2023 04 12 - PASQUA
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NICARAGUA - Ortega arresta anche la Pasqua: tutte le processioni sono vietate
TESTIMONIANZE: MYANMAR, DAMASCO, ALEPPO.
PASQUA in NIGERIA - Assalita chiesa pentecostale; nuovo rapimento di massa di studenti
Assalita nelle prime ore del 2 aprile, domenica delle Palme, la chiesa pentecostale situata ad Akenawe
Assalita nelle prime ore del 2 aprile, domenica delle Palme, la chiesa pentecostale situata ad Akenawe, Tswarev, nello Stato di Benue, nel centro nord della Nigeria. Gli assalitori, si sospetta una banda di pastori Fulani, hanno ucciso un fedele, ferito diverse persone tra cui il capo tradizionale della comunità, e rapito il pastore della chiesa e alcuni fedeli.
Secondo la stampa locale il luogo di culto è stato assalito durante una veglia notturna.
Nello Stato di Kaduna, nel nord della Nigeria, un gruppo armato ha rapito otto studenti delle scuole secondarie mentre tornavano a casa insieme a un numero imprecisato di altre persone. Si tratta del primo sequestro di studenti nella regione dopo un periodo di calma, soprattutto dopo la circolazione di nuove banconote per frenare il pagamento dei riscatti ai rapitori prima delle elezioni politiche tenutesi a fine febbraio.
La piaga dei rapimenti a scopo estorsivo è un fenomeno ben noto in Nigeria che colpisce non solo il Nord dove sono presenti gruppi jihadisti ma anche altre aree della Federazione.
Dal 2006 al 2023 in Nigeria sono stati rapiti 53 sacerdoti, 12 aggrediti e 16 uccisi. In diciassette anni, 81 sacerdoti in Nigeria sono stati vittime di attacchi. Sono i dati riferiti all’Agenzia Fides dalla Conferenza Episcopale Nigeriana sui rapimenti e le uccisioni di sacerdoti nel Paese africano (vedi Fides 29/3/2023). (Agenzia Fides 5/4/2023)
PASQUA in NICARAGUA - Ortega arresta anche la Pasqua: tutte le processioni sono vietate
Settimana Santa blindata: gli agenti accerchiano centinaia di parrocchie per impedire Via Crucis «clandestine». Espulso religioso panamense «colpevole» di aver celebrato il corteo delle Palme
«Non potete uscire. È proibito. Perché? Perché è proibito».
Il dialogo si ripete, con poche varianti, ogni giorno da lunedì a Nindirí, paesino a ventisei chilometri da Managua. Gli agenti presidiano la parrocchia di Santa Ana e sbarrano il passo a quanti cercano di uscire. Alcune centinaia di persone, in gran parte giovani, vestite con lunghe tuniche e con una croce di legno sulle spalle. Sono i “Cirenei”, fedeli che, durante la Settimana Santa, sfilano per le strade della cittadina per ricordare il gesto di Simone di Cirene, il quale, secondo i Vangeli, aiutò Gesù lungo il Calvario.
Una tradizione antica, alla quale partecipano almeno duemila abitanti e che, ogni anno, attira a Nindirí visitatori dal resto del Nicaragua.
Stavolta, però, il governo del presidente Daniel Ortega e della vice, nonché moglie, Rosario Murillo, ha deciso di vietarla, come il resto delle processioni della Quaresima.
Polizia e “turbas” – la milizia di volontari orteguisti – sono incaricati di far rispettare l’ordine. Non sempre, però, ci riescono. Da lunedì, qualche “Cireneo” riesce a eludere la sorveglianza. E viene inseguito e riportato in chiesa. Una scena surreale. E Nindirí non è un caso isolato. In tutta la nazione, in gran parte cattolica, oltre trenta celebrazioni pubbliche sono state annullate per «ragioni di sicurezza». Inclusa la popolare processione sulle acque del lago Cicibolca, sostituita in tutta fretta da un “pellegrinaggio sandinista”, promosso dal governo.
La stima è al ribasso. Nella sola capitale, la polizia ha messo sotto sorveglianza 118 parrocchie per impedire Via Crucis “clandestine”.
«Ci hanno detto che queste possono svolgersi solo intorno alle chiese», ha confermato il presidente della Conferenza episcopale nicaraguense, Carlos Enrique Herrera.
Il parroco di Maria Ausiliatrice, a San José de Cusmapa, nella diocesi di Estelí, padre Donaciano Alarcón, religioso claretiano panamense, è stato arrestato, pestato ed espulso per aver celebrato il corteo delle Palme, domenica.
Nella successiva omelia, inoltre, padre Alarcón aveva citato il vescovo Rolando Álvarez, recluso nel carcere di massima sicurezza di La Modelo, dove sconta una condanna a 26 anni per «istigazione alla rivolta».
Due “colpe” molto gravi agli occhi delle autorità che hanno lasciato scalzo a El Espino, lungo la frontiera con Panama.
La Chiesa – unica realtà indipendente rimasta nel Paese – ormai è bersaglio continuo della repressione di Ortega. Negli ultimi sedici mesi, ventuno sacerdoti sono stati incarcerati o esiliati come «traditori», decine sono minacciati e messi sotto stretta vigilanza. Più volte la coppia presidenziale ha insultato i vescovi e il Vaticano, definiti «mafia». Lo strappo più clamoroso si è consumato il 12 marzo, quando il governo ha sospeso le relazioni diplomatiche con la Santa Sede. (Avvenire Lucia Capuzzi mercoledì 5 aprile 2023)
PASQUA in MYANMAR - Nel Myanmar ferito la Pasqua fa (ri)nascere le comunità cristiane
Negli ultimi mesi la violenza del conflitto civile è andata fuori ogni controllo. Gli sfollati, la cui condizione ormai è permanente, hanno perso tutto: lavoro, beni materiali, amicizie. Ma è proprio tra le macerie della disperazione che è risorta una piccola comunità cristiana.
Gli sfollati del Myanmar - ricordato il Venerdì Santo nella via Crucis al Colosseo tra i luoghi più sfigurati dalla “guerra mondiale a pezzi” che imperversa nel mondo di oggi - celebreranno la Pasqua tra le macerie del conflitto civile, lontani da casa, in molti casi senza famiglia e amici, e spesso a corto di cibo e medicinali. Eppure è proprio nella disperazione di aver perso tutto - non solo i propri beni materiali, ma anche le proprie origini e la propria storia - che si vedono germogliare i semi della vita che rinasce. Tra i profughi cristiani nei pressi di Taunggyi, capoluogo dello Stato orientale Shan - la cui situazione ormai non è più di emergenza ma è una condizione permanente - sono nate nuove comunità che per la prima volta quest’anno, a più di due anni dal colpo di Stato che ha portato alla guerra, celebreranno la Pasqua insieme, mentre tutt’intorno imperversano il caos e la violenza.
L’esercito - che a febbraio 2021 ha condotto un colpo di Stato estromettendo il precedente governo guidato da Aung San Suu Kyi e il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (NLD) -, ha concentrato i bombardamenti contro i rifugiati nelle foreste per costringerli a spostarsi in città, dove, rispetto alla giunga, per le truppe del regime è più facile rispondere alle azioni di guerriglia. Per gli stessi motivi i militari stanno chiudendo anche i campi profughi formali in varie parti del Paese. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni unite sulla situazione umanitaria, alla fine del mese scorso si contavano oltre 1,8 milioni di sfollati, radunatisi soprattutto nelle aree nel nord-ovest del Paese dove si sono intensificati gli scontri negli ultimi mesi.
La città di Thantlang, nello Stato Chin, al confine con l’India è stata rasa al suolo e ridotta allo stato di città fantasma. (…) le fonti di AsiaNews spiegano che le divisioni stanno cominciando a nascere anche all’interno delle fazioni in combattimento, generando un’escalation di violenza senza precedenti. A metà marzo si era diffusa la notizia di un massacro di civili e monaci buddhisti all’interno di un monastero nel villaggio di Nan Naint, compiuto da una milizia pro-regime di etnia Pa-O, il Pa-O National Army, chiamati in birmano i “cani di Min Aung Hlaing”, il generale a capo dell’esercito.
“È stato un evento sconvolgente perché per la prima volta i combattenti hanno ucciso civili provenienti dalla loro stessa etnia”, sottolineano le nostre fonti. “E il bagno di sangue è avvenuto la sera prima di un’importante cerimonia locale in cui i bambini vengono vestiti da piccoli monaci”. Una carneficina emblema del frazionamento che sta avvenendo anche tra i ranghi dell’esercito. In alcune parti della regione del Sagaing vige l’anarchia totale: la famigerata “colonna Ogre”, per esempio, composta da battaglioni di fanteria, da fine febbraio ha condotto in maniera indipendente una serie di raid contro le roccaforti della resistenza nella regione centrale del Sagaing, massacrando i civili e stuprando le donne prima di ucciderle.
Anche le Forze di difesa del popolo (PDF), le milizie sorte spontaneamente dopo il golpe e formate da combattenti provenienti dall’etnia maggioritaria Bamar, si stanno sfaldando, mosse dalla delusione e dalla rabbia verso il Governo di unità nazionale in esilio, composto invece da ex deputati della NLD. “‘Abbiamo lasciato tutto, la casa, il lavoro, gli affetti, per che cosa?’, si chiedono i profughi che facevano parte del Movimento di disobbedienza civile”, l’associazione di coloro che subito dopo il golpe erano scesi in piazza a protestare pacificamente. Si tratta di persone che unendosi alle manifestazioni hanno messo in pericolo loro stessi ma anche i loro cari: inseriti tra le liste di ricercati, non possono lavorare o mandare i figli a scuola. Molti minorenni finiscono così per diventare bambini soldato: raccolti in strada dalle milizie o costretti dall’esercito, si uniscono alla guerra e poi si ritrovano tra gli sfollati. (…)
Eppure anche tra questi gruppi di sfollati sradicati e traumatizzati si celebrerà la Pasqua, dopo che alcune comunità si sono spontaneamente unite tra di loro. “Non è stato fatto niente di particolare. È bastata la vicinanza gli uni degli altri tra cristiani per vedere rifiorire i rapporti umani”.
(di Alessandra De Poli AsiaNews 08/04/2023)
PASQUA A DAMASCO - Zenari: sta morendo la speranza della gente, i giovani mi chiedono come lasciare la Siria
In Siria la povertà al 90%, i giovani vogliono andarsene, la ricostruzione è ferma e c’è il più grande numero di sfollati interni al mondo
La Siria è devastata da una lunghissima guerra, ancora non del tutto conclusa, e da un sisma che ha distrutto molti edifici che non erano ancora stati danneggiati dalle bombe.
Eppure il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, invoca un altro “terremoto”: niente che possa aggravare la situazione materiale di una terra martoriata all’eccesso, ma qualcosa che faccia cadere tutte le resistenze e le contrapposizioni che finora hanno portato alla devastazione del Paese. Un cambiamento radicale che permetta di pensare alla ricostruzione e al modo di dare un futuro alla Siria.
Cardinale, come viene vissuta la Pasqua quest’anno in Siria?
Ci sono come tutti gli anni i riti della passione, della morte e della resurrezione del Signore. Ciascuna Chiesa orientale ha dei propri riti molto belli, ai quali la gente partecipa molto. Devo dire, però, che nelle chiese ci sono sempre più vuoti, perché soprattutto i giovani e tante famiglie continuano a emigrare. In Siria cadono meno bombe, ci sono scontri in alcune zone, nel Nord Ovest, nel Nord Est. Sono cessate un po’ le bombe ma ce n’è una che non fa chiasso, ma fa strage, ed è quella della povertà che colpisce più del 90% della gente, perché non c’è lavoro, non c’è ripresa economica, dopo 12 anni di guerra che continua, anche se ridotta, in alcune zone. E non c’è la ricostruzione.
Qual è lo stato d’animo della gente?
Ho celebrato qui anche il Natale ed è stato uno dei Natali più dolorosi: la gente ha perso un po’ la speranza, i giovani soprattutto perché non vedono un futuro, un lavoro e l’unica strada che vedono è quella dell’emigrazione. Dovunque incontro giovani mi chiedono come fare a lasciare la Siria. Ho celebrato la Pasqua e anche la Pasqua è stata come il Natale, un po’ triste, perché oltre alle macerie di dodici anni di guerra, che si vedono dappertutto, che colpiscono, ci sono anche le macerie del recente terremoto di un paio di mesi fa, soprattutto al Nord.
Quanto pesa la presenza degli sfollati?
Al mezzo milione di vittime della guerra si sono aggiunte altre vittime, per il terremoto si sono aggiunti oltre 200mila nuovi sfollati interni ai circa 7 milioni di sfollati per la guerra. Chi ha potuto è rientrato in casa propria, perché non tutte le abitazioni hanno avuto danni irreparabili, ma tante case non sono abitabili. In Siria c’è il più alto numero di sfollati interni del mondo. (…)
Questo è quello che si vede: sta morendo la speranza di tanta gente. (…)
La vera Pasqua, con gioia, speranza, armonia, attendiamo di celebrarla da dodici anni. Si è celebrata prima sotto le bombe, adesso sotto la bomba della povertà e sotto le macerie del terremoto: è una Pasqua un po’ a metà, si vive più che altro ancora la Quaresima e la settimana di Passione.
(10.04.2023 IlSussidiario.net)
PASQUA ad ALEPPO - Audo: la distruzione non ci ferma anche se c’è qualcosa che è distrutto non soltanto nei palazzi ma anche nelle anime
Nelle devastazioni del terremoto e della guerra il popolo siriano si affida a Cristo risorto e condivide il necessario. “Celebriamo la Pasqua con gioia”
La città viene da due lustri e più di sciagure: non sono bastati dodici anni di guerra che ha seminato morte e distruzione, il terremoto ha rincarto la dose facendo crollare quello che non era ancora stato raso al suolo dalle armi. E nel frattempo c’è stato anche il Covid.
Una prova veramente dura per Aleppo, in Siria, che Antoine Audo, vescovo caldeo della città, racconta con il pensiero rivolto alla sua gente, ora distrutta più nell’animo che nei suoi beni primari e che per questo fatica a guardare avanti. Qualcuno, anzi, ha deciso di andarsene perché non vede più un futuro lì.
Monsignor Audo, come sta vivendo la gente questo momento?
Tutti, ad Aleppo e anche in Siria, risentiamo della crisi dovuta al terremoto, che ha causato un vero choc sulle persone: dopo dodici anni di guerra e tre anni di Covid il terremoto è stato terribile. Malgrado tutto come cristiani già dal giorno del terremoto fino ad oggi abbiamo cercato di lavorare insieme, di avere progetti: eseguire riparazioni nelle case danneggiate, aiutare coloro che non possono tornare nelle loro abitazioni a pagare l’affitto per un altro appartamento. Questa è la situazione generale. Nonostante tutto abbiamo celebrato la Settimana Santa. Possiamo dire che il nostro cuore è stanco, c’è un grande fatica. Molti hanno resistito fino a questo momento ad Aleppo, ma adesso ci sono famiglie che partono, che pensano di emigrare per riuscire a rifarsi una vita.
Insomma è difficile dare un po’ di speranza adesso a chi rimane ad Aleppo.
Sì, la nostra fede ci aiuta a vivere questo avvenimento e a vivere la speranza, ma non è per niente facile davanti a tanta distruzione, a tanta povertà. Faccio un appello a una più grande generosità, a una più grande solidarietà.
La solidarietà degli altri Paesi si è fatta sentire? Vi stanno aiutando?
Sono tanti i gesti di solidarietà nei nostri confronti (..) Il denaro, tuttavia, non è tutto: c’è qualcosa che è distrutto non soltanto nei palazzi ma anche nelle anime. Questo è il sentimento profondo della gente. In questi momenti di difficoltà ci aiuta la fede in Cristo risorto. Non è facile mantenere questo atteggiamento, richiede una fede profonda. (…)
C’è quindi, al di là di tutti i problemi, un ritorno alla fede?
C’è grande partecipazione e grande solidarietà. Nessuno pensa, come da voi, “Ho perso la fede”, oppure “Voglio uscire dalla Chiesa”, non abbiamo questa cultura, abbiamo una cultura di appartenenza alla comunità, può essere più o meno forte, ma rimane.
Quello che dirà, insomma, è di avere fiducia nella Chiesa?
Questa fiducia, questo rispetto rende onore alla Chiesa. La Chiesa che è fondata su Cristo che risorge a Pasqua, la Chiesa testimone della Carità di Cristo, di una tradizione che resta malgrado le guerre e tutte le difficoltà della storia.
(09.04.2023 IlSussidiario.net)