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2023 08 02 AGGHIACCIANTE!!! PAKISTAN - Stuprata perché cristiana una bambina di 7 anni

Fonte:
CulturaCattolica.it
PAKISTAN - Stuprata perché cristiana una bambina di 7 anni TERRA SANTA - “Basta con le manifestazioni di disprezzo verso i cristiani a Gerusalemme e ad Haifa” AZERBAIGIAN - L’Azerbaigian blocca 19 tir carichi di aiuti: «Vuole far morire di fame gli armeni»
UNA NOTIZIA DOLOROSA PIENA DI SPERANZA: BURUNDI - Mancano le risorse economiche per poter accogliere i tanti candidati alla vita sacerdotale

PAKISTAN - Stuprata perché cristiana una bambina di 7 anni

Da inizio anno ad aprile di quest’anno in Pakistan - secondo gli attivisti per i diritti umani - sono stati registrati più di 10mila casi di violenza sulle donne, soprattutto verso le appartenenti a minoranze religiose o etniche. Tra gli ultimi casi uno agghiacciante ha avuto per protagonista una bambina nel distretto di Sahiwal.

A inizio luglio Javeria, una bambina di sette anni, è stata violentata nel villaggio rurale del distretto di Sahiwal. È il caso recente più agghiacciante di un fenomeno che, secondo gli attivisti dei diritti in Pakistan, è tremendamente diffuso: superano la decina di migliaia nel Paese le violenze contro le donne, che colpiscono principalmente le minoranze etniche e religiose. Javeria, la cui famiglia è cristiana, era andata a fare delle commissioni in un negozio del paese. Quando non è tornata, suo padre, Javed Masih, si è messo a cercarla, trovandola in un edificio abbandonato mentre un uomo la stava violentando. Javeria è stata ricoverata alcuni giorni all’ospedale distrettuale di Sahiwal. La polizia ha arrestato l’uomo sorpreso durante la violenza sulla minore.

Voice for Justice - una realtà pakistana nata per fornire assistenza legale a chi non può permetterselo - ha preso in carico il caso della piccola Javeria, la cui famiglia è indigente. Il presidente e fondatore Joseph Jansen, sottolinea “che le ragazze appartenenti a minoranze religiose come Javeria sono specificamente prese di mira perché hanno meno probabilità di ricevere aiuto dalla polizia e dai funzionari giudiziari nella ricerca di giustizia. Spesso in questi casi i colpevoli non vengo perseguiti - aggiunge - e gli agenti tendono a schierarsi con le persone della religione maggioritaria, ovvero quella islamica”.

La cultura dell’impunità in Pakistan incoraggia i colpevoli a commettere violenze e stupri. Anche per questo l’attivista per i diritti delle donne Farhat Rasheed ricorda: “Abbiamo una necessità ed è quantomai urgente: il governo deve far rispettare queste leggi e punire i colpevoli secondo le norme e i codici. Ma assistiamo a legami stretti tra chi si sente libero di violare la legge e commettere questo tipo di violenze e chi governa”.
(di Shafique Khokhar AsiaNews 26/07/2023)


TERRA SANTA - “Basta con le manifestazioni di disprezzo verso i cristiani a Gerusalemme e ad Haifa”

“Negli ultimi mesi, gli attacchi al clero cristiano, alle chiese e ai luoghi santi hanno destato l’ansia di molti nostri fedeli cristiani, in particolare a Gerusalemme e ad Haifa” afferma un comunicato pervenuto all’Agenzia Fides della Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa. “Sputi, abusi verbali, a volte violenze fisiche, atti di vandalismo e grafiti sui muri sono per lo più perpetrati da ebrei religiosi estremisti” riferisce “Giustizia e Pace”. “Purtroppo, come in passato, i responsabili dell’applicazione della legge e dell’ordine raramente identificano e arrestano gli autori di questi attacchi e ancora più raramente gli autori devono rendere conto delle loro azioni”.
Le provocazioni più recenti, afferma “Giustizia e Pace”, concernano il Monastero Stella Maris, in cima al Monte Carmelo. “Questo sito- sottolinea il comunicato- è visitato da centinaia di cristiani e credenti di altre religioni, sia locali che stranieri, che mostrano rispetto per il luogo e le sue tradizioni”. “Nelle ultime settimane, tuttavia, i religiosi discepoli ebrei del rabbino Eliezer Berland, nato ad Haifa, hanno ripetutamente invaso questo santuario, affermando persino di possederlo” asserisce “Giustizia e Pace” che riporta la preoccupazione di “molti nella comunità cristiana” che temono che l’azione di “una minoranza marginale possa davvero dare inizio a una tendenza da parte di altri gruppi più numerosi per prendere il pieno controllo del sito, come è accaduto in precedenza a Nablus e a Hebron”.
(L.M.) (Agenzia Fides 28/7/2023)

TERRA SANTA - Pizzaballa: violenze anticristiane, chiediamo diritti non protezione
Il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, in un’intervista a Vatican News, prende atto del crescere delle minacce e delle intimidazioni contro la comunità cristiana della Terra Santa, invitando tutti a non rispondere con la violenza: “Noi non vogliamo protezione” - afferma - ma diritti, perché “vogliamo vivere da liberi cittadini in uno Stato democratico”

Da alcuni mesi sono aumentati gli atti di intimidazione, minacce e violenze contro i cristiani di Terra Santa, in particolare sul territorio israeliano. Chiese vandalizzate, una statua di Cristo distrutta, un cimitero protestante profanato e, più di recente, estremisti ebrei hanno tentato di “occupare” alcune chiese della città di Haifa. Benché piccola minoranza, che non rappresenta né gode del sostegno della maggioranza degli israeliani, questi estremisti ebrei rischiano di provocare un’esplosione di violenza, contro la quale si stanno già alzando alcune voci di leader religiosi della Terra Santa, cristiani e non.

In un’intervista ai media Vaticani, il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa, che riceverà la berretta cardinalizia dalle mani di Papa Francesco il prossimo 30 settembre, esprime la sua preoccupazione di fronte al moltiplicarsi delle azioni violente, ma desidera tenere acceso un filo di speranza, in un contesto politico-sociale molto complesso. Il Patriarca chiede l’applicazione del diritto e il rispetto delle garanzie per le comunità religiose.

Sua Beatitudine, da qualche mese, si assiste ad un aumento delle intimidazioni e delle violenze contro i cristiani di Terra Santa, soprattutto sul territorio di Israele. Qual è la situazione?

Purtroppo è vero, abbiamo assistito in quest’ultimo periodo a un aumento degli attacchi. Diciamo che questi scontri, sputi, accuse, insulti, non sono una grande novità. Però l’aumento esponenziale di questi fenomeni, soprattutto nella zona di Gerusalemme, della Città Vecchia, sono diventati oggetto di preoccupazione e sono ormai una questione all’ordine del giorno che preoccupa sia la comunità cristiana che le autorità israeliane che dicono di fare di tutto per impedire questo: ma con non molto successo fino ad oggi.

(...) Lei mi parla della Città Vecchia di Gerusalemme, soprattutto, ma ad Haifa sta succedendo ancora una cosa diversa?

Ad Haifa c’è un fenomeno diverso che è legato a una persona specifica, il rabbino Berland, che è un po’ fuori controllo, che con i suoi seguaci è convinto che a Stella Maris, nella chiesa dei carmelitani, ci sia la tomba del profeta Eliseo, cosa che non esiste proprio. Quindi, questo è più che altro un fenomeno settario che è un po’ a parte. Questo rabbino è stato anche in carcere per accuse di diverso genere. È un fenomeno leggermente diverso, che crea comunque tanto nervosismo all’interno della comunità cristiana che a volte accusa anche noi capi religiosi, dicendo: cosa state facendo, perché non intervenite, non parlate contro questo fenomeno…

Secondo lei, i luoghi cristiani non sono sufficientemente protetti?

Noi non vogliamo protezione, noi vogliamo garanzie, vogliamo diritti: noi vogliamo vivere da liberi cittadini in uno Stato democratico.

(...)Oggi parlerebbe di persecuzioni contro i cristiani?

No. Quando si parla di persecuzioni, io penso a quello che ha fatto il sedicente stato islamico (Is) in Siria e Iraq. Noi non siamo in questa situazione. Ci sono problemi, questo senz’altro, ma non siamo perseguitati.

Motivi di speranza?

Motivi di speranza ci sono sempre perché queste situazioni hanno creato anche forti reazioni, spesso molto più forti all’interno della società israeliana anche religiosa più spesso che tra i cristiani e credo che questo prendere coscienza di un problema all’interno della società israeliana nel tempo porterà frutto.
(Jean Charles Putzolu – Città del Vaticano- 2023 07 26)


AZERBAIGIAN - L’Azerbaigian blocca 19 tir carichi di aiuti: «Vuole far morire di fame gli armeni»
Da oltre 24 ore 360 tonnellate di beni essenziali destinate all’Artsakh sono ferme davanti al Corridoio di Lachin per volere del regime di Baku. Anche l’Ue protesta

Diciannove tir carichi di 360 tonnellate di aiuti umanitari sono bloccati all’ingresso del Corridoio di Lachin dall’Azerbaigian. La strada che collega i 120 mila armeni residenti in Artsakh all’Armenia e al resto del mondo è chiuso illegalmente dal regime azero dal 12 dicembre. La decisione di Baku ha provocato una catastrofe umanitaria, che si è ulteriormente aggravata a partire dal 15 giugno, quando l’Azerbaigian ha proibito anche il passaggio degli aiuti umanitari trasportati dalla Croce rosse internazionale.

«L’Azerbaigian fa morire di fame gli armeni»
In sostanza, come denunciato recentemente da Freedom House, l’Azerbaigian «sta cercando di far morire di fame» 120 mila armeni. Nelle città dell’Artsakh, nella regione del Nagorno-Karabakh, non mancano solo cibo, medicine, prodotti per l’igiene e per l’infanzia. Baku ha anche interrotto le forniture di gas ed elettricità dall’Armenia.

Negli ultimi giorni preoccupa soprattutto la totale assenza di benzina. Sia il trasporto pubblico che quello privato sono completamente fermi e gli armeni devono percorrere decine di chilometri a piedi anche solo per portare i figli all’ospedale. Come denunciato dal presidente dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, la situazione è davvero disperata: «L’Azerbaigian sta trasformando l’Artsakh in un campo di concentramento».

L’invio di aiuto supervisionato dall’Ue
A nulla sono serviti i colloqui diplomatici tra Armenia e Azerbaigian mediati da Unione Europea e Stati Uniti. A nulla è servita la condanna vincolante della Corte internazionale di giustizia, che ha obbligato Baku a riaprire il Corridoio di Lachin. Il regime di Ilham Aliyev, spalleggiato dalla Turchia, pur di obbligare gli armeni del Nagorno-Karabakh ad abbandonare la loro terra è disposto anche a farli morire di fame. Non a caso, le autorità di Stepanakert ed Erevan denunciano il «tentativo di genocidio».

Esaurite tutte le risorse diplomatiche, sotto la supervisione di Markus Ritter, capo della missione dell’Unione Europea in Armenia, il governo di Nikol Pashinyan ha deciso di inviare 360 tonnellate di aiuti all’Artsakh. I 19 tir, partiti mercoledì, sono fermi da più di 24 ore nel villaggio di Kornidzor dopo aver chiesto alle forze di mantenimento della pace russe e a quelle azere di far passare il convoglio. Ma non hanno ancora ottenuto risposta.

Gli armeni non cedono al regime di Baku
L’irrazionale e criminale comportamento dell’Azerbaigian è stato duramente criticato ieri dall’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell. «Spetta alle autorità azere di garantire la sicurezza e la libertà di movimento lungo il Corridoio di Lachin immediatamente e di non permettere alla crisi di subire un’ulteriore escalation. I beni essenziali sono terminati o scarseggiano seriamente» in Artsakh «e le conseguenze per la popolazione sono gravi».

Borrell ha anche aggiunto che il passaggio di aiuti umanitari dalla città di Aghdam «non deve essere visto come un’alternativa alla riapertura del Corridoio di Lachin». Il riferimento è all’ultima trovata del regime azero, che ha proposto di far passare gli aiuti umanitari dalla città da loro occupata nel 2020. Gli armeni, però, si rifiutano di ricevere aiuti «dalle stesse persone che ci stanno affamando» e non intendono cedere sul Corridoio di Lachin, che una sentenza internazionale vincolante ha stabilito che deve essere riaperto.

La reazione isterica dell’Azerbaigian
L’invio dei tir di aiuti da parte dell’Armenia ha scatenato la reazione isterica dell’Azerbaigian, che ha definito con incredibile spudoratezza l’invio di aiuti salvavita agli armeni «manipolazione politica, speculazione e provocazione».

La reazione scomposta di Baku è dovuta al fatto che per la prima volta, contrariamente a quanto propagandato da oltre sette mesi dal regime di Aliyev, con l’invio di aiuti umanitari l’Armenia ha chiaramente dimostrato che l’Azerbaigian sta davvero bloccando il Corridoio di Lachin e affamando 120 mila armeni. Un atteggiamento criminale che la comunità internazionale non può più tollerare.
(LeoneGrotti Tempi 2023 07 28)

UNA NOTIZIA DOLOROSA PIENA DI SPERANZA
BURUNDI - Mancano le risorse economiche per poter accogliere i tanti candidati alla vita sacerdotale

Il prossimo 15 agosto, la Chiesa cattolica del Burundi celebrerà gli eventi conclusivi del Giubileo per i 125 anni di Evangelizzazione, iniziati il 1 ottobre 2022 (vedi Agenzia Fides 17/3/2023).
Nonostante la proliferazione di nuovi movimenti religiosi, la presenza di altre denominazioni cristiane, l’estrema povertà nella quale vive la popolazione, gli anni di guerra civile che non hanno mai portato ad una riconciliazione definitiva, negli ultimi anni la Chiesa cattolica locale ha visto aumentare il numero di credenti. Infatti, secondo quanto riportato da stime della chiesa locale, il paese ha conosciuto un boom di vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio.
Tuttavia, a causa della difficile situazione economica nella quale verte il paese dell’Africa orientale, i quattro Seminari maggiori presenti nelle otto diocesi cattoliche non riescono a soddisfare le richieste di tutti i candidati che ogni anno chiedono accoglienza. Ne consegue la recente decisione di fissare a 13 il numero degli iscritti per ogni Seminario.
In Burundi due terzi della popolazione è cattolica con il 90 per cento di cristiani. Non mancano tuttavia le religioni tradizionali e tanti nuovi movimenti religiosi.
(AP) (Agenzia Fides 27/7/2023)

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