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2023 08 23 PAKISTAN - Violenze anticristiane: “Si ripetono perché restano impunite”

Fonte:
CulturaCattolica.it
PAKISTAN - Jaranwala, assalto a 22 chiese e alle case dei cristiani col pretesto della blasfemia NICARAGUA - Confiscata l’Università dei Gesuiti centroamericana del Nicaragua - Monsignor Álvarez detenuto da un anno. NAGORNO KARABAKH - tensioni con Baku e Ankara, l’Armenia si appella all’Onu

PAKISTAN - Jaranwala, assalto a 22 chiese e alle case dei cristiani col pretesto della blasfemia

La NOTIZIA
(AsiaNews 17/08/2023)

Nel distretto di Faisalabad 21 luoghi di culto e le abitazioni dei cristiani devastati da una folla aizzata dagli estremisti islamici. Centinaia di persone costrette a fuggire. Il cristiano accusato di aver scritto frasi oltraggiose contro il Corano in realtà è un analfabeta.

Un episodio di presunta blasfemia contro il Profeta Maometto e di profanazione di pagine del Corano attribuite a un uomo cristiano, Raja Masih, ha scatenato il 16 agosto in Pakistan un’ondata di violenza e attacchi a chiese e abitazioni a Jaranwala, nel distretto di Faisalabad. Una folla istigata dagli estremisti ha assaltato ben sei chiese e numerose abitazioni, creando una gravissima situazione per la comunità cristiana locale.
È bastato il semplice ritrovamento a terra di pagine del Corano, accompagnate da una lettera contenente commenti blasfemi e il nome di Raja Masih - una persona in realtà analfabeta - a scatenare la furia e l’indignazione della popolazione locale, con una rapida escalation e proteste su larga scala. La situazione ha preso una piega angosciante quando la folla ha preso di mira le chiese e le case della comunità cristiana.
Centinaia di cristiani di Jaranwala sono stati costretti a fuggire impauriti dalle loro case prese d’assalto.
Il pastore Imran Javed, coordinatore di Voice for Justice, è stato testimone dell’attacco. Descrivendo l’ambiente come carico di tensione, ha raccontato ad AsiaNews che l’incidente si è ulteriormente aggravato quando la folla si è radunata fuori dalle moschee locali, chiedendo un intervento rapido in risposta alla presunta profanazione del Corano e del profeta Maometto.
In risposta alla crescente violenza, i commercianti hanno chiuso i negozi e i manifestanti hanno bloccato alcuni incroci importanti. Le forze dell’ordine hanno cercato di ristabilire l’ordine e garantire la sicurezza. Il comandante, affiancato dal mufti Muhammad Younis Rizvi, si è rivolto alla folla facendo appello alla moderazione e rassicurando i manifestanti sull’adozione di misure immediate contro gli accusati. Nonostante questi sforzi, però, alcune fazioni hanno continuato a sollecitare azioni estreme.

Il BILANCIO definitivo (22.08.2023)

Due cristiani, accusati di aver offeso il Corano, sono stati arrestati. Sono stati arrestati anche oltre 100 musulmani che hanno partecipato agli assalti e ai saccheggi. Indagato un religioso islamico che ha incitato alla protesta attraverso l’altoparlante di una moschea.
Secondo le stime compilate dall’amministrazione distrettuale di Faisalabad, almeno 22 chiese saccheggiate dalla folla hanno subito danni per un ammontare di 29,1 milioni di rupie mentre 91 case che hanno sopportato il peso maggiore della violenza hanno subito perdite per un ammontare di 38,5 milioni di rupie.

Le REAZIONI

PAKISTAN - Preghiera e solidarietà verso gli sfollati di Jaranwala

Preghiera, solidarietà con gli sfollati, richiesta di giustizia: in tal modo la comunità cristiana in Pakistan vive i giorni successivi a quanto verificatosi il 16 agosto nella città di Jaranwala.
Nella diocesi di Faisalabad, in cui si trova Jaranwala, le comunità cattoliche si sono riunite a pregare in tutte le chiese. Ieri, domenica 20 agosto, nella speciale Giornata di preghiera indetta dalla Conferenza episcopale del Pakistan in tutta la nazione, mons. Indrias Rehmat, Vescovo di Faisalabad, ha celebrato la messa nelle strade del quartiere devastato, nei pressi delle macerie della chiesa cattolica di san Paolo, accanto a p. Khalid Mukhtar, parroco cattolico del quartiere. Tutte le famiglie cristiane hanno partecipato con devozione e commozione, trovando consolazione nella vicinanza espressa da tutti gli altri fedeli e nell’accostarsi all’Eucarestia. “Il Signore è al nostro fianco sempre. È con noi nella sofferenza. Il suo Corpo e il suo Sangue sono fonte di forza, pazienza, speranza e sono la testimonianza dell’eterno amore di Dio per il suo popolo. Egli è oggi in mezzo a noi e non disperiamo”, ha detto il Vescovo ai fedeli, provati dall’aver perso la casa e ogni bene personale, ritrovandosi, dall’oggi al domani, in miseria. (...)

Accanto alla preghiera, è in atto uno sforzo comune di solidarietà per le famiglie sfollate di Jaranwala. La Caritas di Faisalabad, con un team di volontari, sta distribuendo pacchi alimentari, kit per l’igiene e set da cucina alle famiglie colpite. Nel quartiere cristiano si recano e sono operative comunità religiose come le suore Domenicane di Faisalabad, che preparano e portano cibo cucinato agli sfollati. Anche i missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI) hanno iniziato a lavorare nell’area per supportare i bisognosi, fornendo oggetti di prima necessità come tende e coperte, mentre ci si dedica alla ripulitura dei luoghi e delle case e si inizia a pensare alla ricostruzione(...)
(Agenzia Fides 21/8/2023)

PAKISTAN - Violenze anticristiane: “Si ripetono perché restano impunite”
È quanto afferma a Radio Vaticana-Vatican News il presidente della Conferenza episcopale pakistana, monsignor Joseph Arshad, intervistato in occasione della Giornata di preghiera indetta per questa domenica 20 agosto dopo gli attacchi alle chiese e alle case dei cristiani da parte di una folla inferocita per un presunto caso di blasfemia

La comunità cristiana è profondamente scossa, soffre molto, ma resta una comunità pacifica: è quanto dice a Radio Vaticana-Vatican News il presidente della Conferenza episcopale pakistana, monsignor Joseph Arshad, arcivescovo di Islamabad-Rawalpindi.

Monsignor Joseph Arshad, perché questa giornata di preghiera per il Pakistan è così importante?
L’altro giorno ho visitato il luogo in cui è accaduto tutto. Sono andato lì. La gente sta soffrendo. Si può sentire il dolore delle persone che sono andate via. Le loro case sono state saccheggiate. Ventuno chiese sono state bruciate. Parrocchie cattoliche e anche protestanti sono state bruciate. Le Bibbie sono state bruciate. Le croci sono state bruciate. È molto doloroso da vedere. Naturalmente, per le persone che hanno perso le loro case, ci vorrà del tempo per uscire da questo trauma. Al momento, alcune persone sono andate dai loro parenti. Alcune persone sono costrette a vivere all’aperto, quindi la Chiesa si è mossa e stiamo facendo del nostro meglio per aiutare e assistere queste persone.

Cosa si dovrebbe fare? È necessario rivalutare le leggi sulla blasfemia o è più necessario evitare che le persone si facciano giustizia da sole?
Condanniamo l’abuso della legge. Vogliamo che nessuno abusi di questa legge. Il problema in Pakistan è che la gente si fa giustizia da sola. E in questo caso, quello che è successo è che la gente, la folla, si è fatta giustizia con le proprie mani.

Cosa si può fare per prevenire l’uso improprio della legge?
È necessaria una buona educazione. È necessaria una maggiore consapevolezza tra la gente. Occorre promuovere il rispetto per la religione altrui. Queste misure possono aiutare la società a migliorare. E naturalmente il governo dovrebbe applicare pene severe per assicurare alla giustizia le persone che hanno commesso questi atti. Altrimenti, come in tutti gli incidenti avvenuti in Pakistan in passato, le folle hanno attaccato, ma non è stata fatta giustizia. Ecco perché è successo di nuovo.
(...)
Papa Francesco ha istituito una nuova Commissione dedicata ai nuovi martiri. Una persona che mi viene in mente è Bhatti. Vorrei chiederle come ha testimoniato la sua fede cristiana in Pakistan tra queste difficoltà, e come i cristiani oggi testimoniano nel suo Paese?
Noi cristiani siamo sempre stati un popolo pacifico, in Pakistan. Shahbaz Bhatti era un ministro qui e un uomo che ha sempre parlato per i diritti delle persone. Ed è per questo che la gente lo ricorda ancora e lo considera un eroe, perché ha anche insistito presso il governo affinché fosse introdotta la quota del 5% per le minoranze, in tutti i dipartimenti del governo. In Pakistan possiamo beneficiare di questa quota. Tutto questo grazie alle lotte di Shahbaz Bhatti.

Nella realtà quotidiana, però, per i cristiani in Pakistan subiscono molti episodi di discriminazione…
Ce ne sono molti. Voglio dire, la cultura, la mentalità, è tale che anche altre persone vengono discriminate. Noi, come minoranza religiosa, siamo discriminati. (...)
Vorrei dire che dobbiamo pregare per i cristiani in Pakistan. E naturalmente, dovrebbe essere fatta giustizia in questo caso, perché ogni volta che accadono questi incidenti, non c’è alcun esempio di punizione per queste persone, ed è per questo che queste cose accadono di nuovo. Ma adesso il primo ministro, il capo dell’esercito e il governatore hanno dichiarato che li puniranno severamente e che consegneranno tutti alla giustizia in Pakistan. (Vatican NEWS 2023 08 20)

Speriamo...

PAKISTAN -... e il Primo Ministro del Pakistan visitano le famiglie cristiane colpite dalla violenza
(...) La comunità di Jaranwala, in una assemblea di fedeli di diverse confessioni e di cittadini musulmani, ha accolto anche la visita di Anwar ul Haq, Primo Ministro ad interim del Pakistan. Come segno di attenzione delle istituzioni, il Primo Ministro ha voluto portare di persona, a nome del governo federale, solidarietà alle vittime. In un discorso cui i mass-media pakistani hanno dato ampia diffusione, Anwar ul Haq ha ricordato che “la comunità cristiana ha avuto un ruolo importante nella creazione de Pakistan” ed è parte integrante della nazione, aggiungendo che “è responsabilità di ogni musulmano proteggere le comunità minoritarie”.
Il Primo Ministro ha aggiunto: “Non stiamo perseguendo i nemici delle minoranze solo per obbligo, ma per convinzione. Come seguaci del fondatore della patria Ali Jinnah e come seguaci del Profeta Maometto, agiamo secondo la legge e la Costituzione del Pakistan, che ci incoraggia e ci obbliga a rispondere a questa atrocità. Non daremo un facile condono ai persecutori. Se qualcuno perseguita una qualsiasi comunità, la giustizia lo raggiungerà”. “Fratelli e sorelle – ha detto il Primo Ministro rivolgendosi ai cristiani – siamo con voi, saremo la voce dei senza voce. Faremo rispettare la legge e troverete lo stato e la società accanto a voi non solo verbalmente, ma con gesti tangibili e significativi”. Anwar ul Haq ha quindi distribuito assegni per 2 milioni di rupie ciascuno ai cristiani cristiana le cui case sono state distrutte durante le violenze. (PA) (Agenzia Fides 22/8/2023)

NICARAGUA - Confiscata l’Università centroamericana del Nicaragua
Sequestrati i beni mobili e immobili dell’Ateneo dei gesuiti nel Paese latinoamericano, accusato di essere un centro di terrorismo. La Compagnia di Gesù: “Si tratta di imputazioni false e infondate”

L’Università Centroamericana del Nicaragua (Uca) sarà sottoposta a sequestro e trasferimento dei suoi beni mobili e immobili allo Stato nicaraguense, così come dichiarato dalla Compagnia di Gesù, fondatrice dell’Ateneo, che ha resa nota anche la notifica da parte del decimo Tribunale Penale di Managua, con la quale si accusa l’Uca di essere “un centro di terrorismo, che organizza gruppi criminali”.

Accuse false e infondate
La Provincia centroamericana della Compagnia di Gesù nega le accuse contro l’Università, definendole “false e infondate” e affermando che “si tratta di una politica governativa che viola sistematicamente i diritti umani e che sembra essere finalizzata al consolidamento di uno Stato totalitario”. (...)
L’Uca nasce nel 1963 ad opera dei gesuiti come istituzione educativa senza scopo di lucro, autonoma, di servizio pubblico e di ispirazione cristiana. (Vatican News 2023 08 17)

NICARAGUA - Padre Sosa: sull’Uca accuse false di un regime liberticida
In una lettera al provinciale dei gesuiti dell’America Centrale, il preposito generale della Compagnia di Gesù condanna il sequestro e la confisca dei beni dell’Università Centroamericana decisi dalle autorità nicaraguensi: chiedo che il provvedimento sia revocato e cessi l’aggressione contro l’ateneo

Un’”aggressione” dolorosa per la sua violenza immotivata, frutto unicamente di un “complotto” orchestrato dal “regime governativo” del Nicaragua per “soffocare” e appropriarsi di strutture della società civile, ledendo diritti e libertà civili. Usa parole schiette padre Arturo Sosa, preposito generale dei gesuiti, nel condannare la decisione del governo Ortega di mettere sotto sequestro e confiscare i beni di proprietà dell’Università Centroamericana (Uca), fondata dalla Compagnia di Gesù nel ‘60.

Calunnie per giustificare l’azione di appropriazione
Ieri il decimo Tribunale Penale di Managua aveva emanato il provvedimento tacciando l’Uca di essere “un centro di terrorismo, che organizza gruppi criminali”. Per padre Sosa si tratta di accuse “totalmente false e prive di qualsiasi fondamento” che - scrive nella lettera inviata al provinciale dei gesuiti dell’America Centrale - si aggiungono alla campagna avviata da tempo dal regime del Nicaragua “contro molte altre opere della Chiesa cattolica e contro migliaia di istituzioni della società civile, con l’obiettivo di soffocarle, chiuderle o appropriarsene”. Calunnie del genere, sottolinea, “hanno anche oltraggiato i diritti di tante persone, la loro reputazione, la loro vita e le loro proprietà”. (...)
(Alessandro De Carolis – Vatican News 2023 08 18)

NICARAGUA - Monsignor Álvarez detenuto da un anno. Onu e Cidh: sia liberato
In un comunicato, le due organizzazioni internazionali denunciano la violazione dei diritti umani ai danni del vescovo di Matagalpa, condannato a 26 anni di carcere con l’accusa di cospirazione contro l’integrità nazionale e di propagazione di notizie false. Dallo scorso anno documentato nel Paese l’aumento delle persecuzioni contro la Chiesa cattolica

La Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) e l’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani per l’America centrale e i Caraibi anglofoni (Ohchr) chiedono al governo del Nicaragua il rilascio immediato di monsignor Rolando Álvarez, vescovo di Matagalpa, e di tutte le altre persone arbitrariamente private della loro libertà nel Paese, dove da cinque anni si registrano sistematiche violazioni dei diritti umani. A un anno dall’arresto del presule, in un comunicato ufficiale, rilanciato dal Sir, le due organizzazioni condannano la detenzione in isolamento nel sistema carcerario Jorge Navarro di Tipitapa - conosciuto come “La Modelo” -, la limitazione delle visite dei familiari e la mancanza di accesso alle cure mediche e ai farmaci essenziali.
Monsignor Álvarez è detenuto dal 19 agosto dello scorso anno. Accusato di cospirazione contro l’integrità nazionale e di propagazione “di notizie false attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione a danno dello Stato e della società nicaraguense”, nonché di disobbedienza e oltraggio alle autorità, lo scorso 10 febbraio, per essersi rifiutato di lasciare il Nicaragua e andare in esilio negli Stati Uniti, è stato condannato a 26 anni di carcere, con l’interdizione dai pubblici uffici e la perdita dei diritti di cittadinanza a vita, compresa la nazionalità nicaraguense. Per la Cidh e l’Ohchr quelli nei confronti del presule sono atti “contrari agli obblighi internazionali in materia di diritti umani assunti dal Nicaragua con la ratifica della Convenzione americana sui diritti umani e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, in particolare per quanto riguarda la garanzia dei diritti al giusto processo, alla libertà e all’integrità personale”.

Le persecuzioni contro la Chiesa cattolica
Dal 2022 i due organismi internazionali documentano “l’aumento delle persecuzioni contro la Chiesa cattolica in Nicaragua attraverso la detenzione arbitraria, l’incarcerazione e l’espulsione dal Paese di sacerdoti e suore senza garantire un giusto processo” e anche “l’espropriazione delle loro proprietà senza il diritto a rimedi amministrativi o giudiziari”, come è il caso di questi ultimi giorni che ha riguardato l’Università Centroamericana (Uca) dei gesuiti, accusata dal regime di Ortega di terrorismo e soggetta dunque al sequestro e alla confisca dei beni (...)

La realtà socio-politica del Nicaragua
Dall’aprile 2018 il Nicaragua sta attraversando una crisi politica e sociale, acuitasi dopo le controverse elezioni del 7 novembre 2021 che hanno affidato a Daniel Ortega il quinto mandato alla presidenza del Paese. Un mandato segnato dallo scontro con le autorità religiose. Ad oggi, almeno 44 membri della Chiesa cattolica sono stati arbitrariamente espulsi dal Paese, 8 sacerdoti sono in carcere e sono stati confiscati diversi collegi e università.
(Vatican News 2023 08 19)

Mentre gli Armeni del Nagorno Karabakh a causa del blocco del corridoio di Lacin sono in situazione drammatica, le mosse politiche dimenticano totalmente il volto di 120.000 esseri umani.

ARMENIA - AZERBAIGIAN - TURCHIA -
Nagorno Karabakh: tensioni con Baku e Ankara, l’Armenia si appella all’Onu

Erevan respinge le accuse azere di un concentramento di truppe alla frontiera. La richiesta di una convocazione straordinaria del Consiglio di sicurezza. A fine agosto attesa la visita di Putin in Turchia, priorità all’accordo sul grano. Il futuro del territorio conteso non sarà l’indipendenza, ma una ragionevole autonomia in territorio azero in sintonia con i fratelli armeni.

Mosca (AsiaNews18/08/2023) - Il ministero della difesa dell’Armenia ha respinto le accuse dell’Azerbaigian sul concentramento di truppe alla frontiera insieme a nuovi carichi di armamenti, negando per l’ennesima volta di avere dislocato forze armate sulla frontiera del Nagorno Karabakh. Baku ha ammonito che “si mantiene il diritto di difendere la propria sovranità e integrità territoriale con tutti i mezzi legali a disposizione”. Secondo gli azeri, gli armeni avrebbero attivato lavori di ingegneria bellica e altre azioni che violano il diritto internazionale e gli impegni assunti da Erevan negli accordi del 9 novembre 2020, riferendosi in particolare i “mezzi di lotta radio-elettronica”.
Le zone dove gli armeni starebbero concentrando le armi sarebbero quelle del territorio azero dove sono temporaneamente dislocate le forze di pace russe: una “zona demilitarizzata” dove gli armeni si fanno avanti per “riproporre le proprie pretese territoriali”, secondo il ministero degli Esteri di Baku. Accuse rinfacciate a propria volta dagli armeni nei loro confronti, che riguardano anche scontri a fuoco da una parte e dall’altra tra Kelbadžar e Nakhicevan.
Erevan, in seguito a questi ennesimi scontri verbali e sul campo, ha deciso di rivolgersi all’Onu con la richiesta di una convocazione straordinaria del Consiglio di sicurezza per “affrontare la questione del blocco del corridoio di Lacin e il pericolo di una crisi umanitari totale nel Nagorno Karabakh”. Superando tutte le altre forme di mediazione, per gli armeni “soltanto l’Onu è in grado di far rispettare le condizioni di pace e sicurezza internazionale, prevenendo le azioni distruttive di massa come i crimini di guerra, le pulizie etniche, i crimini contro l’umanità e i genocidi”.
L’Armenia si è rivolta anche al presidente Usa Joe Biden, affinché usi “tutti gli strumenti di pressione sull’Azerbaigian, compresa la sospensione degli aiuti militari”, come ha comunicato il membro della Camera dei rappresentanti del Congresso Usa Jim Mc Govern. Il Washington Post ha commentato la relazione dell’ex-procuratore capo del tribunale internazionale Luis Moreno Ocampo, che parlava del “genocidio degli armeni del Nagorno Karabakh” da parte dell’Azerbaigian usando “la fame, l’arma invisibile del genocidio”, incitando a sua volta le Nazioni Unite a farsi carico del problema. (...)
Alle dichiarazioni aggressive dell’Azerbaigian contro gli armeni si sono unite in questi giorni anche alcune posizioni ufficiali della Turchia, che ammonisce a sua volta l’Armenia a “non cercare le provocazioni” e a rispettare l’integrità territoriale dell’Azerbaigian. Secondo Ankara “non c’è ragione di criticare l’Azerbaigian nella questione del territorio di Lacin”. Badalyan ritiene che queste posizioni dei turchi vadano considerate “in un contesto geopolitico più ampio”, nella prospettiva della visita di Vladimir Putin in Turchia attesa per fine agosto, in cui la priorità sarà il ripristino dell’accordo sul grano, arma diplomatica principale di Recep Tayyip Erdogan.

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