2023 08 30 NEL NAGORNO KARABAKH È IN ATTO UN GENOCIDIO DI CRISTIANI
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INDIA - estremisti indù attaccano cristiani in preghiera inneggiando a Rama - Maharashtra, chiesa devastata nella diocesi di Vasai
NEL NAGORNO KARABAKH È IN ATTO UN GENOCIDIO DI CRISTIANI
NICARAGUA - Revocato lo status giuridico dei Gesuiti
Il governo di Daniel Ortega ha revocato la personalità giuridica dell’Associazione Compagnia di Gesù del Paese centroamericano e ordinato la confisca dei suoi beni. I gesuiti: “Momento molto buio”
“E’ un momento molto buio”. Il dolore è evidente nel commento che ricorre fra i gesuiti del Nicaragua. Non sono preoccupati solo per il loro presente e futuro ma per l’intero Paese ostaggio di un regime che, giorno dopo giorno, porta sempre più in alto l’asticella della repressione del dissenso. Con un comunicato pubblicato mercoledì sera (la notte in Italia) nella Gazzetta ufficiale, il governo di Daniel Ortega ha revocato la personalità giuridica dell’Associazione Compagnia di Gesù del Paese centroamericano e ordinato la confisca dei suoi beni. La ragione è la stessa impiegata nei confronti delle oltre 3.200 realtà associative, laiche e ecclesiali, “non allineate” cancellate dal 2018: irregolarità nella rendicontazione. Per i gesuiti, il decreto fa riferimento specifico agli anni 2020, 2021, 2022. “Il punto è che noi presentavamo i documenti ma le autorità non li accettavano”, ha spiegato il portavoce dei gesuiti per il Centroamerica, padre José María Tojeira.(...)
La persecuzione contro la Chiesa, ultimo spazio autonomo dopo la feroce repressione in seguito alla rivolta nonviolenta del 2018, va avanti ormai da due anni. Nelle ultime settimane, il pugno di ferro di Ortega e della moglie, nonché vice, Rosario Murillo si è abbattuto sulla Compagnia, che gode di enorme prestigio, anche per l’intenso lavoro sociale, nella nazione, a gran maggioranza cattolica. Il 19 agosto, la polizia ha espropriato la casa dei gesuiti di Villa del Carmen della capitale, senza nemmeno una comunicazione previa. Al rientro dalle attività, i religiosi hanno trovato i sigilli e una ventina di agenti che circondavano la struttura, da cui hanno potuto portare via solo gli oggetti personali.
(Avvenire Lucia Capuzzi giovedì 24 agosto 2023
NICARAGUA - Revocato lo status giuridico dei Gesuiti: terrore e repressione nel Paese
In Nicaragua continua l’aggressione ingiustificata contro i Gesuiti in un contesto generale di repressione. La Provincia Centroamericana della Compagnia di Gesù deplora il provvedimento con cui il governo presieduto da Daniel Ortega ha revocato il suo status giuridico e parla di una repressione sistematica qualificata come crimine contro l’umanità con l’obiettivo di una piena instaurazione di un regime totalitario
La Provincia Centroamericana dei Gesuiti esprime una dura condanna al provvedimento con cui le autorità del Nicaragua hanno revocato lo status giuridico della Compagnia di Gesù. In un comunicato, datato 23 agosto 2023, i Gesuiti deplorano la “nuova aggressione” definita “ingiustificata” contro l’ordine religioso fondato da Sant’Ignazio di Loyola, privata della possibilità di difendersi, un atto - si sottolinea - che si inserisce “nel clima di terrore in cui vive la popolazione nicaraguense” e in “un contesto nazionale di repressione sistematica qualificata come ‘crimini contro l’umanità’ dal gruppo di esperti di Diritti Umani formato dalle Nazioni Unite per esaminare la situazione in Nicaragua”.
Verso un regime totalitario
Secondo la Provincia Centroamericana della Compagnia di Gesù il provvedimento è finalizzato “alla piena instaurazione di un regime totalitario” della quale sono responsabili il presidente e la vicepresidente del Nicaragua, colpevoli di ostacolare “l’indipendenza e la neutralità del potere giudiziario”. Nel comunicato si invitano i leader del Paese a cessare la repressione in atto e a favorire una “soluzione ragionevole in cui a prevalere siano la verità, la giustizia, il dialogo, il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto”.
Migliaia le vittime della repressione
Inoltre si chiede il pieno rispetto della libertà e dell’identità dei Gesuiti e delle persone che collaborano con loro. La Compagnia di Gesù del Nicaragua si dice in comunione con le “migliaia di vittime nicaraguensi in attesa della giustizia e della riparazione dei danni causati dall’attuale governo” ed esprime “gratitudine per le innumerevoli espressioni di riconoscimento, sostegno e solidarietà ricevute” a seguito dei crescenti oltraggi.
Nessuna possibilità di ricorso
Nel provvedimento governativo 105-2023 si stabilisce che i beni immobili e mobili della Compagnia di Gesù nel Paese siano trasferiti allo Stato. Come per gli altri casi di cancellazione di personalità giuridica stabiliti dal regime a partire dal 2018, la decisione è stata assunta senza che siano state espletate le procedure amministrative stabilite dalla legge. Ai gesuiti non è data la possibilità di ricorrere ad un giudice imparziale.
(Paolo Ondarza - Vatican News 24 agosto 2023)
I GESUITI SUL NICARAGUA: “I valori cristiani finiscono sempre per vincere”
“Noi gesuiti vogliamo essere segni di resistenza nella fedeltà al mandato di Gesù di essere vicini a coloro che soffrono”, così José María Tojeira SJ si esprime in un’intervista a Vatican News sull’attuale situazione della Compagnia di Gesù in Nicaragua
La Compagnia di Gesù in America Centrale è impegnata in un’ampia attività pastorale nelle università e per i migranti, che le permette di essere vicina alla realtà di un popolo come quello del Nicaragua, Paese dove, pur essendo stato annullato lo status giuridico della Compagnia, alla quale è stata anche espropriata l’Università Centroamericana, i gesuiti continuano il loro lavoro. Il portavoce dei gesuiti in America Centrale, padre José María Tojeira di El Salvador, racconta a Vatican News che “poiché l’università è produttrice di conoscenza e di pensiero critico e aperto, il governo tendeva a vederla quasi automaticamente come un nemico”.
“I valori cristiani, con la loro perseveranza e la loro resistenza, vincono sempre, anche se ci sono momenti in cui dobbiamo passare attraverso la croce”, dice il gesuita, riconoscendo anche che “l’espulsione o la confisca dei beni fa sempre parte dell’orizzonte che i religiosi e le religiose presenti nel Paese prevedono”.
Quale pensa sia il motivo che ha spinto il governo del Nicaragua a prendere questa decisione contro la Compagnia di Gesù?
Il governo nicaraguense sta cercando di avere un controllo totale dell’opinione pubblica a suo favore. È in questo contesto che sta perseguitando la Chiesa e la Compagnia di Gesù. In particolare, della Compagnia di Gesù hanno dato fastidio la difesa dei diritti del popolo nel 2018, soprattutto da parte dell’Università centroamericana UCA, e il sostegno dato alle richieste di grandi manifestazioni che chiedevano libertà e rispetto dei diritti concreti della popolazione. Anche il lavoro di mediazione tra giovani studenti e governo, affidato al cardinale Brenes al rettore della UCA, ha infastidito il governo. Poiché l’università è produttrice di conoscenza e di pensiero critico e aperto, il governo tendeva a vederla quasi automaticamente come un nemico.
Qual è l’attività pastorale dei gesuiti in Nicaragua, oltre all’UCA?
Oltre all’UCA, che ora è nelle mani del governo, i gesuiti gestiscono due scuole secondarie e la rete internazionale Fe y Alegría, che conta più di 800 collaboratori, tra laici, religiosi e sacerdoti, e sostiene circa 54.000 persone nel campo dell’istruzione formale e informale. Fino a poco tempo fa avevamo anche una parrocchia che sta per essere trasferita all’arcivescovado di Managua a causa della partenza del gesuita che se ne occupava e della difficoltà di trovare dei sostituti.
Dopo la chiusura dell’Università Centroamericana e la revoca dello status giuridico della Compagnia di Gesù in Nicaragua, lascerete il Paese, temete l’espulsione o il carcere?
Alcuni gesuiti anziani e malati hanno lasciato il Paese, perché nell’ambiente attuale avevamo difficoltà a fornire loro un’assistenza adeguata. Ma gli altri continuano a lavorare nelle opere citate. L’espulsione o la confisca dei beni è sempre all’orizzonte per i religiosi presenti nel Paese. Le Suore della Carità (Santa Teresa di Calcutta), le Figlie della Carità (Santa Luisa de Marillac), le Suore Domenicane dell’Annunciazione, tra le altre congregazioni, sono già state spogliate dei loro beni ed espulse dal Paese, in tutto o in parte. In ogni caso, è esemplare la costanza nel lavoro di coloro che non solo rimangono, ma desiderano rimanere nonostante i rischi e l’ostilità del governo.
Dopo un anno di prigionia del vescovo Rolando Álvarez e dopo tante altre situazioni di persecuzione contro la Chiesa, qual è il messaggio che come gesuiti inviate al popolo nicaraguense?
Rolando Álvarez è un segno della fedeltà della Chiesa al popolo nicaraguense. San Cipriano di Cartagine, nel III secolo, chiamava martiri i cristiani che avevano resistito ed erano sopravvissuti alla dura condanna dei lavori forzati nelle miniere della Sicilia. Il vescovo di Matagalpa si trova in una situazione, cambiando le circostanze storiche, simile a quella di coloro che soffrivano nelle miniere ai tempi dell’Impero romano. Anche noi gesuiti vogliamo essere segni di resistenza nella fedeltà al comando di Gesù di essere vicini a chi soffre e di porre una parola di speranza in mezzo al dolore della gente. La costanza e la resistenza dei valori cristiani vincono sempre, anche se ci sono momenti in cui dobbiamo passare attraverso la croce.
(Johan Pacheco - Vatican News 27 agosto 2023)
INDIA - estremisti indù attaccano cristiani in preghiera inneggiando a Rama
L’attacco con spade, bastoni e manganelli è avvenuto domenica 20 agosto, durante la funzione di preghiera. Protagonisti del raid oltre 40 persone, appartenenti a movimenti radicali Hinduvta. Devastati oggetti sacri e una copia della Bibbia. Al momento della denuncia altre 300 persone legate a fazioni radicali hanno compiuto un nuovo assalto.
Nuovo attacco di fondamentalisti indù contro un gruppo di cristiani intenti a partecipare alle funzioni della domenica, in cui non sono stati risparmiati nemmeno anziani e donne. Il raid, caratterizzato da “assalti, atti vandalici e abusi fisici”, è avvenuto il 20 agosto per mano di un gruppo armato Hinduvta che ha fatto irruzione in una sala di preghiera a Tahirpur, area di East Delhi, nel settore orientale della capitale.
Fonti locali riferiscono di una folla di fanatici, composta da oltre 40 persone, con in pugno armi quali bastoni, manganelli, spade e intenti a lanciare inni e slogan riconducibili ai movimenti radicali indù. L’assalto è avvenuto alle 10.45 del mattino, mentre le vittime erano raccolte per un momento di preghiera all’interno della Siyyon Prathan Bhawan. Durante l’attacco i fondamentalisti hanno vandalizzato le immagini di Gesù e distrutto l’altare, i tamburi e altri strumenti musicali, strappando anche diverse pagine della Bibbia. Hanno poi trascinato alcuni uomini fuori dalla sala di preghiera, per poi picchiarli.
Il pastore Satpal Bhati racconta ad AsiaNews che ieri, al momento di presentare denuncia alla polizia, una folla di oltre 300 persone legate alle fazioni radicali Rss, Vhp e Bajrang Dal si sono riunite all’esterno della caserma intonando slogan e inni fra cui “Jai Shree Ram” (Gloria a Lord Rama). Una risposta, spiega, all’iniziativa dei cristiani che volevano ricorrere alle forze dell’ordine per ottenere giustizia e vedere puniti i responsabili del raid del giorno precedente.
Secondo alcune fonti, a promuovere l’attacco ai cristiani riuniti in preghiera sono stati i membri del Bajrang Dal (organizzazione nazionalista indù, ala giovanile del Vishva Hindu Parishad). Durante l’assalto hanno più volte intonato lo slogan “Hindu Rashtra Banayenge. Jai Shri Ram” (Faremo dell’India una nazione indù. Gloria a Lord Rama). “Come comunità, siamo soliti riunirci a pregare ogni domenica” sottolinea il pastore Satpal Bhati “e abbiamo fatto lo stesso anche questa domenica”. (AsiaNews 22/08/2023 di Nirmala Carvalho
INDIA - Maharashtra, chiesa devastata nella diocesi di Vasai
Atto di vandalismo contro la parrocchia di San Gonsalo Garcia. Mentre la polizia compiva i rilievi, la gente si è radunata fuori dai cancelli a pregare.
Vasai (AsiaNews 14/08/2023 di Nirmala Carvalho) Un attacco vandalico ha colpito la chiesa di San Gonsalo Garcia a Vasai, nello Stato del Maharashtra. Nel tardo pomeriggio di venerdì 11 agosto il parroco p. Peter Almeida entrando in chiesa l’ha trovata devastata con un’opera d’arte sull’altare distrutta, la statua della Madonna gettata a terra e danneggiata, la cattedra e il fonte battesimale spostati, tutti i libri sparsi sul pavimento.
“Abbiamo presentato una denuncia alla stazione di polizia di Vasai – racconta p. Almeida ad AsiaNews - che è arrivata immediatamente. Avendoci chiesto di non toccare nulla, ho annullato la Messa del venerdì sera e ho inviato un messaggio ai fedeli. La nostra gente, tuttavia, si è radunata fuori dai cancelli, ha iniziato a pregare e molti piangevano. Tutto è stato poi ripristinato e da sabato abbiamo sono riprese le celebrazioni”.
NEL NAGORNO KARABAKH È IN ATTO UN GENOCIDIO DI CRISTIANI
La denuncia. «Gli armeni stanno morendo di fame. Nel Nagorno è in atto un genocidio»
Le accuse in un rapporto all’Onu di un gruppo di giuristi, tra i quali Ocampo già membro della Corte penale: 120mila persone «a rischio» nell’area che l’Azerbaigian rivuole. Cri: corridoi umanitari
Il primo morto per fame è stato confermato il 14 agosto. Non è stata una fatalità. «È in corso un genocidio contro 120mila armeni che vivono nel Nagorno Karabakh», denuncia Luis Moreno Ocampo, fondatore della Procura della Corte penale internazionale e che insieme a un gruppo di giuristi internazionali ora chiede di aprire gli occhi sul tentativo di eliminare definitivamente la popolazione della regione che l’Azerbaigian vorrebbe riprendersi.
In lingua armena si chiama Artsakh, una repubblica de facto non riconosciuta internazionalmente, nella quale vivono da sempre gli armeni cristiani. Poco più grande dell’Abruzzo, ma con un numero di abitanti dieci volte inferiore, è un distretto montuoso con un’altitudine media di 1.100 metri.
I rapporti con Baku sono sempre stati tesi, mentre nuove ambizioni e antiche ruggini stringono i civili in una morsa senza scampo. Da mesi l’Azerbaigian (sostenuto dalla Turchia di Erdogan) ha bloccato l’unica via d’accesso, il corridoio di Lachin su cui dovrebbero vigilare i “peacekeeper” russi, alleati storici dell’Armenia, ma dove spadroneggiano le forze di sicurezza azere.
Un rompicapo che si aggroviglia per via della guerra in Ucraina. In un rapporto trasmesso al Consiglio di sicurezza Onu e alla Corte penale internazionale, Ocampo denuncia le operazioni dell’Azerbaigian che «impedisce l’accesso a cibo, forniture mediche e altri beni di prima necessità», e che per il gruppo di esperti guidati dall’ex magistrato argentino «dovrebbe essere considerato un genocidio», stando al diritto internazionale si configura il reato quando si tenta di «infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portarlo alla distruzione fisica».
All’inizio di questa settimana i primi armeni hanno abbandonato le loro case, lasciando forse per sempre la regione. Le condizioni di vita sono impossibili. Da quasi otto mesi non arrivano generi alimentari, né carburante e i farmaci giungono a singhiozzo dietro insistenza della croce rossa internazionale.
La direttrice dell’Ufficio di coordinamento umanitario dell’Onu (Ocha) Edem Wosornu, ha confermato che la Croce Rossa Internazionale non riesce a portare gli «imprescindibili» aiuti umanitari attraverso il corridoio.
Il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, ha accusato le autorità di Baku di aver bloccato il passaggio, usando la fame come arma in un’operazione «di pulizia etnica». L’Azerbaigian ha parlato di accuse «infondate» e di una «campagna politica».
Il Consiglio di sicurezza Onu ha chiesto all’Azerbaigian «l’apertura immediata» del corridoio di Lachin, che collega l’Armenia al Nagorno Karabakh. L’Onu ha approvato un documento con il quale Armenia e Azerbaigian vengono esortati a normalizzare i rapporti in vista di un trattato di pace e a rispettare gli accordi del 2020 firmati fra Erevan, Baku e Mosca, in virtù dei quali la Russia ha dispiegato una forza militare di interposizione.
Questa settimana le autorità azere hanno reciso il cavo di fibra ottica che attraversava la zona di Lachin, isolando definitivamente l’enclave armena che è privata di telecomunicazioni. Artak Baglarian, consigliere del ministero degli esteri dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, ha spiegato che dopo il danneggiamento le forze del Karabakh insieme ai militari russi hanno tentato di raggiungere la località dov’erano entrati in azione i guastatori, «ma la parte azera non lo ha permesso».
Il Corridoio di Lachin è l’unica strada che collega l’Armenia all’enclave del Nagorno-Karabakh, all’interno del territorio dell’Azerbaigian. Poco più di 50 chilometri tra le montagne, formalmente si trova sotto il controllo del contingente di pace della Federazione Russa. Da circa otto mesi è pressoché impossibile attraversarlo.
Erevan e Baku si accusano a vicenda di aver ripreso le ostilità, dopo la tregua raggiunta nel 2020. Al crollo dell’Urss l’ex stato sovietico della Regione Autonoma di Nagorno Karabakh e la regione Shahumyan, popolata da armeni cristiani, si sono uniti per formare la Repubblica del Nagorno Karabakh (Nkr) che dichiarò l’indipendenza dall’Azerbaijan il 2 settembre 1991.
La Turchia si è subito schierata dalla parte dell’Azerbaigian (islamico ndr), suo alleato. Mosca è invece più vicina all’Armenia (cristiana ndr), sul cui territorio ha anche una base militare.
(Nello Scavo giovedì 24 agosto 2023 Avvenire)