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2022 06 29 900 i cristiani assassinati tra gennaio e marzo

Fonte:
CulturaCattolica.it
HAITI - Uccisa Suor Luisa Dell’Orto missionaria italiana che da 20 anni si dedicava ai bambini di strada NIGERIA - Non si fermano le violenze contro sacerdoti, chiese, congregazioni: uccisi altri due sacerdoti. 900 i cristiani assassinati tra gennaio e marzo
PAKISTAN - La società civile chiede il rilascio di un cristiano falsamente accusato di blasfemia TESTIMONIANZA PAKISTAN - otto anni nel braccio della morte, l’epopea di una coppia cristiana

HAITI - Uccisa Suor Luisa Dell’Orto missionaria italiana che da 20 anni si dedicava ai bambini di strada

“Desidero esprimere la mia vicinanza ai familiari e alle consorelle di Suor Luisa Dell’Orto, Piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld, uccisa ieri a Port-au-Prince, capitale di Haiti. Da vent’anni suor Luisa viveva là, dedita soprattutto al servizio dei bambini di strada. Affido a Dio la sua anima e prego per il popolo haitiano, specialmente per i piccoli, perché possano avere un futuro più sereno, senza miseria e senza violenza. Suor Luisa ha fatto della sua vita un dono per gli altri fino al martirio”.

Così il Santo Padre Francesco ha ricordato all’Angelus di domenica 26 giugno l’assassinio della religiosa.

L’Arcidiocesi di Milano, di cui era originaria, ha sottolineato che suor Luisa era la colonna portante di Kay Chal, “Casa Carlo”, che si trova in un sobborgo poverissimo di Port-au-Prince. Ha dedicato 20 anni di vita e di missione per offrire un luogo sicuro e accogliente a centinaia di bambini. La mattina di sabato 25 giugno quando è stata vittima di un’aggressione armata. Gravemente ferita, è stata portata d’urgenza all’ospedale dove si è spenta poco dopo, due giorni prima di compiere 65 anni. La notizia ha prodotto un fortissimo impatto a Port-au-Prince dove “seur Luisa”, come la chiamavano, era un’istituzione.
Suor Luisa era nata a Lomagna (Lecco) il 27 giugno 1957. Dopo aver frequentato il Liceo Scientifico di Lecco, nel 1984 si laureò in Storia e Filosofia. Nello stesso anno entra nella Congregazione delle Piccole sorelle del Vangelo di Lione. Nel 1987 parte per il Camerun: vive a Salapombe, in una foresta, tra i Pigmei Baka, fino al 1990. Nel frattempo a Lomagna sorge il Gruppo Missionario a sostegno di questa popolazione. Nel 1994 consegue la laurea in Teologia in Svizzera. Dal 1997 al 2001 è missionaria in Madagascar, dove si dedica alle varie attività pastorali, insegna Etica Generale e Speciale. Dal 2002 era missionaria ad Haiti. Ha anche insegnato Storia della Filosofia e Dottrina sociale della Chiesa e ha fatto parte del Comitato di Redazione di una rivista locale.

Nel suo messaggio di condoglianze, l’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, sottolinea tra l’altro: “La morte di suor Luisa Dell’Orto ci lascia straziati e sconcertati, diventa rivelazione del bene che ha compiuto e della vita santa che ha vissuto, diventa dolore e preghiera. Esprimo a nome della Chiesa ambrosiana la partecipazione al lutto dei familiari, al ricordo grato e sofferto di quanti l’hanno conosciuta, la certezza che la sua morte, così simile alla morte di Charles de Foucauld, unita alla morte di Gesù possa essere seme di vita nuova per la terra di Haiti e per lei ingresso nella gloria”.

Da lungo tempo i Vescovi di Haiti stanno lanciando appelli e richiami sulla difficile crisi a tutti i livelli che il paese sta attraversando. Violenza e corruzione sono dilagate ovunque, la popolazione precipita sempre di più nella povertà e ormai è sfinita. I disastri naturali che hanno colpito di frequente l’isola e la pandemia di Covid-19 contribuiscono a questa situazione, come l’instabilità politica, che ha visto un anno fa l’assassinio del Presidente della Repubblica Jovenel Moïse (vedi Fides 8/7/2021).

L’industria dei sequestri è fiorente nell’isola e le bande armate spadroneggiano ovunque nell’impunità totale, alla ricerca di facili guadagni, non risparmiando sacerdoti e suore, che pur provati anch’essi dalla situazione, non abbandonano il popolo haitiano. Domenica 11 aprile 2021 nella città di Croix-des-Bouquets, sono stati rapiti 5 sacerdoti, 2 suore e 3 parenti di uno dei sacerdoti (vedi Fides 12/4/2021). Il 6 settembre 2021, a Cap Haitien, padre André Sylvestre, sacerdote di 70 anni, è stato aggredito mentre usciva da una banca. Ferito da un gruppo di criminali, è morto in sala operatoria. Oltre alla sua parrocchia, gestiva un orfanotrofio e assisteva i senza dimora (vedi Fides 08/09/2021). Suor Isa Solá Matas, delle Religiose di Gesù-Maria (RJM), originaria di Barcellona (Spagna), è stata uccisa la mattina del 2 settembre 2016, mentre era alla guida della sua automobile durante un probabile tentativo di furto, in quanto sono stati rubati la sua borsa e altri oggetti personali. La religiosa era molto impegnata con le fasce più umili e povere di Haiti, con le quali praticamente conviveva dopo il terremoto del 2010.
Il 24 aprile 2013 era stato ucciso a Port au Prince padre Richard E. Joyal, canadese, della Società di Maria, per rapinargli il denaro che aveva appena prelevato dalla banca (vedi Fides 26/04/2013) e l’8 ottobre 2010 Julien Kénord, operatore della Caritas svizzera, è stato ucciso sempre a Port-au-Prince, in seguito ad un tentativo di rapina (vedi Fides 3/9/2016).
(SL) (Agenzia Fides 26/6/2022)

Era l’angelo dei bambini di strada

Suor Luisa Dell’Orto, piccola sorella del Vangelo di Charles de Focauld, era la colonna portante di Kay Chal, “Casa Carlo”, sorta in un sobborgo poverissimo di Port au Prince. Costruito grazie ai fondi raccolti da Caritas italiana con la maxi-colletta del 2010, promossa dalla Conferenza episcopale italiana (Cei), il centro – animato anche dai volontari di Caritas Ambrosiana – offre anche uno spazio sicuro a centinaia di bimbi del poverissimo quartiere. «Vengono dopo la scuola, a fare i compiti – raccontava all’inviata di Avvenire suor Luisa nel gennaio 2020, dieci anni dopo il terremoto mentre mostrava orgogliosa la biblioteca –. Sanno che fino alle 17 si studia. Poi facciamo altre attività: dal ballo al basket. E ad organizzare i gruppi sono i nostri ex alunni cresciuti che vogliono restituire quanto hanno ricevuto».

Il cortile di Kay Chal era un via vai di ragazzini. Alcuni, i più piccoli, stavano rannicchiati in un angolo, con un libro in mano. Altri, appoggiati sui tavoli, premevano con forza la matita sul quaderno, nello sforzo apparentemente titanico di tracciare le lettere. Un gruppetto giocava a pallone, infrangendo le regole. «Il momento del basket comincia alle 17, prima ci sono i compiti», era solita dire, tra il rassegnato e il divertito, suor Luisa Dell’Orto.

Questa piccola sorella del Vangelo era la colonna del centro dedicato a Charles de Focault nel cuore di Port-au-Prince. Quando era arrivata ad Haiti, nel 2002, la struttura esisteva già. Era stata, però, la religiosa lombarda, originaria di Lomagna, in provincia di Lecco, ad occuparsi della sua ricostruzione dopo il catastrofico terremoto del 2010. Un lavoro estenuante quanto fondamentale.

«Venga con me per capire la ragione», aveva detto suor Luisa quando Avvenire l’aveva incontrata la prima volta, nel decimo anniversario del tragico sisma. Dalla terrazza rudimentale si vedeva la distesa di baracche addossate le une sulle altre. In mezzo, qualche scarsa lingua d’asfalto e un dedalo di viuzze sterrate che si facevano spazio a fatica. Questa selva di mattoni lamiere è Cité Okay, baraccopoli a cavallo tra Delmas 31 e Cité Soleil, la bidonville emblema del dramma haitiano. «Non c’è un solo spazio per i bambini. Né per studiare né per giocare. Kay Chal è l’unica oasi dove possono incontrarsi, stare insieme, fare i compiti, vivere la loro infanzia troppo spesso rubata o ridotta in catene». Non si trattava di una metafora. Gran parte dei piccoli del centro erano “restavek”, bambini affidate dalle famiglie della provincia a parenti o conoscenti in città nell’illusione che ricevano un’istruzione. In realtà, tutti sanno che saranno trasformati in domestici tuttofare.

A questo esercito di almeno mezzo milione di baby-schiavi, suor Luisa ha dedicato la vita e la missione. Fino a ieri mattina quando la religiosa è stata vittima di un’aggressione armata mentre passava per Delmas 19. (…) Lucia Capuzzi sabato 25 giugno 2022 AVVENIRE

NIGERIA - Non si fermano le violenze contro sacerdoti, chiese, congregazioni: uccisi altri due sacerdoti. 900 i cristiani assassinati tra gennaio e marzo

Ogni settimana nigeriani innocenti perdono la vita in attacchi terroristici contro luoghi di culto, case e mezzi di trasporto, e molti sono anche i feriti o rapiti. Nel fine settimana appena trascorso sono stati uccisi, in attacchi separati, altri due sacerdoti cattolici. Il primo, p. Vitus Borogo è stato ucciso sabato 25 giugno nella Prison Farm di Kaduna, e l’altro, p. Christopher Odia Ogedegbe, è stato rapito ed ucciso domenica 26 giugno mentre andava a messa ad Auchi, nello Stato di Edo.
“Si tratta del terzo attacco solo in questo mese e l’ultimo di 15 attacchi nelle 17 comunità parrocchiali quest’anno” ha affermato p. Francis Agba, parroco della Parrocchia di Sant’Agostino, nello stato di Kaduna.
I crimini contro le vittime sono stati perpetrati entrambi nelle rispettive diocesi nigeriane. Padre Vitus Borogo, era cappellano della comunità cattolica del Politecnico statale di Kaduna oltre che presidente dell’Associazione dei sacerdoti diocesani cattolici nigeriani. P. Christopher Odia, era parroco della St. Michael Catholic Church, Ikabigbo, oltre che preside della St. Philip Catholic Secondary School, Jattu. Secondo una testata giornalistica nigeriana un servitore della Messa e un vigilante locale sono stati a loro volta uccisi a colpi di arma da fuoco durante il rapimento di padre Odia.
Ad oggi risultano 900 i cristiani assassinati tra gennaio e marzo. Il Paese dell’Africa occidentale è alle prese con un’ondata di violenza da parte di bande armate che spesso compiono omicidi e rapimenti a scopo di riscatto, principalmente in comunità rurali non protette. Dal 2009, quando è emersa l’insurrezione di Boko Haram, uno dei più grandi gruppi islamisti in Africa, che ha l’obiettivo di trasformare il paese in uno stato islamico, la Nigeria vive in totale stato di insicurezza.
Domenica 5 giugno 2022, uomini armati non identificati hanno attaccato la chiesa di San Francesco di Owo, nello Stato di Ondo, causando morti e feriti (vedi Agenzia Fides 6/6/2022). Il giorno prima, sabato 4 giugno, un altro sacerdote cattolico era stato rapito a Obangede, nello Stato di Kogi, (vedi Agenzia Fides 7/6/2022). Risulta inoltre che alcuni giorni prima dell’attacco alla chiesa cattolica di San Francesco Saverio uomini armati avrebbero attaccato la Celestial Church of Christ, parrocchia di Oshofa, stato di Ogun.
In seguito, nuovi attacchi hanno provocato morti e rapimenti il 19 giugno, nella chiesa cattolica di St. Moses, e in quella battista di Maranatha nell’area del governo locale di Kajuru (LGA), entrambe nello stato di Kaduna (vedi Agenzia Fides 20/6/2022).
(AP) (Agenzia Fides 27/06/2022)

PAKISTAN - La società civile chiede il rilascio di un cristiano falsamente accusato di blasfemia

“Chiediamo la liberazione di un cristiano pachistano, il 44enne Rehmat Masih, in carcere da cinque mesi. È innocente ed è falsamente accusato di aver dissacrato le pagine del Corano. Gli agenti di polizia devono svolgere il loro dovere in modo imparziale, senza farsi influenzare da convinzioni religiose. La legge sulla blasfemia ha creato una società in cui le persone, compresi i denuncianti e i loro sostenitori influenti, si credono autorizzate a farsi giustizia da sole, ignorando lo stato di diritto. Il caso di Rehmat Masih è un altro esempio di come la legge sulla blasfemia venga usata in modo improprio o per nuocere a qualcuno”: lo dice all’Agenzia Fides Joseph Jansen, presidente di “The Voice for Justice”, Ong che sta seguendo il caso di Rehmat Masih.
Joseph Jansen afferma: “In questo caso non ci sono prove a suo carico; l’uomo è stato percosso e torturato per estorcergli la confessione di un crimine che non ha commesso. Allo stesso tempo, la sua famiglia si sta per trasferire in una città più sicura, sotto il peso di stress e indigenza”.
Rehmat Masih è stato accusato di blasfemia il 3 gennaio 2022 per aver contaminato e profanato le pagine del Corano e dei libri islamici presso la casa editrice “Zam Zam Publishers” di Karachi in cui lavorava come addetto alle pulizie da circa vent’anni. La casa editrice è rinomata in tutto il mondo per la stampa di qualità, l’editoria, la distribuzione e l’esportazione di libri islamici dal 1992.
La vicenda è iniziata quando i funzionari di polizia della città hanno ricevuto un video che mostrava pagine del Corano in uno scarico di acque reflue delle fogne, il 25 dicembre 2021. Giunti in loco e rinvenendo quelle pagine, gli agenti di polizia hanno depositato un primo verbale di informazione (FIR) contro ignoti, ai sensi dell’articolo 295 comma B del Codice Penale del Pakistan, in cui si punisce l’atto di profanare il Corano.
Il 28 dicembre, quando Rehmat Masih è tornato al lavoro dopo le celebrazioni natalizie, la direzione dell’azienda gli ha chiesto informazioni sulle pagine del Corano trovate nella fogna. L’uomo ha detto di non esserne a conoscenza. La direzione dell’azienda ha affermato, mentendo, che Rehmat Masih aveva ammesso il suo crimine. Il 3 gennaio 2022, agenti di polizia hanno arrestato Rehmat Masih e lo hanno torturato per fargli ammettere la profanazione delle pagine del Corano.
Il 24 gennaio 2022 il giudice del Tribunale di Primo grado ha respinto la cauzione per Rehmat Masih e nella recente udienza del 31 maggio 2022 il giudice ha registrato una sua dichiarazione, in cui Rehmat Masih si dichiara “non colpevole” rispetto alle accuse mosse contro di lui.
Accogliendo le rimostranze di diverse organizzazioni della società civile, Ilyas Samuel, un noto attivista per i diritti umani e Presidente di “Be the Light TV”, televisione cristiana, osserva a Fides: “Questo caso è pieno di incongruenze. Non c’è nessun testimone oculare, nessuna prova, nessun video che mostri Rehmat Masih gettare pagine del Corano nello scarico delle acque reflue. Rehmat Masih è accusato falsamente. Preghiamo e chiediamo il rilascio immediato di un innocente”.
Secondo le statistiche rilasciate dal Center for Social Justice (CSJ) a partire dal 1987 fino a dicembre 2021 ci sono 1.949 persone incriminate ai sensi delle leggi sulla blasfemia in Pakistan, tra musulmani, cristiani, indù, ahmadi. Tra loro 84 persone sono state uccise in via extragiudiziale, prima che ne fosse appurata l’eventuale colpevolezza.
(AG-PA) (Agenzia Fides 24/6/2022)

TESTIMONIANZA

PAKISTAN - otto anni nel braccio della morte, l’epopea di una coppia cristiana

La drammatica storia di due coniugi cattolici di Lahore arrestati con l’accusa di blasfemia, rivelatasi poi falsa. Rilasciati nel 2021 dopo otto anni di reclusione, ora hanno raccontato la loro storia ad Aiuto alla Chiesa che Soffre

Nel luglio 2013, Shagufta e Shafqat Emmanuel, una coppia cattolica di Mian Channu, una piccola città a 155 miglia a sud di Lahore, in Pakistan, sono stati arrestati con la falsa accusa di blasfemia. Dopo otto anni nel braccio della morte, separati l’uno dall’altra e dai loro quattro figli, sono stati finalmente rilasciati il 3 giugno 2021 dall’Alta Corte di Lahore. Un anno dopo Shagufta racconta la vicenda sua e di suo marito ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs).

La colpa di essere cristiani
La donna ricorda di essere nata in una famiglia dalla profonda fede cristiana e di essere sempre stata assidua praticante in un villaggio a maggioranza musulmana, ma anche con una buona presenza cristiana. “Mio padre e mia madre - racconta - hanno insegnato a me e ai miei sei fratelli e sorelle ad essere forti nel nostro credo e ad essere pronti ad ogni tipo di sacrificio o persecuzione”. La vita nel villaggio era caratterizzata da un’estrema cordialità, che consentiva a cristiani e musulmani di partecipare reciprocamente alle feste come il Natale o l’Eid al-Fitr. “Qualche anno dopo il matrimonio con Shafqat Emmanuel - racconta la donna - ci siamo trasferiti a Gojra e mio marito ha trovato lavoro lì. Purtroppo è rimasto paralizzato da un proiettile vagante, mentre cercava di sedare una rissa, circa 12 anni fa. Da allora la vita è stata dura, ma siamo stati fortunati a trovare lavoro alla St John’s High School, a Gojra. Dopo l’orario scolastico, mio marito riparava telefoni cellulari, per guadagnare qualche soldo in più per le spese familiari. Poi, un giorno di luglio del 2013 decine di agenti della polizia hanno fatto irruzione in casa nostra e hanno arrestato me e mio marito con l’accusa di blasfemia per un messaggio offensivo sull’Islam, inviato tramite il nostro cellulare. Il messaggio offensivo era scritto in inglese, una lingua che né io né mio marito parliamo o leggiamo. Siamo stati tenuti in custodia dalla polizia per una notte; il giorno dopo siamo stati trasferiti in carcere”.

Il carcere e la condanna a morte
“In carcere siamo stati torturati - continua Shagufta - e gli agenti hanno detto a mio marito che se non avesse confessato, mi avrebbero violentata davanti a lui, e così lui ha confessato anche se eravamo entrambi innocenti”. Per i due, dopo qualche mese è scattata la condanna a morte senza che agli avvocati difensori e agli imputati fosse stato concesso di essere ascoltati. “La sentenza è stata un duro colpo per noi e per la nostra famiglia e ha scioccato l’intera comunità cristiana in Pakistan e altrove”. Alla pronuncia dei magistrati sono seguiti otto lunghi anni trascorsi, separati, nel braccio della morte vedendo i figli, che all’epoca erano in tenera età, ogni sei mesi e solo per pochi minuti.

Aspettare la morte senza perdere la fede
“La mia vita era terrificante - continua il racconto di Shagufta - e continuavo a pensare che un giorno io e mio marito saremmo stati impiccati. Nonostante tutti questi incubi spaventosi, non ho mai perso la speranza o la fede. Pregavo ogni giorno, leggevo la Bibbia e questo mi confortava molto. Non ho mai perso la fede e la speranza che, poiché io e mio marito eravamo innocenti, il mio Signore Gesù Cristo, sempre vivo, che ha sconfitto la morte ed è risorto il terzo giorno, ci avrebbe liberato e mi avrebbe risuscitato dalla morte. Più volte mi è stato detto che se mi fossi convertita all’Islam la mia condanna a morte sarebbe stata trasformata in ergastolo e che alla fine sarei stata rilasciata. Ho sempre detto di no. Il Signore Gesù Cristo risorto è la mia vita e il mio Salvatore. Gesù Cristo ha sacrificato la sua vita per me, anche se sono un peccatore”.

La liberazione e l’esilio
“Nel frattempo, si sono levate voci molto forti contro il nostro processo e la nostra condanna ingiusta al Parlamento europeo, da parte di organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo, così come dalla Chiesa cattolica e da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Per un certo periodo Asia Bibi, anch’essa condannata a morte con la falsa accusa di blasfemia, è stata con me nel braccio della morte a Multan. Ogni volta che ci incontravamo, pregavamo insieme, ci consolavamo a vicenda e rinnovavamo la nostra ferma fede in Gesù Cristo. A Natale condividevamo dolci con altri prigionieri, sia musulmani, che cristiani”. Come Asia Bibi anche i due sposi sono stati alla fine liberati senza però poter rimanere in Pakistan con la loro famiglia. Per sicurezza sono andati via e sono stati accolti in asilo da un Paese europeo. “Qui - raccolta Shagufta - siamo al sicuro e siamo liberi di praticare la nostra religione. Spero e prego che queste false accuse di blasfemia cessino in Pakistan”. (RV 2022 05 17 Giancarlo La Vella – Città del Vaticano)

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