2023 07 19 «Vi uccideranno credendo di dare culto a Dio»
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PAKISTAN - Ovunque perseguitati: il calvario dei rifugiati hazara cristiani
NICARAGUA - Un altro prete costretto all’esilio CINA - La Cina prevede di esportare il “cristianesimo sinicizzato” a livello internazionale
IRAQ - Il card. Sako costretto a lasciare Baghdad trasferendosi a Erbil
Il patriarca Louis Raphael Sako ha denunciato la “campagna deliberata e umiliante” da parte della Brigata Babilonia, una milizia cristiana filo-iraniana, e ha annunciato che si trasferirà in un monastero nel Kurdistan iracheno. Dopo aver esortato i cristiani a mantenere la loro identità nazionale, i fedeli di alcune città hanno organizzato manifestazioni in suo sostegno. Secondo gli esperti è in atto un tentativo di minare la neutralità della comunità cristiana all’interno del caos politico iracheno.
La massima autorità della Chiesa in Iraq, il cardinale Louis Raphael Sako, è stato costretto a lasciare la sede patriarcale a Baghdad e a trasferirsi in un monastero di Erbil, nel Kurdistan iracheno, passando per Istanbul: una conseguenza diretta della “campagna deliberata e umiliante” contro il patriarca caldeo da parte delle Brigate Babilonia, una milizia cristiana filo-iraniana. Una persecuzione che si aggiunge alla “decisione del presidente di ritirarmi il decreto, che non ha precedenti nella storia dell’Iraq”, ha affermato Sako in una nota diffusa in arabo e in inglese sul sito del patriarcato.
Nei giorni scorsi infatti il presidente della Repubblica dell’Iraq, Abdul Latif Rashid, ha ritirato quello che possiamo definire il “riconoscimento istituzionale” della carica del patriarca. Il capo dello Stato ha cancellato il Decreto 147, emanato dal predecessore Jalal Talabani il 10 luglio 2013, che sanciva la nomina pontificia del porporato a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo” e per questo “responsabile dei beni della Chiesa”.
Secondo diverse fonti e secondo quanto affermato nella nota dallo stesso Sako, i beni ecclesiastici sono da tempo nel mirino di Rayan al-Kildani (“il Caldeo”), sedicente leader cristiano a capo della Brigate Babilonia. Il sedicente leader cristiano, spalleggiato da fazioni sciite collegate a potenze straniere (leggi Iran), vuole formare un’enclave nella piana di Ninive sfruttando la posizione di forza e disponendo di quattro parlamentari [su cinque riservati per quota alla minoranza, sebbene la loro scelta non sia esercitata in via esclusiva da cristiani, ndr] e un ministero da lui controllati. La fazione “Brigate Babilonia” è nata al tempo della lotta contro lo Stato islamico nel decennio scorso e si è affermata sul piano economico e politico.
“Ho preso questa decisione affinché il protettore della Costituzione e custode del bel patrimonio iracheno realizzi il desiderio delle Brigate Babilonia di emettere un decreto che nomina Rayan Salem Doda custode delle dotazioni della Chiesa”, ha spiegato il cardinale Sako, aggiungendo che diversi altri incarichi sulla gestione del patriarcato andranno anche a familiari del “Caldeo”. “È un peccato che in Iraq viviamo nel mezzo di una vasta rete di interessi personali, di fazionalismo ristretto e di ipocrisia che ha prodotto un caos politico, nazionale e morale senza precedenti che si sta radicando sempre di più”, ha continuato il cardinale Sako esortando i cristiani a mantenere la fede in Dio e alla loro identità nazionale finché questa “tempesta non sarà passata, con l’aiuto di Dio”.
La decisione del governo iracheno priva il patriarca dell’immunità in quanto leader religioso e del diritto di rappresentare i fedeli, mentre il battaglione cristiano gode di una rappresentanza in Parlamento. Secondo il quotidiano arabo Al-Arab con sede a Londra, in questo modo al-Kildani vuole inserire la questione cristiana nella propria agenda politica mettendola “al servizio delle milizie che controllano l’Iraq dietro le quali c’è l’Iran”, a differenza del patriarca che ha sempre tentato di “preservare l’indipendenza” della comunità cristiana caldea. Secondo il governatore di Wasit, Muhammad Jamil al-Mayahi, il cardinale Sako “è simbolo di unità e fratellanza, e la sua partenza da Baghdad è una perdita per tutti noi”.
Nelle città di Karamlesh ed Erbil tutti i cristiani iracheni hanno tenuto delle manifestazioni a sostegno del patriarca caldeo. “L’intera comunità cristiana dell’Iraq è minacciata, e gli assiri caldei e siriaci si sono uniti per affermare il loro sostegno al patriarca della Chiesa caldea”, ha dichiarato un gruppo di diverse associazioni, tra cui il Movimento democratico assiro, il Consiglio popolare assiro siriaco caldeo, l’Unione patriottica di Betnahrain, il Partito dei figli di Nahrain e il Partito patriottico assiro. (AsiaNews 17/07/2023)
PAKISTAN - Ovunque perseguitati: il calvario dei rifugiati hazara cristiani
I rifugiati afghani in Pakistan speravano in una vita migliore, ma vivono nascondendosi e celando la loro identità temendo di essere espulsi o, peggio, linciati in strada per la loro fede. Un cortometraggio di Christian Solidarity Worldwide ha raccolto le testimonianze della comunità cristiana. Secondo gli esperi l’unica soluzione sono accordi umanitari con Paesi terzi.
Quattro volte discriminati: come cristiani, come hazara, come afghani e come rifugiati. Sono i profughi che dopo la caduta del governo di Kabul e la riconquista dei talebani sono scappati in Pakistan ma, per sopravvivere, continuano a essere costretti a celare identità e fede religiosa. La loro storia è raccontata in “Leave no one behind” (non lasciare indietro nessuno), un cortometraggio documentario realizzato dall’organizzazione per i diritti umani Christian Solidarity Worldwide (CSW).
La minoranza etnica degli hazara è da sempre perseguitata dalla maggioranza pashtun, divisa tra Pakistan e Afghanistan. Perlopiù di fede islamica sciita, parte della comunità si trova ora sparpagliata e divisa tra più città pakistane, in situazione di pericolo e minata dall’incertezza sul proprio futuro. Se rivelassero che oltre a essere rifugiati hazara sono cristiani rischierebbero di essere linciati per strada. Un’eventualità che non è così inusuale in Pakistan.
“Spaventati dai talebani siamo fuggiti di notte”, racconta una donna circondata da quattro figli. Nomi e volti sono oscurati, ma le loro angosce traspaiono dalle parole: “Avevamo paura di essere riconosciuti in quanto hazara. Poi, se avessero saputo che veniamo da una famiglia dell’esercito ci avrebbero uccisi sul momento”. Subito dopo il loro ritorno al potere, i talebani hanno rintracciato e massacrato quanti avevano collaborato con le forze militari internazionali o erano al servizio del precedente governo afghano. “Avevo paura, per questo io e le mie figlie abbiamo indossato il burqa, mentre i miei figli avevano il volto coperto da un panno, stesi sul pavimento della macchina per non rivelare la nostra provenienza etnica”, continua la donna raccontando della fuga dall’Afghanistan. “Avevo frequentato la facoltà di legge per due settimane, ma dopo la riconquista talebana non ho avuto altra scelta che lasciare l’Università”.
“Solo poche persone sapevano che io fossi cristiano”, racconta poi un altro uomo, anche lui con il volto oscurato. “Ma i miei amici musulmani mi chiedevano di riconvertirmi all’Islam. Dicevo loro che la questione non li riguardava, ma avevo molta paura”. Quando poi i talebani hanno cominciato a dargli la caccia perché erano venuti a sapere che era cristiano hanno trovato in casa solo la moglie. Le hanno chiesto: “Dov’è tuo marito?”. Nel tentativo di ricevere una risposta l’hanno torturata, bruciandole le braccia con un ferro bollente, lasciandole cicatrici ancora ben visibili a mesi di distanza. “Ce ne siamo andati con solo i nostri vestiti addosso, ma arrivati a Quetta abbiamo incontrato grosse difficoltà - prosegue ancora l’uomo - perché i miei zii sanno che siamo cristiani, per cui chiamavano prima di noi dicendo di non ospitarci in quanto infedeli”.
Il professore e analista Farooq Suleria spiega che gli hazara “non sono i benvenuti in Pakistan, non sono accolti da nessuna parte, ma soprattutto sia i talebani che Daesh colpiscono gli hazara in diversi modi. Per esempio era circolata la notizia - credibile - che gli hazara fossero stati espulsi dalle loro case e le loro terre distribuite ai talebani che hanno combattuto in Afghanistan negli ultimi 20 anni”. La loro persecuzione “è una crisi continua che dura ormai da 40 anni” e che dovrebbe essere trattata dalla comunità internazionale come una “questione umanitaria urgente”.
In realtà la loro situazione non vede miglioramenti nemmeno in Pakistan, dove i rifugiati si trovano ad affrontare gravi problemi finanziari e un accesso limitato alle risorse e alle opportunità, oltre alle discriminazioni quotidiane. La ricercatrice Sabal Gul Khattak aggiunge che molti afghani “ricevono chiamate di minacce da numeri sconosciuti in cui gli si dice che sanno dove sono e saranno rintracciati”.
“Nessuno è disposto ad affittare loro la casa”, continua ancora l’esperta. “E se lo fanno è a costi esorbitanti, ma essendo persone che sono state costrette a fuggire non hanno le risorse finanziarie necessarie per sopravvivere in un ambiente ostile”.
Una giovane coppia di cristiani hazara conferma che il problema principale in Pakistan è quello finanziario: “Sebbene io abbia studiato in Pakistan e sia stato abilitato dalla Commissione medica nazionale, non posso comunque lavorare perché non ho un visto lavorativo. Sopravviviamo grazie alle donazioni”, ha detto tra i due il ragazzo. “Ci è arrivata la notizia che in diverse città del Pakistan la polizia ha arrestato gli afghani che erano qui illegalmente”, aggiunge.
Il governo pakistano ha concesso un’estensione del visto, ma, specifica Sabal Gul Khattak, “questa misura vale fino a dicembre solo per quanti hanno già i documenti. Moltissimi non li hanno mai ottenuti. Dopo dicembre nessuno sa cosa accadrà”. Prigionieri nelle loro stesse case, i rifugiati si sentono stressati e impauriti al punto che “ogni volta che qualcuno suona il campanello temiamo possa essere la polizia che è venuta ad espellerci perché siamo senza documenti”, raccontano nel video.
“Mi sento senza speranze”, si commuove il giovane della coppia. “Ero venuto in Pakistan con una borsa di studio e speravo in un futuro migliore. Il mio piano era tornare e servire il mio popolo, ma dopo gli ultimi eventi in Afghanistan siamo bloccati qui. Non possiamo tornare indietro e non riusciamo nemmeno ad andare avanti”.
Come unica soluzione Sabal Gul Khattak indica la necessità di siglare “accordi con Paesi dove i cristiani hazara saranno al sicuro” perché ora “in Pakistan non lo sono, questo è certo. Le leggi sull’asilo ci sono, dobbiamo avvalercene in ogni Paese”, conclude.
(AsiaNews11/07/2023)
NICARAGUA - Un altro prete costretto all’esilio
Padre Douglas Guevara, parroco dell’Immacolata Concezione nella diocesi di León lascerà il Paese. Sono già 80 i religiosi costretti a espatriare dal regime di Ortega
Padre Douglas Guevara Ávila è costretto a lasciare il Nicaragua in seguito a minacce da parte dei fedelissimi del presidente Daniel Ortega. Fino a domenica, per quasi un anno, padre Douglas era stato parroco della chiesa dell’Immacolata Concezione, una delle più povere di León, l’antica capitale. Poi, la repentina partenza. Secondo le testimonianze dei fedeli e di fonti ecclesiali, il prete era oggetto di continui attacchi e ingiurie da parte della polizia e delle “turbas”, i paramilitari del governo.
«Padre Douglas faceva molte attività per le persone più vulnerabili. E difendeva i giovani dalla repressione. Per questo, era sotto assedio», racconta un esponente della comunità che ha chiesto l’anonimato per ragioni di sicurezza. La comunità ha voluto esprimergli il proprio affetto con un messaggio nella pagina Facebook della parrocchia.
«Grazie per il duro lavoro pastorale, per l’amore, lo sforzo e la costanza che ci ha dedicato nonostante gli ostacoli», si legge. Non si sa dove si trovi ora il sacerdote. La stessa sorte è toccata, appena qualche giorno prima, allo spagnolo padre Jesús María Palma della parrocchia di San Isidro Labrador a Jinotega. A giugno, altri due sacerdoti avevano lasciato la diocesi di Bluefields per timore di essere arrestati. Ipotesi tutt’altro che remota. Al momento, il vescovo Rolando Álvarez, cinque preti sono in cella e altri due sono agli arresti domiciliari.
L’ultimo a venire imprigionato è stato padre Fernando Zamora Silva della diocesi di Siuna, fermato il 9 luglio mentre rientrava dalla Messa. Secondo i dati della ricercatrice Martha Patricia Molina sono oltre 80 i presbiteri, religiosi e religiose costretti a fuggire negli ultimi cinque anni a causa della persecuzione, sempre più feroce poiché è l’unico spazio autonomo rimasto. Nello stesso periodo, sono stati registrati almeno 529 attacchi alla Chiesa, 90 dei quali sono avvenuti da gennaio, in pratica uno ogni due giorni. In questo contesto, oltre 150 dissidenti bersaglio dell’escalation orteguista hanno diffuso ieri una lettera pubblica, in vista del vertice Ue-America Latina in programma lunedì e martedì a Bruxelles.
«Chiediamo ai governi europei e latinoamericani di ogni colore politico di creare un “Gruppo di amici del popolo nicaraguense” per contribuire a una transizione democratica», si legge nel testo, di cui il primo firmatario è lo scrittore – nonché rivoluzionario sandinista ed ex vice del primo governo Ortega ¬– Sergio Ramírez. La missiva è stata sostenuta da oltre trenta organizzazioni per i diritti umani. (AVVENIRE, Lucia Capuzzi venerdì 14 luglio 2023)
CINA - La Cina prevede di esportare il “cristianesimo sinicizzato” a livello internazionale
“Cambieremo il volto della cristianità mondiale!” Una conferenza tenutasi dal 27 al 30 giugno ha lanciato un nuovo piano grandioso e un problema per il Consiglio ecumenico delle chiese.
I pastori della Chiesa delle Tre Autonomie hanno compreso da diversi anni cos’è una religione “sinizzata”. “Sinizzazione” non significa adottare uno stile, una lingua e un’estetica cinesi (infatti, il PCC sta “sinizzando” anche una religione cinese per antonomasia come il taoismo). Significa adottare lo stile, il linguaggio, l’ideologia del PCC. Lentamente ma inesorabilmente le chiese delle Tre Autonomie si stanno trasformando in centri di indottrinamento ideologico per il comunismo in stile Xi-Jinping, con la minuscola patina di cristianesimo che diventa sempre più minuscola ogni anno e ogni giorno.
Uno dei progetti più grandiosi di Xi Jinping è promuovere il suo marchio di comunismo in tutto il mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo. La diplomazia e il mondo accademico cinesi si sono mobilitati per insistere sul fatto che il “socialismo con caratteristiche cinesi” e il “ pensiero di Xi Jinping “ funzionano molto meglio della democrazia in stile occidentale.
Sembra che ora il PCC creda che anche i suoi marchi di cristianesimo protestante “sinizzato” possano essere esportati a livello internazionale. Questo è stato un messaggio chiave dell’”Incontro di formazione per i principali pastori della regione cristiana della Cina nord-orientale” che si è tenuto dal 27 al 30 giugno a Changchun, provincia di Jilin. La conferenza è stata trasmessa a livello nazionale e coperta dai media nazionali cinesi.
Il pastore Shan Weixiang, vicepresidente e amministratore delegato del China Christian Council , e il pastore Kan Baoping, vicepresidente del comitato del movimento patriottico cinese delle Tre Autonomie , hanno tenuto i discorsi principali.
Il pastore Kan Baoping ha usato la formula “un grande compito e due grandi problemi” per descrivere lo stato attuale ei progetti futuri della Chiesa delle Tre Autonomie. I due problemi sono “resistere alle infiltrazioni esterne” e “proteggere l’unità dei cristiani resistendo a xie jiao, eresie e religione illegale”. Ovviamente, il PCC è ancora preoccupato che i cristiani delle Tre Autonomie cinesi possano essere esposti a diversi tipi di cristianesimo, in cui viene predicato Gesù Cristo piuttosto che Marx o Xi Jinping, attraverso contatti con credenti all’estero. Il PCC sa anche che migliaia di cristiani ogni anno esprimono ciò che realmente pensano della “sinizzazione” e lasciano la Chiesa delle Tre Autonomie e aderiscono a chiese domestiche “illegali” , e persino a movimenti etichettati come xie jiao come l’Associazione dei Discepoli (ora sempre denunciata come una grave minaccia).
D’altra parte, il convegno ha indicato il “grande compito” per i cristiani delle Tre Autonomie per i prossimi anni. Nelle parole del pastore Kan, si tratta di trasformare “l’esperienza riuscita della sinicizzazione del cristianesimo”, da lui esplicitamente presentata come “cristianesimo adattato a una società socialista”, in “un grande contributo dato dal cristianesimo cinese al cristianesimo mondiale”. “Cambieremo il volto della cristianità mondiale”, ha detto il pastore Kan tra il fragoroso applauso dei leader regionali delle Tre Autonomie tra il pubblico.
Se il “cristianesimo mondiale” sia pronto a cambiare il suo volto cristiano in uno che adora il comunismo e Xi Jinping è una questione che la conferenza non ha davvero affrontato. Tuttavia, non dovremmo credere che il PCC stia semplicemente sognando. Dopotutto, è riuscito a insediare il pastore Kan come membro del Comitato centrale (un nome che sicuramente piace al PCC) del Consiglio ecumenico delle chiese di Ginevra. Si può solo sperare che i suoi colleghi non capiscano davvero quale sia la sua funzione in Cina e le idee sul “cambiare il volto del cristianesimo mondiale”.
(Bitter Winter 07/05/2023 ZHANG CHUNHU)