2023 07 12 Akash Bahir dal 31 gennaio 2022 è diventato il primo “servo di Dio” nella storia della Chiesa pakistana
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VATICANO - Giubileo 2025: il Papa istituisce la Commissione dei Nuovi Martiri e Testimoni della fede: la storia di Akash Bahir che dal 31 gennaio 2022 è diventato il primo “servo di Dio” nella storia della Chiesa pakistana.
NICARAGUA - Alvarez scarcerato rifiuta l’esilio e torna in carcere
Il vescovo nicaraguense Alvarez è stato scarcerato dal regime di Ortega, ma è stato subito ricondotto in carcere perché ha rifiutato l’esilio a Roma, proposta frutto della trattativa tra il dittatore e la Santa Sede. Un esilio avrebbe comportato la vittoria di Ortega.
Il vescovo di Matagalpa, Rolando José Álvarez è un vero testimone della fede e della libertà religiosa. Era stato rilasciato lunedì sera per ordine del presidente nicaraguense Daniel Ortega, rimasto per più di 24 ore sotto la protezione della Conferenza episcopale, nonostante ieri il card. Leopoldo Brenes lo avesse smentito. È stato riportato nella giornata di mercoledì nel carcere di Modelo per aver rifiutato l’esilio come prezzo della liberazione, come riporta il quotidiano El Confidencial.
Fonti ecclesiastiche e diplomatiche, interpellate dal quotidiano nei giorni scorsi avevano confermato alla testata che Álvarez «non si trova più nel carcere di Modelo», dove si trovava in una cella di massima sicurezza dal 9 febbraio 2023, dopo essere stato condannato da un processo lampo a 26 anni e quattro mesi di carcere per i presunti reati di «cospirazione contro la sovranità nazionale e diffusione di notizie false».
(...)
Ieri la conferma, rilanciata dalle agenzie di stampa e testate internazionali sin dalle prime ore di questa mattina, il vescovo Rolando Alvarez «è stato riportato in prigione mercoledì dopo che i negoziati tra il governo e i rappresentanti della Chiesa si sono interrotti sui termini del suo possibile rilascio. I colloqui si sono bloccati sull’eventuale consenso di Alvarez a lasciare il Paese, nonché sul possibile rilascio di altri sacerdoti incarcerati».
Dunque, alle voci che nei giorni scorsi lo volevano propenso ad accettare la liberazione in funzione dell’esilio dalla sua terra e dalla sua gente erano infondate e, in ogni caso, l’accettazione dell’esilio da parte di Alvarez, sarebbe stato il più grande fallimento della iniziativa diplomatica affidata da Papa Francesco ai due comunisti Lula e Diaz-Canel. Il Vescovo Rolando Alvarez ha più volte ribadito che avrebbe preferito rimanere in carcere e scontare la pena ingiusta e iniqua a cui è stato condannato a ragione della propria fede, delle libertà religiosa e quella dello stesso popolo, oppure esser liberato e proseguire la sua opera pastorale tra i suoi fedeli.
Scappare davanti alla prova non è contemplato né nel vocabolario né della stoffa dell’abito di Rolando Alvarez. (...)
(LNBQ 06 07 2023)
NICARAGUA - Ortega mette in carcere un altro prete
Fernando Zamora Silva, responsabile della diocesi di Siuna, è stato arrestato domenica dalla polizia a Managua, riferiscono fonti dell’opposizione. Si tratta del quinto in cella
In Nicaragua, continua la stretta nei confronti di rappresentanti della Chiesa cattolica da parte del governo di Daniel Ortega: il sacerdote Fernando Zamora Silva, responsabile della diocesi di Siuna, è stato arrestato dalla polizia a Managua, riferiscono fonti dell’opposizione.
L’arresto sarebbe avvenuto domenica dopo che Zamora aveva partecipato a una messa presieduta dal cardinale Leopoldo Brenes. Sale dunque a cinque il numero di religiosi detenuti nel Paese per presunta cospirazione contro il regime sandinista. Tra questi anche monsignor Rolando Álvarez, vescovo della diocesi di Matagalpa, scarcerato la scorsa settimana e poi di nuovo arrestato presumibilmente per aver rifiutato di lasciare il Nicaragua in cambio della libertà.
(Avvenire Redazione Esteri martedì 11 luglio 2023)
PAKISTAN - Cristiano accusato di blasfemia perché posta su Facebook un passo biblico
Haroon Shehzad, 49enne pakistano cristiano residente nel villaggio “Chack 49”, nei pressi di Sargodha, città nel Punjab pakistano, è stato accusato di blasfemia e arrestato per aver pubblicato sul social network Facebook un post considerato blasfemo. Il post era composto unicamente da un passo biblico, tratto dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi, senza alcun commento. Il passo, tratto dal capitolo 10 della Lettera, versetti 18-22, così recita: “Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l’altare? Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui?”
Il post è stato pubblicato il 27 giugno, due giorni prima della festa islamica del sacrificio, la “Eid-Ul-Azha”. Il denunciante, il musulmano Imran Ullah, che risiede nello stesso villaggio dell’accusato, ha letto il testo e lo ha maliziosamente collegato all’essenza del sacrificio dell’Eid, incolpando Haroon di blasfemia. Le tensioni sono divampate dopo che Imran Ullah ha istigato gli abitanti del villaggio e ha iniziato ad annunciare a gran voce, in diverse moschee, presunte “azioni blasfeme compiute dai cristiani”.
Decine di famiglie cristiane sono fuggite dalle loro case in un villaggio vicino, temendo rappresaglie. Sebbene il post di Shahzad non contenesse alcun commento personale relativo alla festa sacra musulmana di Eid Ul Adha, celebrata in tutto il mondo dal 29 giugno al 1° luglio, l’accusa di blasfemia si è diffusa e la violenza non si è fatta attendere.
La famiglia dei Haroon ha lasciato il villaggio e si è rivolta all’avvocato cristiano Aneeqa Maria Anthony, a capo dell’organizzazione “The Voice”, che si occupa di dirimere legalmente casi di tal genere.
L’avvocato ha preso atto dell’avvenuta registrazione della denuncia (il “First Information Report”) a danno di Haroon e ha provveduto a mettere in sicurezza l’uomo e la sua famiglia, potenziali vittime di aggressioni o esecuzioni sommarie. Haroon è stato condotto in tribunale a Sargodha, dove il giudice ha concesso una cauzione prima dell’arresto. Poi, in compagnia dell’avvocato, l’uomo si è recato alla stazione di polizia per registrare la sua dichiarazione e la polizia lo ha trattenuto in custodia. Il team di avvocati attende ora l’udienza, fissata l’11 luglio prossimo, per la conferma della libertà su cauzione.
Nota l’avvocato Anthony a Fides: “Sappiamo che non è stato commesso alcun reato da parte dell’imputato. Ma, tenendo conto delle circostanze attuali, della scottante questione della legge di blasfemia e della località in cui ci troviamo – tutti fattori che influenzano il caso - la situazione non è favorevole. Tuttavia, andiamo avanti con tenacia e con fiducia. Crediamo che Dio non ci lascerà soli. Intendiamo seguire il percorso legale, difendendo un uomo innocente, chiedendo di usufruire della cauzione fissata e partecipando alle indagini. Nel frattempo, speriamo non scoppino violenze di massa. Nei tribunali pakistani vi sono migliaia di casi pendenti come questo, in cui i cittadini cristiani sono accusati e arrestati ingiustamente, da innocenti”.
La famigerata “legge di blasfemia” in Pakistan è composta da alcuni articoli del Codice Penale: gli articoli 295 e 295a puniscono, in modo generalizzato, la blasfemia verso la religione; due controversi commi (295b e 295c), in particolare, puniscono con l’ergastolo o con le pena di morte il vilipendio all’Islam, al Corano o al Profeta Maometto. Inoltre l’onere della prova non ricade sull’accusatore ma sull’imputato. La legge è spesso strumentalizzata e tirata in ballo per vendette personali.
(PA) (Agenzia Fides 5/7/2023)
PAKISTAN – BANGLADESH - Rogo del Corano in Svezia: a Islamabad i fondamentalisti minacciano i cristiani
L’organizzazione terroristica Lashkar-e-Jhangvi ha annunciato che “nessuna chiesa sarà al sicuro”, mentre in Bangladesh le associazioni di musulmani hanno chiesto il boicottaggio dei prodotti svedesi. Secondo la Commissione nazionale pachistana per la giustizia e la pace la “dichiarazione degli estremisti non dovrebbe essere ignorata”. Parole di condanna del gesto di Stoccolma sono giunte da tutto il mondo cattolico locale.
Il rogo del Corano in Svezia ha generato indignazione e ritorsioni da parte dei gruppi fondamentalisti del Pakistan. L’organizzazione terroristica Lashkar-e-Jhangvi (LeJ) ha annunciato che attaccherà i cristiani e le chiese per vendicare il gesto. In particolare, il portavoce di LeJ, Nasser Raisani, ha affermato che “nessuna chiesa o cristiano sarà al sicuro in Pakistan”, aggiungendo che collaborerà con gli altri gruppi della regione contro i cristiani, che in Pakistan e in altre parti dell’Asia meridionale sono una minoranza perseguitata.
Salwan Sabah Metti Momika, cittadino svedese nato in Iraq, ha bruciato il Corano di fronte alla moschea principale di Stoccolma il 28 giugno, all’inizio della celebrazione di Eid al-Adha, la festa del sacrificio, dichiarando di averlo fatto perché, a sua detta, il libro incita alla violenza.
Nei giorni scorsi Papa Francesco ha espresso la propria indignazione, e anche l’Unione europea ha ritenuto la profanazione “offensiva” e irrispettosa, precisando che “le manifestazioni di razzismo, xenofobia e intolleranza non trovano posto in Europa”.
Per i musulmani il Corano ha un’importanza maggiore rispetto alla Torah, i Vangeli o altri testi sacri di altre religioni, perché ritengono che l’autore delle Scritture sia Dio stesso, mentre considerano i profeti semplici trasmettitori della Parola divina.
(...)
Interpellato da AsiaNews, Ata-ur-Rehman Saman, coordinatore di NCJP, ha dichiarato: “In Pakistan un’organizzazione islamica estremista ha dichiarato di voler attaccare le chiese e i cristiani rendendo la loro vita miserabile in segno di vendetta. A questi gruppi è stato permesso di operare senza alcun controllo da parte dello Stato. Questa dichiarazione non dovrebbe essere ignorata, lasciando che la comunità cristiana sia vulnerabile”.
“Nel frattempo - ha continuato - sui social media è diventata virale la foto di alcuni chierici musulmani che profanano una croce calpestandola. Per placare i propri sentimenti non c’è motivo di insultare la religione altrui”.
Anche in Bangladesh le organizzazioni musulmane hanno protestato e hanno invitato a boicottare i prodotti svedesi. Islami Andonon, un partito islamista, ha indetto una manifestazione di protesta davanti alla moschea nazionale Baitul Mukarram per domani, alla quale si prevede parteciperanno migliaia di persone.
Secondo il segretario del partito, Maulana Imtiaz Alam, “i Paesi musulmani dovrebbero dare una lezione rimuovendo le loro ambasciate dalla Svezia”. Per i leader del Forum nazionale degli insegnanti, invece, “il governo svedese dovrebbe scusarsi con il mondo musulmano e impiccare pubblicamente il colpevole. L’audacia dimostrata bruciando il Sacro Corano non è in alcun modo perdonabile”.
(Asia News 06/07/2023, di Shafique Khokhar; ha collaborato all’articolo Sumon Corraya dal Bangladesh)
VATICANO - Giubileo 2025: il Papa istituisce la Commissione dei Nuovi Martiri e Testimoni della fede, “frutti maturi della vigna del Signore”
Roma (Agenzia Fides) - I martiri nella Chiesa «sono testimoni della speranza che deriva dalla fede in Cristo e incita alla vera carità». Essi «hanno accompagnato in ogni epoca la vita della Chiesa», e fioriscono come “frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore” anche oggi. Anche oggi la memoria dei martiri rappresenta «tesoro» che la comunità cristiana è chiamata a custodire. Per questo, in vista del prossimo Giubileo del 2025, Papa Francesco ha costituito presso il Dicastero delle Cause dei Santi la “Commissione dei Nuovi Martiri – Testimoni della Fede”, ha cui ha affidato il compito di «elaborare un Catalogo di tutti coloro che hanno versato il loro sangue per confessare Cristo e testimoniare il suo Vangelo». Il Pontefice ha annunciato l’istituzione della Commissione e illustrato le ragioni della sua decisione in una Lettera diffusa oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede, che porta la data di lunedì 3 luglio 2023.
La Commissione - ha spiegato Papa Francesco - si muoverà nel solco della ricerca «già iniziata in occasione del Grande Giubileo del 2000, per individuare i Testimoni della Fede in questo primo quarto di secolo e per poi proseguire nel futuro». Già il 7 maggio 2000 - ha puntualizzato il Pontefice - i nuovi martiri e testimoni della fede «furono ricordati in una celebrazione ecumenica, che vide raccolti al Colosseo rappresentanti delle Chiese e comunità ecclesiali da tutto il mondo, per evocare, assieme al Vescovo di Roma, la ricchezza di ciò che io stesso ho successivamente definito “ecumenismo del sangue”. Anche nel prossimo Giubileo - ha annunciato Papa Francesco - ci ritroveremo uniti per una simile celebrazione».
I martiri ha sottolineato nella sua lettera il Pontefice, riprendendo una considerazione da lui già proposta in diverse occasioni «sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli». I nuovi martiri «sono vescovi, sacerdoti, consacrate e consacrati, laici e famiglie, che nei diversi Paesi del mondo, con il dono della loro vita, hanno offerto la suprema prova di carità (cf. LG 42)».
Con l’iniziativa annunciata oggi - ha chiarito il Vescovo di Roma - «non si intendono stabilire nuovi criteri per l’accertamento canonico del martirio, ma continuare l’iniziato rilevamento di quanti, a tutt’oggi, seguitano ad essere uccisi solo perché cristiani». In tale prospettiva, occorrerà «proseguire la ricognizione storica per raccogliere le testimonianze di vita, fino allo spargimento del sangue, di queste nostre sorelle e questi nostri fratelli, affinché la loro memoria spicchi come tesoro che la comunità cristiana custodisce». Papa Francesco ha sottolineato anche il tratto ecumenico dell’iniziativa, specificando che la ricerca «riguarderà non soltanto la Chiesa cattolica, ma si estenderà a tutte le confessioni cristiane».
(Agenzia Fides 5/7/2023)
TESTIMONIANZA
Il giovane e il ministro che hanno irrigato col loro sangue la terra del Pakistan
Akash Bahir e Shahbaz Bhatti sono tra i “nuovi martiri testimoni della fede” degli ultimi 25 anni per cui il Papa ha costituito un’apposita Commissione in vista del Giubileo. Due figure importanti soprattutto perché fiorite in una nazione a maggioranza islamica dove le comunità cristiane vivono da discriminate.
Akash Bahir dal 31 gennaio 2022 è diventato il primo “servo di Dio” nella storia della Chiesa pakistana. Ecco la sua storia.
PAKISTAN - Sacrificare la vita per salvare quella degli altri: la fede semplice e forte del giovane Akash
di Stefano Lodigiani
“Non abbiamo bisogno e non vogliamo una guerra civile. Noi cristiani siamo uomini di pace. Non lasciamo che il dolore annebbi il nostro sguardo: che sia sempre lo sguardo di Cristo e del suo Vangelo. Quale futuro vogliamo costruire per il Pakistan? Un futuro di armonia e riconciliazione”. Queste le parole dell’Arcivescovo di Lahore, Sua Ecc. Monsignor Sebastian Shaw, riportate dall’Agenzia Fides, con cui si rivolse alla folla di oltre 10mila fedeli che prendeva parte, il 17 marzo 2015, ai funerali delle vittime dell’attentato alla chiesa cattolica di Saint John e a quella protestante Christ Church di Youhanabad, sobborgo cristiano alla periferia di Lahore. Il duplice attentato, commesso domenica 15 marzo, aveva fatto 15 morti e oltre 80 feriti, alcuni dei quali morirono nei giorni seguenti.
Tra le vittime dell’attentato alla chiesa di Saint John c’era anche un giovane cattolico pachistano, Akash Bashir, che dal 31 gennaio 2022 è diventato il primo “Servo di Dio” nella storia della Chiesa del Pakistan. Il giovane ventenne prestava servizio tra i volontari incaricati di vigilare sulla sicurezza dei fedeli fuori della chiesa, vista la situazione di estrema tensione e il susseguirsi di attentati e minacce alle comunità cristiane. Akash aveva assunto questo incarico con grande senso di responsabilità, e non ha esitato a sacrificare la sua vita per salvare quella di centinaia di persone che in quel momento pregavano dentro la chiesa: per bloccare un terrorista kamikaze, è morto con lui.
Un gesto non certo ascrivibile all’impulso del momento, frutto e espressione di una fede semplice, matura e improntata alla testimonianza, come sottolinea don Pierluigi Cameroni, SDB, Postulatore Generale: “Akash viveva un impegno concreto a partire dalla fede per far crescere la pace, la convivenza, la giustizia, la misericordia, e così estendere il Regno di Dio nel mondo. Nel silenzio e nell’anonimato, ha vissuto a fondo il Vangelo, vivendo il presente con dedizione e generosità”.
Nato a Risalpur, in Pakistan, il 22 giugno 1994, Akash era un bambino molto fragile, che sopravvisse a fatica ad un clima non favorevole, alla povertà della famiglia e alla scarsa alimentazione. Questi fattori verosimilmente influenzarono il suo sviluppo: solo all’età di quattro anni imparò a camminare e a parlare, trascinandosi peraltro un problema di balbuzie fino alla preadolescenza. Queste difficoltà anziché abbatterlo, contribuirono invece a rafforzarne il carattere. A Risalpur Akash ricevette i sacramenti del Battesimo, della Prima Comunione e della Cresima, nella chiesa di St. John. La vicinanza di Risalpur all’Afghanistan e l’aumento degli attentati terroristici, nel 2007 indusse i genitori di Akash a emigrare nelle zone orientali del Pakistan, nel Punjab, precisamente a Lahore, nel quartiere di Youhanabad, vicino alla famiglia della madre di Akash. Qui il papà di Akash trovò lavoro come imbianchino e nel 2008 tutta la famiglia si riunì a Lahore.
“A Lahore – spiega don Cameroni - Akash frequentò per un anno la St. Dominic High School, a partire dal 25 settembre 2008. Abbandonò successivamente la scuola a causa della sua scarsa propensione agli studi, per iscriversi poi alla RCCM – Community Boys Middle School – e infine, nel settembre 2010, al Don Bosco Technical and Youth Center, fondato nel 2000 per accogliere gli studenti respinti dalle scuole tradizionali. Akash frequentò l’istituto fino al 24 febbraio 2011, non riuscendo a superare l’esame di promozione. I Salesiani del quartiere di Youhanabad gestiscono un collegio per bambini e giovani, una scuola elementare, una scuola tecnica, laboratori per giovani donne e una scuola serale. I Salesiani hanno fondato in Pakistan la prima missione nella città di Quetta nel 1998, e l’anno successivo un’altra a Lahore”.
Dalle testimonianze raccolte per la Causa di Beatificazione, è emerso che Akash era un giovane molto semplice. Il papà lo ricorda come un figlio obbediente, un umile lavoratore nato e cresciuto in una famiglia povera, una persona paziente, soprattutto un giovane con una forte fede. I genitori avevano educato Akash a condurre una vita semplice e laboriosa, nell’onestà, sempre rispettosa degli altri.
Simpatico e allegro, “parlava sempre con il volto sorridente” ed era sempre disponibile ad aiutare. Così lo ricorda anche chi l’ha conosciuto al di fuori della cerchia familiare, come ad esempio la signora Maryam Adrees, che fu sua insegnante nella classe VIII e sua vicina di casa: “Era un ragazzo semplice, caritatevole e innocente. Era molto rispettoso verso tutti. Akash si preoccupava delle cose che succedevano agli altri. Rispettava sempre gli anziani e i bambini piccoli. Qualsiasi lavoro gli venisse dato, lo faceva con il cuore e con l’anima. Non commise mai ingiustizie nei confronti di nessuno, anzi, quando si accorgeva che qualcuno veniva maltrattato, reagiva cercando di fare qualcosa. Akash voleva vivere la sua vita nel servizio della sua famiglia e della società. Era solito aiutare le persone povere e bisognose con le cose che aveva”. Anche il signor Naveed – un ottico presso cui Akash si recava con la nonna perché le riparasse gli occhiali –, di fede musulmana, ricorda l’attenzione di Akash per i poveri e i bisognosi: “ogni volta che vedeva qualche povero, si sentiva triste; se non aveva nulla da offrire o da donare, pregava per loro. Nonostante a volte fosse affamato, era solito dare il suo cibo agli altri”.
“La breve, ma profonda esperienza dello spirito salesiano e del Sistema preventivo che lo anima – prosegue il Postulatore -, ebbero un’intima e profonda ricaduta sulla formazione del giovane Akash, che lo spinse ad una maggiore conoscenza e ad una rafforzata amicizia con Cristo e con Maria, la cui statua è presente in una grotta nel cortile della chiesa parrocchiale di Youhanabad, la St. John’s Catholic Church: Akash vi si fermava davanti in preghiera prima di prendere servizio. Egli dedicò momenti particolari alla devozione a Maria, condivisi con la comunità nella preghiera del Rosario in parrocchia e con i pellegrinaggi a Mariamabad, una città a 80 chilometri a nord-ovest di Lahore, raggiungibile in 5 ore coi mezzi pubblici, per venerare la Beata Vergine. I Salesiani gli insegnarono inoltre che l’importante era non fermarsi davanti alle avversità personali, ma perseverare con umiltà nel cammino della vita e della fede, e guardare ancora con più entusiasmo alla vita e al servizio del prossimo”.
Domenica 15 marzo 2015, mentre si stava celebrando la Santa Messa nella parrocchia di Saint John, il gruppo di guardie di sicurezza composto da giovani volontari, di cui Akash Bashir faceva parte, sorvegliava l’ingresso. Akash notò che una persona con dell’esplosivo sotto i vestiti stava cercando di entrare in chiesa. La trattenne, le parlò e le impedì di continuare, ma rendendosi conto che non riusciva a fermarla, la abbracciò strettamente, dicendo: “Morirò, ma non ti farò entrare in chiesa”. Così il giovane e il kamikaze morirono insieme. Akash offrì la sua vita salvando quella di centinaia di persone, ragazzi, ragazze, mamme, adolescenti e uomini adulti che stavano pregando in quel momento dentro la chiesa.
“Akash aveva 20 anni – evidenzia don Cameroni -. Questo fatto ha lasciato una profonda impressione. La sua vita semplice e normale è senza dubbio un esempio molto significativo e importante per i giovani cristiani di Lahore, di tutto il Pakistan e del mondo salesiano. Akash Bashir, Ex-allievo di Don Bosco del Pakistan, è una testimonianza del Sistema Preventivo di Don Bosco, un esempio per i giovani e una benedizione per le minoranze religiose. La sua Causa di Beatificazione è segno di speranza ed esempio di santità giovanile fino al martirio. Come il primo martire, Santo Stefano, Akash muore contemplando il cielo, testimoniando con il suo sacrificio unito a quello di Cristo redentore, che la violenza è sconfitta dall’amore, la morte dalla vita. Con la sua morte questo giovane servitore del Vangelo insegna che la gloria del Cielo, quella che dura per tutta la vita e anche nella vita eterna, non è fatta di ricchezze e potere, ma di amore e donazione di sé. Akash con il sacrificio della sua giovane vita testimonia che con Gesù si può sempre guardare avanti”.
La morte di Akash e la sua testimonianza continuano ad offrire ai cristiani in Pakistan, soprattutto ai più giovani, un esempio luminoso, sottolinea don Cameroni: nella St. John’s Catholic Church, anche dopo l’attacco e la morte di Akash, si celebrano più di 800 battesimi ogni anno, molti giovani pakistani (tra i quali un fratello di Akash diventato volontario per la sicurezza) si sono messi a servizio nelle parrocchie, hanno cominciato a frequentare la Messa, a dare valore alla vita e alla famiglia. “È un modello luminoso per altri giovani e per persone di altre religioni, una fonte d’ispirazione nel servizio agli altri e all’aiuto disinteressato”.
(Agenzia Fides 21/3/2023)