2022 12 07 UCRAINA - Shevchuk chiede il rilascio dei due sacerdoti: “Sono vittime di torture”
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UCRAINA – Shevchuk chiede il rilascio dei due sacerdoti: “Sono vittime di torture”
L’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc lancia un appello ai rappresentanti diplomatici e alle organizzazioni per i diritti umani perché facciano il possibile per salvare la vita dei due ieromonaci arrestati il 16 novembre dagli occupanti russi con l’accusa di detenere armi nella casa religiosa
È un appello, anzi, una supplica alle autorità internazionali quella dell’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc, Sviatoslav Shevchuk, affinché facciano il possibile per salvare la vita dei due sacerdoti greco-cattolici ucraini, rapiti il 16 novembre scorso nella città di Berdyansk, a ovest di Mariupol, dagli occupanti russi che li accusano, senza alcuna prova, di aver nascosto armi nella casa religiosa dove vivono.
L’unica colpa dei due ieromonaci redentoristi padre Ivan Levytskyi e padre Bohdan Heleta è “quella di amare il proprio popolo, la propria Chiesa, la comunità loro affidata”, afferma invece il capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina in una nota diffusa oggi. Shevchuk si rivolge direttamente alla comunità internazionale, ai rappresentanti diplomatici e alle organizzazioni per i diritti umani perché facciano il possibile per l’”immediato rilascio dei due sacerdoti”, vittime – secondo informazioni ricevute recentemente dal capo della Chiesa greco-cattolica ucraina – di ripetute e brutali torture.
A fianco alla gente
Padre Levytskyi e padre Heleta “avevano deciso di restare con la loro gente anche nei territori occupati. Hanno servito sia le comunità greco-cattoliche sia quelle cattoliche di rito latino, per dare una luce di speranza a coloro che si sono trovati sotto l’occupazione russa”, scrive ancora l’arcivescovo maggiore. E afferma: “Successivamente nella chiesa son stati messi alcuni oggetti militari per accusarli di detenzione illegale di armi”.
Minacce e torture
Shevchuk aggiunge: “Abbiamo ricevuto la triste notizia che i nostri sacerdoti vengono torturati senza pietà”. Ai due sacerdoti “vengono estorte le confessioni dei crimini che non hanno commesso. I nostri due eroici pastori, infatti, sono quotidianamente minacciati di morte sotto tortura”.
La richiesta è quindi di “un immediato rilascio” e che ci sia un’azione comune per “salvare la vita” dei due pastori. Sua Beatitudine si rivolge anche “a tutti i fedeli della nostra Chiesa in Ucraina e negli insediamenti, a tutti i cristiani, a tutte le persone di buona volontà di pregare per la salvezza di questi due sacerdoti”.
Un altro sacerdote catturato
Intanto in queste ore giunge la notizia di un altro sacerdote catturato dai militari russi che lo hanno prelevato con la forza nella sua chiesa, davanti ai fedeli impietriti. Si tratta di don Oleksandr Bogomaz, giovane parroco di Melitopol, portato in un luogo sconosciuto. Anche se, secondo le ultime ricostruzioni, sarebbe stato espulso dai territori occupati e ora si troverebbe a Zaporizhzhia. A ricostruire la vicenda è il nuovo vescovo ausiliare dell’Esarcato arcivescovile di Donetsk, don Maksym Ryabukha, che parlando a Tv2000 spiega: “Dopo la celebrazione della Santa Messa, sono entrati in parrocchia alcuni militari russi e dopo aver dispregiato i cattolici, la preghiera e il loro stare insieme, hanno catturato e portato in un luogo sconosciuto don Oleksandr”. (RV 2022 12 02 Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano)
TESTIMONIANZE – MISSIONARI IN PRIMA LINEA
HAITI – I missionari con il cuore in subbuglio: bande armate assaltano anche chiese e ospedali
“Ogni anno succede qualcosa di grave; quest’anno, e l’anno non è ancora terminato, non ci sono stati né terremoti né cicloni ma una violenza inaudita ha investito il Paese, generato insicurezza, paura, carestia, fame e disperazione e, perché non manchi nulla, è ritornata l’emergenza colera che ha ucciso soprattutto bambini.” A parlare è padre Antonio Menegon, missionario Camilliano, che si dice ‘con il cuore in subbuglio’ per la catastrofe umanitaria che ha investito Haiti. “Anche se nessun media ne parla, è catastrofe umanitaria – sottolinea. Le bande armate che governano il Paese sono sempre più aggressive e ormai gestiscono tutto. I prezzi dei beni primari, quali alimentari, carburanti e farmaci, sono più che triplicati; i giovani violenti hanno distrutto, saccheggiato e bruciato sia depositi di carburante sia supermercati, chiese, depositi di generi alimentari della Caritas e di altre organizzazioni umanitarie internazionali. Gli ospedali, uno dopo l’altro, stanno chiudendo per mancanza di gasolio, di elettricità, di alimentari e di farmaci.”
“Il nostro ospedale, Foyer Saint Camille a Port au Prince, – racconta p. Menegon – è ancora attivo ma non sappiamo fino a quando potrà resistere; più volte sono entrati giovani armati e, fino ad oggi, non hanno portato via nulla ma la paura è stata tanta. In questa situazione è difficile lavorare e assicurare assistenza ai malati.”
I Missionari e il personale non possono uscire dal Centro Ospedaliero per approvvigionamento o per tornare a casa in quanto potrebbero essere uccisi. “Oltre ai 100 bambini disabili ospiti del Foyer Bethléem e agli ammalati ricoverati al Foyer Saint Camille non sappiamo più dove ospitare le donne incinte che devono partorire e i bambini che nascono. Si deve provvedere alle necessità di tutti e anche al personale medico e infermieristico, più di 300 persone vivono all’interno dell’ospedale e a tutti si deve garantire pasti, cure e farmaci. Nonostante tutto questo, dall’inizio dell’anno abbiamo costruito nella zona sud dell’isola, distrutta dal terremoto dell’agosto 2021 scuole e case, arrivando a costruire 40 case e 5 scuole.”
(AM) (Agenzia Fides 2/12/2022)
SUD SUDAN – Alto Nilo: Oltre seimila persone costrette alla fuga per l’assalto al campo di accoglienza di Aburoch
“Qui i combattimenti sono molto pesanti e vedere la luce della pace appare difficile” dice all’Agenzia Fides Suor Elena Balatti, missionaria comboniana responsabile della Caritas della diocesi di Malakal nello Stato dell’Alto Nilo, in Sud Sudan, dove da agosto infuriano i combattimenti tra diverse fazioni armate.
L’ultima tragedia in ordine tempo è l’assalto compiuto da un gruppo armato al campo di accoglienza di Aburoch, nella Contea di Fashoda dell’Alto Nilo, che ospitava circa 5/6mila sfollate dalla guerra precedente (2013-18). “Queste persone provenienti da altre aree erano riuscite nel corso degli anni a ricostruire la loro esistenza creando piccoli commerci” dice Suor Elena. “Il brutale assalto al loro campo (è il secondo campo per sfollati attaccato negli ultimi giorni) ha spezzato tutto questo. Gli ospiti della struttura sono stati costretti alla fuga attraverso le paludi. Vi sono stati diversi morti ma non sappiamo quanti sono” riferisce la missionaria. “Questa notte la barca della Caritas che portava i rifornimenti lungo il Nilo bianco ha incontrato un gruppo di queste persone e per tutta la notte ha fatto la spola per trasportarle in un luogo sicuro. È stata un’impresa impegnativa. La barca si avvicinava il più possibile all’area paludosa da dove partivano le piroghe cariche di sfollati che venivano caricate sull’imbarcazione. Questa ripartiva, scaricava le persone per poi ritornare al punto di raccolta e ricominciare da capo”.
Per suor Elena la recente sospensione della partecipazione del governo sud-sudanese ai colloqui di pace di Roma “è stata una doccia fredda ma questo non significa che la “porta per la pace sia definitivamente chiusa”.
A metà novembre il governo di Juba ha annunciato la “sospensione della sua partecipazione ai colloqui di pace di Roma”, accusando i gruppi di opposizione sud sudanesi non firmatari (NSSSOG) di “mancanza di impegno”.
In questo contesto, sono attesi a Juba dal 3 al 5 febbraio Papa Francesco, l’arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby, leader della Comunione anglicana mondiale, e il pastore Iain Greenshields, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. “La loro visita dimostra l’impegno delle comunità cristiane per la pace Sud Sudan. Una visita che attendiamo con speranza, anche per gettare luce su situazioni come quella che stiamo vivendo qui nell’Alto Nilo sulle quali la stampa internazionale tace” dice la missionaria, che sottolinea che “si tratta di dare visibilità alle sofferenze di queste popolazioni che dall’agosto di quest’anno vivono in situazione di guerra”. (L.M.) (Agenzia Fides 6/12/2022)
SIRIA – In Siria la gente muore di fame. La testimonianza di suor Myri
La crisi economica, conseguenza di 12 anni di guerra e di sanzioni imposte al regime di Damasco, sta portando la popolazione siriana a vivere una situazione drammatica. La testimonianza di suor Maria Lucia Ferreira della Congregazione delle Monache dell’Unità di Antiochia, rilasciata ad ACS Portogallo
“La situazione è terribile, in Siria alcune persone stanno soffrendo la fame”. È l’appello di suor Maria Lucia Ferreira, della Congregazione delle Monache dell’Unità di Antiochia, consegnato alla Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS) Portogallo. La religiosa, che vive nel Monastero di San Giacomo il Mutilato, nel villaggio di Qara, ha descritto la realtà che si vive oggi nel Paese, in seguito alle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione europea al governo di Bashar al-Assad, alla costante svalutazione della moneta locale – la lira siriana – rispetto al dollaro, ma anche a causa della pandemia di Covid-19, che ha indebolito la Siria. La religiosa parla di persone alla fame, descrive una popolazione impoverita, che vive praticamente senza elettricità e che ora dovrà affrontare le rigide giornate invernali senza potersi riscaldare.
“La gente sta già morendo di fame”
“La situazione economica in Siria è davvero pessima” sottolinea suor Maria Lucia, meglio conosciuta come suor Myri, “soprattutto nelle grandi città, avendo la guerra distrutto molti posti di lavoro e molte strutture”, la sopravvivenza quotidiana è qualcosa di drammatico. Nel racconto della religiosa la storia di una famiglia di cinque persone con un solo stipendio. “Se comprano il riso, non possono comprare la verdura, e se comprano la verdura, non possono comprare il resto” ha spiegato. Per non parlare poi dei vestiti, degli articoli per la casa, delle scarpe, che “costano – ha affermato – un quarto dello stipendio o anche la metà”. o dell’olio d’oliva, di cui – ha aggiunto – se ne può acquistare solo un litro al mese.
Una grave situazione economica
Questa drammatica situazione vissuta dalle comunità siriane è destinata a peggiorare con l’arrivo delle fredde giornate invernali, avverte la suora, essendo estremamente costoso l’acquisto del mazut, l’olio per il riscaldamento, o della legna da ardere, ed essendo quasi inesistente l’elettricità. “Non so cosa succederà”, dichiara preoccupata suor Myri, che si è detta grata ad ACS, per aver commissionato, in occasione della Campagna di Natale, alcuni manufatti ricamati in lana dalle donne cristiane del villaggio di Qara, la cui vendita aiuterà “molte persone ad avere speranza”. “Iniziative come questa – conclude suor Myiri – sono davvero una benedizione”.
(RV 23 novembre 2022)