia stato effettivamente rilasciato.

Difficile individuare le ragioni per questa azione. Già in diverse occasioni il regime – che cerca di imporsi su un Paese in rivolta dopo il colpo di stato del primo febbraio 2021 – ha preso di mira leader e istituzioni cattolici. «I militari sono sempre imprevedibili ma non si erano mai comportati così prima», ha detto un anziano parrocchiano.

A confermare un comportamento anomalo, ma anche la garanzia d’impunità per gli uomini in divisa, l’aggressività nei confronti del vicario generale dell’arcidiocesi, monsignor Dominic Joy Du. Ai soldati che insistevano per sapere dove erano nascosti oro, denaro e armi, quest’ultimo ha risposto con fermezza che non ce n’erano.
Il vicario ha, inoltre, aggiunto che le offerte raccolte erano destinate ad aiutare le famiglie povere. A quel punto, i militari lo hanno afferrato e costretto a restare dentro, con gli altri. Una trentina di soldati ha pernottato nella cattedrale e ieri la loro presenza era ancora segnalata nell’edificio.

In varie aree del Paese gli episodi di intolleranza e di persecuzione verso la minoranza cristiana si sono intensificati negli ultimi tredici mesi. Questa è accusata di sostenere i gruppi che si oppongono allo status quo imposto con le armi.

A Mandalay, importante centro commerciale e seconda città del Paese, la cattedrale del Sacro Cuore si trova in un’area popolare abitata perlopiù da immigrati indiani di etnia Tamil di fede cattolica o musulmana che non hanno mai mostrato un’aperta ostilità verso i golpisti. Questo tuttavia non è bastato a evitare periodici rastrellamenti e perquisizioni.
(Avvenire, Stefano Vecchia sabato 9 aprile 2022)

ITALIA - “Davanti a Dio non ci sono figli di serie B”: padre Maccalli ricorda le vittime del terrorismo jihadista

È fondamentale non dimenticare gli ‘anonimus’ che sono vittime di violenza e di sequestri da parte del terrorismo jihadista che imperversa nel Sahel. I nomi di alcuni danno un volto e una storia a popolazioni locali che sono oggi ostaggio di sopraffazioni” scrive all’Agenzia Fides p. Pierluigi Maccalli, sacerdote della società per le Missioni Africane (SMA), che è stato tra le mani di quelle stesse organizzazioni dal 17 settembre 2018 al 9 ottobre 2020 (vedi Agenzia Fides 9/10/2020). “Due di questi nomi sono ‘africani’, uno è Christopher Botha, sudafricano, l’altro è don Joël Yougbaré, del quale non si hanno notizie dal 17 marzo 2019 (vedi Agenzia Fides 20/3/2019).

Il missionario Sma ha riportato la memoria al suo incontro in tempo di prigionia con Christopher Botha. “Ho incontrato personalmente Christopher Botha durante la mia prigionia, lui è stato rapito una settimana dopo di me e l’ho visto arrivare dov’ero tenuto in transito, nel nord del Burkina Faso. Era tutto impolverato quando l’ho visto scendere dal taxi-moto, lui e il suo compagno di sventura, l’indiano Vikram Akoliya (liberato nel gennaio 2020). Quest’ultimo era uno dei dirigenti della miniera d’oro di Inata, in Burkina Faso, in visita alla località e Christopher lo accompagnava in macchina per il sopralluogo. Furono rapiti insieme al loro autista che non venne portato ‘coi bianchi’. Abbiamo parlato e condiviso due notti di attesa... e il suo calvario non è ancora finito” ricorda amareggiato p. Maccalli.

“Don Joel Yougbaré, parroco di Djibo, Burkina Faso, invece non l’ho mai incontrato. Ho saputo del suo sequestro solo dopo il mio rilascio. Ho potuto telefonare al suo Vescovo mons. Laurent Dabiré, per dirgli tutta la mia solidarietà e lui mi ha detto che pensano sia vivo bensì non abbiano avuto riscontri di prove di vita dal suo rapimento avvenuto il 17 marzo 2019.”
Padre Maccalli rivolge il suo appello a mantenere vivo il ricordo di queste persone e conclude dicendo: “non dimentichiamoli, probabilmente fanno parte delle vittime di serie B di un conflitto di serie B, ma davanti a Dio non ci sono figli di serie B. In questo tempo di zoom e reportage quotidiani sulla guerra in Ucraina, aiutiamo l’opinione pubblica a non considerare nessuno ostaggi di serie B.”
(GM/AP) (12/4/2022 Agenzia Fides)

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