Condividi:

2023 03 08 CAMERUN - Rapito e ucciso un sacerdote

Fonte:
CulturaCattolica.it
CAMERUN - Rapito e ucciso un sacerdote TANZANIA - Atti vandalici ai danni della Cattedrale di Geita HAITI - Libero il missionario Clarettiano rapito ad Haiti TESTIMONIANZE: IRAN - “I cristiani sono costantemente sorvegliati come spie” CINA - La morte di sr. Jiang: un secolo di fedeltà al Vangelo in Cina

CAMERUN - Rapito e ucciso un sacerdote

Rapito e ucciso un sacerdote cattolico in Camerun. P. Olivier Ntsa Ebode, è stato trovato morto il 1°marzo a Obala, comune nel dipartimento di Lékié nella regione centrale del Camerun.
Secondo quanto riferito dalla stampa locale, alcuni uomini si sono presentati a casa sua nella notte tra il 28 febbraio e il 1° marzo affermando che una loro congiunta non stava bene e che aveva bisogno dei suoi servizi religiosi. Il sacerdote ha accettato di salire in macchina con loro per recarsi sul posto. Lungo la strada è stato assassinato e poi buttato fuori dal veicolo.
Il corpo del sacerdote è stato ritrovato nel primo mattino ed è stato portato all’obitorio di Obala. L’annuncio della sua morte ha suscitato grande emozione tra i fedeli della Chiesa cattolica e la comunità locale dove p. Olivier era noto per il suo impegno per la pace e la giustizia sociale. (L.M.) (Agenzia Fides 7/3/2023)

TANZANIA - Atti vandalici ai danni della Cattedrale Saint Mary Queen of Peace di Geita

“Era l’1:56 della notte del 26 febbraio quando p. Charles Kato, uno dei Sacerdoti residenti nell’episcopio, ha ricevuto una telefonata da una delle guardie che gli chiedeva di andare immediatamente in Cattedrale. Arrivato sul posto la guardia ha informato il sacerdote della presenza di una persona all’interno della Chiesa che in quel momento correva avanti e indietro dal presbiterio alla sagrestia rompendo e distruggendo qualsiasi cosa davanti a lui”. Lo ha riferito direttamente il vescovo di Geita, Flavian Matindi Kassala, parlando del tragico evento verificatosi il 26 febbraio scorso quando, uno sconosciuto dopo essersi introdotto nottetempo nella Cattedrale, ha distrutto immobili e paramenti liturgici, nonché dissacrato il Santissimo Sacramento con la distruzione del tabernacolo. L’indagine della polizia è ancora in corso, e sembra che l’interessato abbia agito da solo.
In tutta la diocesi l’intera comunità cattolica è stata invitata a pregare. La Cattedrale rimarrà chiusa alle Celebrazioni Eucaristiche fino al prossimo 18 marzo.
La Diocesi di Geita si trova nel nord della Tanzania, il territorio comprende tutti e 5 i distretti civili della nuova regione omonima più Sengerema della regione di Mwanza.
(AP) (Agenzia Fides 2/3/2023)

BUONA NOTIZIA

HAITI - Libero il missionario Clarettiano rapito ad Haiti

“E’ riuscito miracolosamente a sfuggire ai rapitori il 17 febbraio, dopo 10 giorni di sequestro”, riferisce all’Agenzia Fides padre Fausto Cruz Rosa cmf, Superiore Maggiore dei missionari Clarettiani delle Antille, in merito alla vicenda di padre Antoine Macaire Christian Noah rapito lo scorso 7 febbraio mentre andava verso la sua comunità di Kazal (vedi Agenzia Fides 10/2/2023).
La banda criminale artefice del sequestro aveva chiesto una ingente somma di denaro in cambio del sacerdote. “Padre Antoine sta bene e siamo riusciti a trasferirlo nella Repubblica Dominicana”, ha aggiunto il Superiore dei Clarettiani.
“Siamo grati a tutti per esservi uniti a noi nella preghiera e per la solidarietà che ci avete dimostrato in questo contesto di violenza e incertezza che sta vivendo il popolo haitiano. Da parte nostra continueremo nel nostro impegno a servire” conclude padre Fausto.
(AP) (Agenzia Fides 28/2/2023)

TESTIMONIANZA

IRAN - “I cristiani sono costantemente sorvegliati come spie”

Una conversazione con la pastora iraniana Dabrina Bet-Tamraz prima della sua testimonianza al Parlamento europeo a Bruxelles.

Costretta a fuggire da Teheran nel 2010 a causa della sua fede, questa signora cristiana assira è ora pastora in una comunità protestante di lingua tedesca in Svizzera. È un’instancabile attivista per la libertà religiosa in Iran, essendo stata la voce di chi non ha voce alle Nazioni Unite, nel suo incontro con il presidente degli Stati Uniti e nei think tank americani.

I genitori di Dabrina, il pastore Victor Bet-Tamraz åe Shamiram Issavi Khabizeh, sono stati condannati a 15 anni di carcere. Sono fuggiti dall’Iran nel 2020 quando sono stati convocati per iniziare a scontare le loro pene detentive e hanno raggiunto la figlia in Svizzera.

“Cosa significa essere cristiani in Iran”, ho chiesto a Dabrina come prima domanda.

“Durante la mia vita a Teheran siamo stati sempre pedinati da ufficiali del ministero dell’Intelligence e della polizia, ha detto. Ovunque andassimo, seguivano la nostra macchina e ci fotografavano. Mi hanno persino seguito quando ero solo per strada e hanno inviato la mia foto ai miei genitori per mostrare che stavano guardando ognuno di noi in famiglia. Abbiamo perso la nostra privacy. Ci chiamavano regolarmente per controllare dove eravamo. In diverse occasioni hanno fatto irruzione in casa nostra, solo per dimostrare che eravamo sotto sorveglianza. Questo è ciò che significava essere un cristiano in Iran. Mi ero abituata a quel tipo di vita. Era così normale che quando ho iniziato a vivere in un altro paese, sono rimasto scioccata nel rendermi conto che non era affatto normale. Mi ci sono voluti otto anni in Svizzera per smettere di guardarmi indietro nello specchietto della mia macchina e controllare tutte le macchine che passavano prima di parcheggiare”.

“Sei stato arrestata mentre vivevi in Iran?”

“Quando avevo 17 anni, ho trascorso tre anni e mezzo in Inghilterra per studiare teologia evangelica. Sono tornata a casa nel 2007 e ho iniziato a studiare psicologia all’università, ma servivo anche la chiesa con i miei genitori. Sono stata arrestata più volte nel 2009 quando la nostra chiesa è stata chiusa dalle autorità. Sono stata ripetutamente chiamata per interrogatori dalla polizia. Volevano che ‘collaborassi’ con loro, il che significava dare loro i nomi dei nostri membri e dirigenti, gli orari ei luoghi delle nostre riunioni private, il numero di persone presenti ma anche le attività dei pastori in altre città. Volevano che lavorassi per loro come spia della mia famiglia, della nostra chiesa ma anche di altre chiese. Poiché mi sono rifiutata di farlo, mi hanno minacciato di stupro, arresto e reclusione per cinque anni.

“L’articolo 13 della costituzione iraniana riconosce cristiani, ebrei e zoroastriani come minoranze religiose protette con il diritto di praticare liberamente il culto e di formare società religiose, ma la tua immagine della vita religiosa in Iran è molto diversa e suggerisce che le minoranze religiose sono gravemente discriminate. Come puoi spiegarlo?

“Il cristianesimo è riconosciuto solo in parte, e soffriamo di dure limitazioni nella pratica della nostra fede, nella nostra libertà di riunione e di culto. Dalla rivoluzione del 1979, il regime ha imposto una nuova identità al popolo iraniano che si basa sulle credenze religiose delle persone. Se sei un musulmano sciita, nessun problema. Se non sei un credente sciita, dovrai affrontare delle restrizioni. Da bambino sono stato discriminata e stigmatizzata a scuola. I bambini cristiani erano considerati “impuri” e maltrattati. Negli anni ’90, più di otto pastori e dirigenti ecclesiastici sono stati uccisi a causa della loro fede. Mio padre veniva arrestato e interrogato regolarmente. Gli è stato chiesto di “collaborare” con le autorità. Poiché non l’ha fatto, è stato discriminato e minacciato.

“Mio padre è stato arrestato nel 2014, mio fratello e mia madre nel 2016, a causa delle loro attività in chiesa e per presunta azione contro la sicurezza nazionale e addestramento di spie. Mio fratello è ancora in Iran con la sua famiglia. Ha trascorso tre mesi in prigione, e poi sei mesi. È stato rilasciato nel 2020 durante l’epidemia di coronavirus. È ancora fuori di prigione in questo momento.

“Hai detto che i cristiani hanno sopportato restrizioni alla pratica della loro fede. Puoi fare qualche esempio?”

“L’Iran ha firmato la Dichiarazione universale dei diritti umani e il Patto internazionale sui diritti civili e politici. Secondo questi strumenti internazionali, tutti i cittadini dell’Iran dovrebbero godere pienamente del diritto alla libertà di religione, compreso il diritto di condividere le proprie convinzioni e il diritto di convertirsi. Prima che Mahmoud Ahmadinejad fosse presidente dell’Iran dal 2005 al 2013, ci era permesso svolgere servizi religiosi in farsi, la lingua ufficiale dell’Iran, e avere letteratura religiosa in farsi. Quando Ahmadinejad è diventato presidente, non ci è stato più permesso di condurre servizi in lingua farsi, di avere letteratura o libri in farsi. Solo gli assiri potevano entrare nella chiesa e si poteva usare solo la lingua degli assiri. I musulmani convertiti al cristianesimo non sono stati riconosciuti come cristiani dalle autorità sebbene siano la maggioranza nella comunità cristiana dell’Iran. Non ci era permesso avere iraniani e convertiti nella chiesa. Non ci è stato permesso di adorare in persiano. Sotto Ahmadinejad, i protestanti erano considerati terroristi, sionisti e una minaccia alla sicurezza nazionale. Dieci anni dopo il governo di Ahmadinejad, ai cristiani come noi non è ancora permesso condividere la loro fede con gli iraniani nella loro lingua”.

“È stato facile ottenere asilo politico in Svizzera?”

“Sono andata in Svizzera, pensando che la situazione sarebbe migliorata in Iran e sarei potuta tornare a casa sei mesi o un anno dopo. Dopo qualche tempo ho capito che non c’era speranza e ho chiesto asilo politico. Mi ci sono voluti due anni per ottenere questo status. Ho dovuto fornire la prova che ero davvero una cristiana assiro e che io e la mia famiglia eravamo perseguitati in Iran. Dopo 12 anni trascorsi in Europa, è ancora la mia speranza e il mio sogno tornare in un Iran libero”.

(02/10/2023 BITTER WINTER WILLY FAUTRÉ)

TESTIMONIANZA
CINA - La morte di sr. Jiang: un secolo di fedeltà al Vangelo in Cina

La diocesi di Nanjing piange la scomparsa di una religiosa di 104 anni. Già nel 1945, prima dell’avvento dei comunisti, aveva preso i voti tra le Figlie della Carità. Mandata a lavorare in fabbrica durante la Rivoluzione culturale, di quel periodo durissimo raccontava: “Non ho mai perso la speranza perché avevo fede in Dio”. Solo a 64 anni era potuta tornare a svolgere il suo ministero nella città di Wuxi. Nel 2000 aveva avuto la gioia di incontrare a Roma Giovanni Paolo II.

Quasi ottant’anni di vita religiosa vissuti attraversando anche le stagioni più difficili per i cattolici in Cina. È la storia di sr. Jiang Lihua, una religiosa scomparsa ieri nella provincia cinese dello Jangsu. Nata il 29 dicembre 1918 aveva ormai 104 anni (che diventano però 106 secondo il conteggio orientale, basato sui capodanni lunari). Proveniente da una famiglia cattolica da generazioni, già negli anni Quaranta si era accostata alla congregazione delle Figlie della Carità a Shanghai e aveva emesso i primi voti nel 1945. Era dunque uno dei volti - ormai per ragioni anagrafiche sempre più rari in Cina - di quella generazione di sacerdoti e religiose formatisi prima della Rivoluzione comunista di Mao e che dopo l’espulsione di tutti i missionari stranieri si trovarono a dover vivere a partire dagli anni Cinquanta la prova della fedeltà alla propria vocazione nel nuovo contesto venutosi a creare.

La sua storia sr. Jiang l’aveva raccontata personalmente qualche anno fa in un’intervista e in un video pubblicati dall’agenzia UcaNews, che aveva raccolto la sua testimonianza durante un suo soggiorno a Hong Kong. L’anziana religiosa - già allora alle soglie del secolo di vita - aveva ricordato gli anni più duri, quelli della Rivoluzione culturale, quando nel furore ideologico del 1966 anche lei venne rimandata dalla Guardie rosse al suo villaggio d’origine nello Jangsu. Persino alcuni dei suoi parenti - raccontò - la guardavano con sospetto perché era stata una suora. Si ritrovò a lavorare in una fabbrica alimentare.

“La vita era senza valore a quei tempi - ricordava -. Nessuno ti considerava. Qualcuno mi disse di sposarmi, ma mia sorella non era d’accordo. Anch’io non volevo. Ero convinta che Dio avrebbe provveduto a me”. La sua forza in quegli anni fu la fedeltà alla preghiera: “Non recitavo le preghiere davanti agli altri - ricordava ancora - ma nel profondo del mio cuore, senza testi ma a memoria, chiedevo l’aiuto di Dio per non essere tentata di cadere e per avere la possibilità di tornare alla mia congregazione. Non ho mai perso la speranza perché avevo fede in Dio”.

Quel desiderio poté avverarsi con le prime aperture degli anni Ottanta: fu allora che sr. Jiang, allora 64enne, poté tornare a lavorare per la Chiesa nella città di Wuxi nella diocesi di Nanjing. E da allora lì ha continuato a svolgere con fedeltà il suo ministero. Di quei primi anni sempre nell’intervista a UcaNews ricordava la sfida di tornare a trasmettere la fede: “Ogni estate organizzavamo corsi di catechismo e di studio della Bibbia per i bambini, con circa 200 partecipanti”.

In occasione del Giubileo del 2000, grazie a un permesso speciale, aveva ottenuto di poter recarsi in Francia alla casa madre delle Suore della Carità. Durante quel viaggio si recò anche in pellegrinaggio a Roma ed ebbe la possibilità di incontrare personalmente Giovanni Paolo II. Rientrata in Cina aveva però tenuto per un certo tempo nascosta la fotografia di quell’incontro, per timore di possibili sanzioni da parte delle autorità locali.

Sul suo ministero nel 2016 diceva: “Non posso fare la differenza nel mondo a questa età, ma credo fermamente che Dio abbia un suo piano per la Chiesa cattolica in Cina”.

(AsiaNews 2023 02)

Vai a "Cristiani perseguitati. Memoria e preghiera"