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2022 12 21 VESCOVI IMPRIGIONATI: NICARAGUA

Fonte:
CulturaCattolica.it
VESCOVI IMPRIGIONATI: NICARAGUA - il vescovo Álvarez accusato di cospirazione e messo agli arresti domiciliari ERITREA - «Nessuno sa dove il regime ha rinchiuso monsignor Hagos»
NIGERIA- Nuovo rapimento di un prete in Nigeria
TESTIMONIANZE: SIERRA LEONE, SIRIA

NICARAGUA - il vescovo Álvarez accusato di cospirazione e messo agli arresti domiciliari
Associazione a delinquere finalizzata a minare l’integrità nazionale e a diffondere notizie false a danno dello Stato e della società: questa la formulazione del capo d’accusa nei confronti del pastore di Matagalpa, già costretto nella sua residenza dal 19 agosto scorso. Da tempo nel Paese latinoamericano sono in atto gesti persecutori nei confronti della Chiesa cattolica per un presunto sostegno agli oppositori del governo Ortega

Attraverso un comunicato diffuso nella giornata di ieri, l’ufficio stampa del Complesso giudiziario di Managua informa che per il vescovo Rolando José Álvarez Lagos è stata ammessa l’accusa presentata dal pubblico ministero della Procura per l’adempimento dei requisiti procedurali, che consiste nell’associazione a delinquere finalizzata a minare l’integrità nazionale e a diffondere notizie false attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione a danno dello Stato e della società nicaraguense. L’autorità giudiziaria, si precisa nella nota, ha inoltre nominato un difensore d’ufficio per il vescovo, disponendo per lui gli arresti domiciliari e fissando una prima udienza per il 10 gennaio 2023. Nel comunicato si aggiunge che degli stessi reati è accusato il sacerdote Uriel Antonio Vallejos, considerato “latitante” e per il cui arresto l’autorità giudiziaria ha inviato un mandato all’Interpol.

Una vicenda iniziata il 19 agosto scorso
Monsignor Álvarez Lagos, vescovo della diocesi di Matagalpa, è il primo vescovo a essere arrestato e incriminato da quando il presidente Daniel Ortega è tornato al potere in Nicaragua nel 2007. Era stato prelevato dal palazzo vescovile all’alba dello scorso 19 agosto da agenti di polizia, assieme a sacerdoti, seminaristi e laici, dopo essere stato tenuto forzatamente rinchiuso per 15 giorni nella propria residenza con l’accusa di aver tentato di “organizzare gruppi violenti”, presumibilmente “con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato nicaraguense e attaccare le autorità costituzionali”. Il vescovo era stato poi riportato dalla polizia in Curia, agli arresti domiciliari, mentre le altre persone erano state condotte in una caserma della polizia per accertamenti. Lo scorso ottobre, Ortega ha avuto parole dure nei confronti della Chiesa cattolica, accusandola di non praticare la democrazia, di essere una “dittatura” e di aver usato “i vescovi in Nicaragua per organizzare un colpo di Stato” contro il suo governo, nel contesto delle manifestazioni scoppiate nell’aprile 2018 per le controverse riforme della sicurezza sociale.

Una lunga serie di atti persecutori
L’atto di forza perpetrato ai danni del vescovo e delle altre persone il 19 agosto si inserisce in una serie di gesti persecutori nei confronti della Chiesa cattolica in Nicaragua accusata di sostenere gli oppositori del governo sandinista di Ortega. In precedenza il governo sandinista aveva espulso dal Paese il nunzio apostolico Waldemar Stanislaw Sommertag e 18 suore dell’ordine delle Missionarie della Carità, fondato da Madre Teresa di Calcutta. Inoltre, sono state chiuse nove stazioni radio cattoliche e rimossi tre canali cattolici dalla programmazione televisiva. Numerosi anche gli atti intimidatori come l’irruzione delle forze di polizia in una chiesa parrocchiale impedendo ai fedeli di ricevere l’Eucaristia, il divieto posto all’arcidiocesi di Managua di organizzare una processione con l’immagine pellegrina della Vergine di Fatima e altre processioni religiose.

La preoccupazione di Papa Francesco
Del prelevamento forzato di monsignor Álvarez e delle altre persone dalla Curia arcivescovile, Papa Francesco aveva parlato all’Angelus di domenica 21 agosto. “Seguo da vicino con preoccupazione e dolore - aveva detto - la situazione creatasi in Nicaragua che coinvolge persone e istituzioni. Vorrei esprimere la mia convinzione e il mio auspicio che, per mezzo di un dialogo aperto e sincero, si possano ancora trovare le basi per una convivenza rispettosa e pacifica”.

La vicinanza delle altre Chiese
In seguito agli eventi, diverse Conferenze episcopali dell’America Latina, dei Caraibi e del resto del mondo, così come organizzazioni civili, avevano pubblicato comunicati e lettere di vicinanza e solidarietà alla Conferenza episcopale nicaraguense, in particolare per la situazione di monsignor Álvarez, e di condanna della crescente ostilità del governo nei confronti della Chiesa.
(RV 14 dicembre 2022, Adriana Masotti)

ERITREA - «Nessuno sa dove il regime ha rinchiuso monsignor Hagos»
Sono passati due mesi dall’arresto senza precedenti del vescovo cattolico di Saganeiti. «Non ha fatto altro che difendere il popolo e dare voce alla sua gente. L’arresto non ha alcuna base legale».
Intervista al sacerdote eritreo Mussie Zerai

Sono passati due mesi da quando monsignor Abune Fikremariam Hagos, vescovo cattolico di Saganeiti, è stato arrestato in Eritrea all’aeroporto della capitale Asmara «e ancora non si sa nulla: né dove si trovi né quali siano le sue condizioni». Lo dichiara a Tempi padre Mussie Zerai, sacerdote eritreo, fondatore e presidente dell’agenzia di informazione Habeshia. L’Eritrea è tristemente conosciuta per le costanti violazioni della libertà religiosa da parte del regime di Isaias Afewerki, ma il governo non si era mai spinto fino al punto di arrestare un vescovo cattolico. A inizio ottobre, la settimana precedente al fermo del prelato, erano stati arrestati altri due preti cattolici.

È vero, come si dice, che monsignor Hagos è stato rinchiuso nella famigerata prigione di Adi Abeito?
È solo un sentito dire motivato dal fatto che si tratta del carcere più conosciuto e vicino ad Asmara, ma nessuno ha potuto visitato dal giorno dell’arresto e nessuno sa dove sia davvero. Di solito, una personalità del suo calibro non viene rinchiusa con altri prigionieri, ma viene separata da tutti.

Con quali accuse è stato arrestato?
Non esistono accuse formali, il regime non ha comunicato nulla. Questo arresto non ha alcuna base legale.

Che cosa potrebbe aver spinto il regime a tanto?
Monsignor Hagos si è limitato nell’ultimo periodo a chiedere spiegazioni al regime circa la confisca delle scuole e delle cliniche cattoliche da parte del governo. Ha anche protestato per come venivano trattati i fedeli della sua diocesi: quando una persona scappa dall’Eritrea, infatti, il regime perseguita la sua famiglia, sbattendo i parenti fuori di casa o sequestrando loro il bestiame, che è l’unica fonte di sostentamento per i contadini. Il vescovo non ha fatto altro che occuparsi del suo gregge e dare voce alla sua gente, chiedendo pubblicamente spiegazioni.

Perché il governo perseguita la Chiesa cattolica?
È impossibile capire quali siano le ragioni che spingono il governo a comportarsi in questo modo. La chiusura delle cliniche e delle scuole è iniziata nel 2019, ma l’ultimo istituto è stato chiuso a settembre. Anche questa decisione è incomprensibile: i cattolici si prendono cura di tutta la popolazione, perché impedirglielo?
In base a un proclama del 1995 tutti i servizi sociali in Eritrea, inclusi scuole e ospedali, devono essere gestiti dallo Stato. La norma inoltre limita le attività di sviluppo delle istituzioni religiose.
Anche allora la Chiesa aveva protestato, ricordando che la sua predicazione va di pari passo con la carità verso il popolo. È chiaro che la Chiesa non può esimersi dal parlare di diritti e giustizia. Di conseguenza, il vescovo Hagos non ha potuto fare a meno nell’ultimo periodo di parlare dei giovani eritrei, inviati come carne da macello in una guerra (quella nella regione del Tigray, in Etiopia – ndr) che non ci riguarda. Il vescovo ha solo richiamato a lavorare per la pace, la giustizia e la dignità delle persone.
(…)
(LeoneGrotti TEMPI 18/12/2022)

NIGERIA- Nuovo rapimento di un prete in Nigeria; liberato p. Kunat, rapito l’8 novembre

Nuovo rapimento di un sacerdote cattolico in Nigeria, P. Christopher Ogide, parroco associato della parrocchia Maria Assumpta di Umuopara, diocesi di Umuahia nello Stato di Abia, nel sud della Nigeria.
In una dichiarazione rilasciata dal Cancelliere diocesano, p. Henry Maduka, si afferma che il rapimento è avvenuto il 17 dicembre, al cancello d’ingresso della casa parrocchiale mentre p. Ogide stava andando a fare rifornimento di carburante in un vicino distributore.
Il Vescovo di Umuahia, Mons. Michael Kalu Ukpong, ha invitato i fedeli della Diocesi alla preghiera perché il sacerdote sia rilasciato al più presto sano e salvo.
La notizia di un nuovo rapimento di un sacerdote giunge subito dopo la liberazione di p. Abraham Kunat, rapito l’8 novembre, a St Mulumba, Kurmin Sara nello stato di Kaduna, nel nord della Nigeria (vedi Fides 9/11/2022). P. Kunat è parroco della chiesa di San Bernardo, Idon Gida, ma a causa della situazione di insicurezza nella zona, il sacerdote risiedeva nella parrocchia di St Mulumba, dove però è stato rapito.
L’esplosione dei sequestri di persona è una vera e propria piaga sociale in quasi tutta la Nigeria, da nord a sud, e non riguarda solo i sacerdoti. Proprio nello Stato di Abia, dove è stato rapito p. Ogide, l’unità antisequestro della polizia ha smantellato due bande di rapitori transfrontalieri, uccidendo quattro dei loro membri e liberando due donne tenute prigioniere in attesa di un riscatto. (L.M.) (Agenzia Fides 20/12/2022)

TESTIMONIANZE

SIERRA LEONE - La resilienza dei cristiani che confidano in Dio, e da Dio sono custoditi nella speranza

I cristiani sono un popolo strano perché vivono in un mondo dannato e tuttavia affermano che è stato redento”, ha detto l’arcivescovo di Freetown Eduardo Tamba Charles riprendendo una citazione del filosofo tedesco Martin Heidegger.
L’occasione è stata il messaggio di Natale, rivolto al Paese e condiviso domenica 18 dicembre, in merito al grande senso di resilienza dimostrato dalla popolazione tra COVID-19 e le conseguenti implicazioni economiche ulteriormente aggravate dalla guerra in Ucraina.
“Gran parte del mondo stava per riprendersi dalla pandemia di COVID-19 quando la Russia ha invaso l’Ucraina, definendola ‘operazione speciale’, i cui effetti si fanno sentire in tutto il mondo. Eppure, in mezzo a queste calamità, noi cristiani ci stiamo preparando a celebrare la nascita di Gesù Cristo, il Principe della pace”, dice l’arcivescovo, “C’è qualcosa che non va in noi cristiani? Siamo pazzi o indifferenti a tutta questa sofferenza?” si chiede evidenziando come nonostante le difficoltà, compresi i conflitti e le guerre in molti paesi africani, i cristiani siano custoditi nella speranza.
Le fragili economie di molte nazioni, specialmente quelle dei paesi in via di sviluppo, stanno quasi crollando sotto il peso degli alti costi dei combustibili fossili e dei beni di prima necessità. “In molte parti del mondo, compreso il continente africano, ci sono conflitti e guerre di vario genere e grado. Aggiungiamo disastri naturali, come inondazioni, frane, siccità e carestie causate da condizioni meteorologiche avverse attribuite al riscaldamento globale e al clima”, afferma l’ordinario locale dell’arcidiocesi di Freetown, elogiando il popolo di Dio per essere rimasto resiliente in mezzo a criticità così travolgenti.
L’arcivescovo, che è anche presidente del Consiglio interreligioso della Sierra Leone (IRCSL) ha ricordato come “Dio onnipotente abbia deciso di inviare suo Figlio, Gesù Cristo, per salvare l’umanità dal peccato in una situazione piuttosto disordinata del mondo. L’intenzione di Dio - afferma il presidente dell’IRCSL - era anche quella di “riportare uomini e donne alla loro nobile origine di creature a immagine e somiglianza di Dio e renderli coeredi del suo regno attraverso suo Figlio, Gesù Cristo.”
L’arcivescovo Tamba Charles ha incoraggiato i fedeli in difficoltà a non perdere mai la fiducia in Dio. “E’ in situazioni difficili, come quella che sta vivendo la gente, che Gesù è nato. Il mondo non è cambiato, anche se la popolazione mondiale è aumentata così tanto, la tecnologia si è sviluppata enormemente e i servizi medici hanno fatto passi da gigante, il desiderio di uomini e donne di dominare i loro simili, e in alcuni casi sfruttarli per i loro benefici, non è cambiato”.
“Anche se siamo consapevoli e, nella maggior parte dei casi, molti di noi vittime delle dure condizioni economiche e climatiche nei nostri paesi o comunità, nondimeno crediamo che Dio sia degno di fiducia e quindi alla fine porterà a compimento la pace che ha promesso per il suo mondo. È con questo pensiero che celebriamo con gioia ogni anno la nascita di Gesù Cristo, fiduciosi che la pace che Dio ha promesso al mondo attraverso suo Figlio un giorno, alla maniera di Dio e nel tempo di Dio, diventerà una realtà. Nel frattempo, cerchiamo di essere gli ambasciatori di Dio di pace, amore, perdono e riconciliazione in situazioni di odio e conflitto”, ha concluso.
(AP) (Agenzia Fides 20/12/2022)

SIRIA - la testimonianza di padre Jallouf: “Guerra e sofferenze, ma Dio non ci ha mai tradito”
Il francescano è nel Paese mediorientale dall’inizio del conflitto, sempre al servizio dei poveri e dei vulnerabili. Sequestrato dai miliziani nel 2014, è rimasto da solo, insieme a un confratello, ad assistere spiritualmente e materialmente i cristiani nel Governatorato di Idlib
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Nei giorni scorsi è stato premiato da Papa Francesco: “Il riconoscimento uno spiraglio di speranza per la mia gente”

È una testimonianza del Vangelo silenziosa quella dei cristiani dei tre villaggi di Knaye, Yocoubieh e Gidaideh, nella Valle di Oronte, a 43 chilometri da Antiochia, nel Governatorato di Idlib, in mano ai jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham. Dodici anni fa erano in 10 mila, oggi sono appena 600, poco più di 200 famiglie. Qui padre Hanna Jallouf è rimasto l’unico religioso, insieme ad un confratello, a portare conforto spirituale, materiale e sanitario. “Sono tutti scappati via”, racconta ai microfoni di Vatican News – Radio Vaticana di cui è ospite. “Ormai siamo sotto la guerra da dodici anni, sotto la dominazione dei jihadisti, lontani dal governo non abbiamo risorse economiche o forze per proteggerci”.

Il rapimento nel 2014
Gli occhi di padre Jallouf rivelano la sofferenza del popolo siriano, tradiscono i timori per un destino oscuro, ma irradiano anche la luce di una speranza certa, fondata su Cristo. “Il Signore è sempre stato con noi, non ci ha mai tradito. Neanche quando sono stato rapito”, dice, ricordando il sequestro dei miliziani nel 2014. “Volevano costringermi alla conversione, ma il Signore mi ha dato la forza e il coraggio di testimoniare la fede cristiana”.

Vivere la fede con le restrizioni
Senza soldi, senza difesa i cristiani di queste terre vivono una quotidianità fortemente condizionata. “La nostra testimonianza è la vita, la gente con cui viviamo sa bene che siamo reali, siamo sinceri e di buona condotta. Noi mandiamo avanti la baracca, ma ci sono tante difficoltà”. Ad esempio, spiega il frate, “siamo costretti a vivere e testimoniare la nostra fede solo dentro le chiese. All’esterno è stato cancellato ogni nostro simbolo religioso, non possiamo suonare le campane, non possiamo vestire il saio francescano, le donne devono coprirsi. Il contesto è molto difficile”.
“Ma nonostante queste restrizioni”, prosegue Jallouf con un sorriso, “la nostra fede cresce. Più stringono, più ci allarghiamo. Anche a Natale potremo svolgere le nostre celebrazioni eucaristiche, le novene o allestire il presepe dentro la chiesa, ma fuori o dentro le case è vietato persino fare l’albero di Natale”.

Natale
La speranza del francescano è che arrivi presto un giorno di pace in cui vivere in pienezza il Natale. A rafforzarlo in questo sentimento è arrivato come un dono inatteso l’incontro nei giorni scorsi con Papa Francesco in occasione della consegna del riconoscimento “Fiore della Gratitudine” promosso dal Dicastero per il Servizio della Carità, simbolo dell’amore che tiene in piedi il mondo e omaggio a Madre Teresa di Calcutta. “Questo riconoscimento è una gioia dopo tante sofferenze per il mio popolo e la mia gente. Ricevere il fiore ha rappresentato per me e per il nostro popolo uno spiraglio di speranza e gioia. Quando mi ha chiamato il cardinale Mario Zenari, il nostro nunzio, mi ha detto: ‘Il Santo Padre vuole premiarti’. Ho risposto: ‘Non sono degno’. ‘Vieni e vedi’, mi ha detto lui. E allora ho pensato: facciamo come San Paolo quando è entrato a Damasco e gli hanno detto ‘Entra e lì saprai cosa devi fare’. Sono serviti tre giorni e tre notti solo per arrivare ad Aleppo”.

L’incoraggiamento del Papa
Il francescano ha avuto modo anche di parlare personalmente con il Papa: “Ha espresso la sua vicinanza alla nostra gente insieme all’augurio che possa finire questa guerra e presto si conseguano la pace, vera e sicura, la giustizia e il sollievo per il nostro popolo”.
(RV 20 dicembre 2022 Paolo Ondarza)

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