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2023 09 27 L'orrore dell'odio anticristiano non si ferma. Il silenzio è complice

Fonte:
CulturaCattolica.it
MOZAMBICO - Undici cristiani massacrati dai jihadisti al nord INDIA - Madhya Pradesh, Kanoongo fa incriminare un altro orfanotrofio cristiano
Nagorno-Karabakh: 120.000 cristiani armeni in fuga

MOZAMBICO - Undici cristiani massacrati dai jihadisti al nord
L’episodio è avvenuto nella tristemente nota provincia di Cabo Delgado, dove operano i gruppi armati islamisti: secondo testimoni avrebbero scelto le vittime in base alla religione

Il fatto è avvenuto venerdì scorso, ma le conferme univoche sono giunte solo poche opre fa. Un gruppo di almeno 11 cristiani è stato massacrato da terroristi jihagisti nel nord del Mozambico. Secondo le informazioni fornite ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) da Fra Boaventura, missionario dei Fratelli Poveri di Gesù Cristo nella regione, gli omicidi sono avvenuti nel villaggio di Naquitengue, vicino a Mocimboa da Praia, nella provincia di Cabo Delgado. L’area è oggetto di attacchi da parte degli estremisti islamici dal 2017: nel mirino questa volta sono finiti i cristiani, anche se molte persone sono state assassinate in questi anni, soprattutto perché lavoravano in strutture straniere, impiegate nella prospettazione ed estrazione degli idrocarburi di cui la regione è il maggiore produttore dell’Africa equatoriale.

Secondo fra Boaventura i terroristi sono arrivati a Naquitengue nel primo pomeriggio e hanno convocato tutta la popolazione. Hanno poi proceduto a separare i cristiani dai musulmani, apparentemente in base ai loro nomi e all’etnia. «Hanno aperto il fuoco sui cristiani, crivellandoli di proiettili», racconta il missionario. L’attacco è stato rivendicato attraverso un comunicato da un gruppo locale fedele al sedicente Stato islamico (Daesh). I terroristi hanno affermato di aver ucciso 11 cristiani, ma il numero effettivo delle vittime potrebbe essere superiore, e vi sono anche persone gravemente ferite.

Fra Boaventura racconta che non è la prima volta che questo metodo viene applicato. Il risultato è stato un panico generalizzato nella zona. Gli attacchi sono avvenuti in un momento in cui «molte persone cominciavano a tornare nelle loro comunità», il che ha portato a un aumento «della tensione e dell’insicurezza. Dobbiamo pregare per i nostri fratelli che soffrono tanto», aggiunte il missionario.

Secondo il vescovo di Pemba, Mons. António Juliasse, gli attacchi a Cabo Delgado e nella vicina provincia di Niassa hanno provocato lo sfollamento interno di circa un milione di persone e la brutale uccisione di altre cinquemila. (…)
(Avvenire Redazione Esteri giovedì 21 settembre 2023)

INDIA - Madhya Pradesh, Kanoongo fa incriminare un altro orfanotrofio cristiano
Nel mirino del nazionalista indù che guida la Commissione nazionale per la protezione dei minori questa volta le strutture educative promosse dal noto predicatore evangelico Ajay Lall. Accusate di conversioni forzate e persino “traffico di esseri umani”. Il precedente della campagna contro il vescovo di Jabalpur, mons. Gerald Almeida, in uno Stato indiano che tra poche settimane andrà al voto per le elezioni locali.

Un’altra istituzione cristiana del Madhya Pradesh è stata presa di mira dalla Commissione nazionale per la protezione dei diritti dell’infanzia (NCPCR) e dal suo presidente Priyank Kanoongo, un nazionalista indù originario proprio di questo Stato indiano che da mesi ha concentrato i suoi poteri di indagine sulle realtà educative legate ai missionari.

Fonti di AsiaNews riferiscono che, con il pretesto delle conversioni, continuano ad essere registrate false denunce contro le istituzioni educative delle minoranze. L’ultimo caso è avvenuto il 23 settembre nella città di Damoh dove la polizia ha registrato una denuncia contro un noto predicatore evangelico, Ajay Lall, dopo che la Commissione nazionale per la protezione dei diritti dell’infanzia (NCPCR) avrebbe riscontrato irregolarità negli orfanotrofi da lui gestiti nel distretto. Il tribunale del giudice distrettuale aggiunto di Damoh ha incriminato 9 persone sulla base di diversi articoli del Codice penale indiano. Recentemente, il governo del Madhya Pradesh aveva cancellato anche la registrazione di un orfanotrofio gestito dall’Adharshila Sansthan, la fondazione creata da Ajay Lall per la promozione delle donne tribali.

Sbandierando la nuova operazione Priyank Kanoongo su X (il nuovo nome del social network Twitter) ha accusato Ajay Lal e i suoi collaboratori di reati quali “il traffico di esseri umani, casi di conversioni religiose di bambini, bambini tribali trasformati in pastori, bambini orfani adottati solo in famiglie cristiane”.

A giugno l’Alta Corte del Madhya Pradesh aveva concesso la libertà provvisoria al vescovo di Jabalpur, mons. Gerald Almeida e a suor Liji, incriminati in base alla legge anti-conversione dopo un’incursione in un orfanotrofio gestito dalla diocesi. “Decine di istituzioni sono state prese di mira dal presidente del NCPCR Kanoongo negli ultimi due anni con l’accusa di conversione e con l’incriminazione del personale e della direzione in base alle leggi sulla conversione e sulla giustizia minorile. Ha le mani in pasta con il governo statale e vuole polarizzare la società in vista delle elezioni locali che dovrebbero tenersi entro la fine dell’anno” aveva dichiarato in quell’occasione p. Joseph Thankachan a nome della diocesi.
(di Nirmala Carvalho AsiaNews 25/09/2023)

Nagorno-Karabakh: 120.000 cristiani armeni in fuga

Asia News rilancia un articolo della Reuters

AZERBAIGIAN - ARMENIA
Dal Nagorno-Karabakh è in corso un esodo di massa in auto verso l’Armenia attraverso il corridoio di Lachin, rimasto chiuso per mesi. L’esodo segue la sconfitta di Baku dei combattenti nella regione separatista. Gli oltre 120mila armeni in fuga hanno opposto un netto rifiuto alla proposta di vivere come parte dell’Azerbaigian per timori di persecuzioni e pulizia etnica.

Gli armeni del Nagorno-Karabakh iniziano a partire in massa per l’Armenia
Reuters 25 settembre 2023

Gli armeni del Nagorno-Karabakh hanno iniziato domenica un esodo di massa in auto verso l’Armenia, dopo che l’Azerbaigian ha sconfitto i combattenti della regione separatista in un conflitto risalente all’era sovietica.
La leadership del Nagorno-Karabakh ha detto a Reuters che i 120.000 armeni della regione non vogliono vivere come parte dell’Azerbaigian per paura di persecuzioni e pulizia etnica.

Le immagini della Reuters mostravano dozzine di auto che uscivano dalla capitale verso le curve montuose del corridoio.
Gli armeni del Karabakh, un territorio riconosciuto a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian ma in precedenza fuori dal suo controllo, sono stati costretti a un cessate il fuoco la scorsa settimana dopo un’operazione militare di 24 ore da parte dell’esercito azerbaigiano, molto più numeroso.

Il presidente turco Tayyip Erdogan, che ha sostenuto gli azeri con le armi nel conflitto del 2020, avrebbe dovuto incontrare lunedì il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev a Nakhchivan, una striscia di territorio azero incastonata tra Armenia, Iran e Turchia.
La scorsa settimana Erdogan ha dichiarato di sostenere gli obiettivi dell’ultima operazione militare dell’Azerbaigian, ma di non avervi preso parte.
Gli armeni non accettano la promessa dell’Azerbaigian di garantire i loro diritti man mano che la regione verrà integrata.
“Il novantanove virgola nove per cento preferisce lasciare le nostre terre storiche”, ha detto a Reuters David Babayan, consigliere di Samvel Shahramanyan, presidente della sedicente Repubblica dell’Artsakh.

“Il destino della nostra povera gente passerà alla storia come una vergogna e una vergogna per il popolo armeno e per l’intero mondo civilizzato”, ha detto Babayan. “I responsabili del nostro destino un giorno dovranno rispondere davanti a Dio dei loro peccati.”

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dovuto affrontare richieste di dimissioni per non aver salvato il Karabakh. In un discorso alla nazione, ha detto che alcuni aiuti sono arrivati, ma che un esodo di massa sembra inevitabile.

“Se non verranno create le condizioni adeguate affinché gli armeni del Nagorno-Karabakh possano vivere nelle loro case e non ci saranno meccanismi efficaci di protezione contro la pulizia etnica, aumenta la probabilità che gli armeni del Nagorno-Karabakh considerino l’esilio dalla loro patria come l’unica modo per salvare le loro vite e la loro identità”, ha detto, secondo una trascrizione ufficiale.

La situazione potrebbe cambiare il delicato equilibrio di potere nella regione del Caucaso meridionale, un mosaico di etnie attraversato da oleodotti e gasdotti dove Russia, Stati Uniti, Turchia e Iran competono per l’influenza.

La vittoria dell’Azerbaigian della scorsa settimana sembra porre fine a uno dei decenni di “conflitti congelati” legati alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Aliyev ha detto che il suo “pugno di ferro” ha consegnato alla storia l’idea di un Karabakh etnico armeno indipendente e che la regione sarebbe stata trasformata in un “paradiso”.

L’Armenia afferma che più di 200 persone sono state uccise e 400 ferite nell’operazione militare azera.

COMMENTO
Di Giulio MEOTTI (25 settembre 2023)

Che rabbia e disgusto l’osceno silenzio dell’Europa sulla fine degli armeni

120.000 in fuga. Hanno visto i decapitati. “Ho solo le pantofole verdi. Non ho fatto in tempo a portare via la tomba di mia figlia di tre anni”. L’ex ministro degli Esteri mi dice: “Ci avete tradito

Tanto ci siamo riempiti la bocca di parole come “democrazia” e “libertà”, “invasione” e “resistenza”, “aiuto ai rifugiati” e “diritto internazionale”, che quando una piccola democrazia cristiana è stata invasa da una dittatura con la mezzaluna molto più grande, non solo non abbiamo saputo aprire bocca, ma con il nostro silenzio abbiamo fatto capire che stavamo non con la democrazia che conta le teste, ma con i barbari che le tagliano.

Questa mattina mi sono scritto con Davit Babayan, l’ex ministro degli Esteri della Repubblica armena del Nagorno Karabakh, una entità che non esiste più, e oggi consigliere del suo presidente Samvel Sahramanyan. A Babayan ho chiesto un commento su quello che sta succedendo e da una Stepanakert spettrale mi ha risposto: “L’Europa ci ha tradito molto tempo fa, ma ha tradito anche i suoi principi”.

Intanto Svetlana Isakhanian, 76 anni, prendeva la strada dell’esilio, dal Nagorno Karabakh all’Armenia, con solo le sue pantofole verdi, una borsa e il passaporto. “Non ho altro, non ho nessuno, nessun parente in Armenia, non so cosa farò”, si dispera a Le Point l’anziana signora, che fa parte di un primo gruppo di profughi armeni entrati in Armenia domenica.
Nel centro di accoglienza di Kornidzor sono allineati una decina di computer: dietro, i volontari raccolgono nomi e recapiti dei rifugiati mentre i membri della Croce Rossa armena improvvisano una partita di pallavolo con i bambini e distribuiscono cibo.
La Reuters raccontava stamani l’”esodo di massa” iniziato con i primi 40.000 dei 120.000 armeni già diretti verso la frontiera.

Svetlana Isakhanian spiega che la sua casa a Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh caduta in mano azera, è stata colpita dai bombardamenti che hanno accompagnato questa settimana l’invasione fulminea da parte dell’Azerbaigian di questa enclave di armeni.
Shamir ha lasciato con la moglie il suo villaggio al confine. “Ho lasciato tutto dietro di me, i miei animali, tutto. Ci hanno dato quindici minuti per fare le valigie. Quando ho capito che l’Artsakh (il nome del Nagorno Karabakh in armeno) era azero, abbiamo deciso di partire perché nessun armeno può vivere in terra azera”. Shamir ha lasciato dietro di sé la tomba della figlia di tre anni. “Non l’ho salutata, spero di tornare”.

Intanto circolano voci di eccidi di civili armeni, comprese decapitazioni. L’ultima volta che gli azeri hanno conquistato i villaggi armeni sono arrivati i video degli anziani armeni decapitati. Genadi Petrosyan, 69 anni, non voleva lasciare il villaggio mentre le forze azere si avvicinavano. Come Yuri Asryan, 82enne che si era rifiutato di lasciare il villaggio. Le Monde ha visionato una dozzina di video che mostrano scene di cadaveri con l’uniforme armena accoltellati. La BBC ha il video di altri civili armeni uccisi a sangue freddo. Come Valera Khalapyan e sua moglie Razmela, assassinati nella loro casa dai soldati azeri, che poi hanno tagliato loro le orecchie. Come Alvard Tovmasyan, i parenti hanno identificato il suo corpo nel cortile di casa in un villaggio dell’Artsakh. Piedi, mani e orecchie erano stati tagliati.
Questo tipo di operazioni sono state perseguite in tutto quello che oggi è il mondo islamico. Ecco perché le popolazioni cristiane e non musulmane sono state ridotte a una manciata di persone. La schiacciante maggioranza cristiana del Medio Oriente e del Nord Africa prima dell’invasione araba non ammirava le meraviglie dell’Islam e non si convertì. Furono soggiogati e costretti a soffrire così tante privazioni che alla fine si convertirono in gran numero solo per avere la possibilità di una vita dignitosa.
La sorte peggiore ora attende gli uomini e i soldati. Basta un video dell’ottobre 2022: soldati azeri che uccidono soldati armeni arresi.

Oggi il presidente turco Erdogan incontra il dittatore azero per congratularsi. Dove si incontrano? Nel Nachichevan, enclave azera da cui sono stati già cacciati tutti gli armeni e dove tra il 1997 e il 2011 sono stati completamente distrutti 108 monasteri, chiese e cimiteri armeni medievali.
Il presidente del Consiglio Europeo, la nullità belga Charles Michel, intanto telefonava al satrapo azero chiedendogli un “trattamento dignitoso” degli armeni. Il Consiglio dei diritti umani dell’Onu, rapido nel condannare il rogo di un Corano in Svezia, tace.
Perché come racconta il Wall Street Journal, gli azeri sono i grandi vincitori della guerra del gas post-Ucraina. Raddoppieranno le forniture verso la UE entro il 2027. E il gasdotto dal Caucaso arriva in Italia.

Ha ragione il grande attore franco-armeno Simon Abkarian quando questa settimana dice: “E’ stato come Giulio Cesare contro Vercingetorige sotto gli occhi di tutti, il silenzio e l’incoraggiamento di alcuni leader del mondo libero, in particolare di Ursula von der Leyen. Abbiamo sperimentato la pulizia etnica degli armeni nel 1915 e il fatto che non esisteva più alcuna entità greca, assira o armena. Stiamo parlando delle persone che vivono su questa terra da secoli. Non sono più rimasti non turchi sul territorio anatolico. Va detto e ripetuto che l’Azerbaigian esiste dal 1918, mentre l’Armenia dai tempi di Erodoto. Ma soffriamo di una totale ignoranza della storia. Ignorarlo contribuisce a questa aggressività e a questo desiderio di annientamento. Mentre Ursula era a Baku, i soldati dell’esercito azero hanno torturato le donne soldato armene, le hanno smembrate, violentate e hanno trasmesso le immagini sui social media. E la Fifa o l’Eurovision ci vanno per i soldi. Vogliono eliminare l’Armenia. Fu Stalin a donare, nel 1921, l’Armenia alla Turchia per compiacere Mustafa Kemal che fingeva di avvicinarsi a Lenin. Ignorare o dimenticare la storia, tacere o non vedere nulla, significa partecipare all’annientamento di un popolo”.
Il Lemkin Institute afferma che non permetterà mai ai leader mondiali di dimenticare la loro complicità nella distruzione di un popolo e di una civiltà di 4.000 anni.

In un precedente articolo (del 23 settembre) GIULIO MEOTTI:

Se i cristiani armeni fossero migranti, panda o almeno un po’ fluidi, l’Occidente marcio li avrebbe difesi
Intervista ad Antonia Arslan: “Dov’è Ursula? Ci cacciano da una terra che abitavamo da duemila anni. Tutte le chiese saranno distrutte. E allora sarà come se non fossimo mai esistiti”

E se la fine dei cristiani armeni del Karabakh si spera sia soltanto politica, morale e culturale, quella del suo immenso patrimonio religioso sarà sicuramente fisica. Chiese, cappelle, monasteri, monumenti storici, molti dei quali elencati dall’Unesco saranno trasformati in moschee, distrutti o abbandonati. Come il monastero di Amaras, che risale al IV secolo. Perché gli edifici, soprattutto gli edifici religiosi, sopravvivono solo se vengono utilizzati. E come ha detto il direttore dell’Unione degli architetti dell’Azerbaijan, Elbay Qasimzade, “dobbiamo distruggere tutte le chiese armene”.

Ne parlo per la newsletter con l’autrice della Masseria delle allodole, la più importante scrittrice armena contemporanea, Antonia Arslan.

Che fine faranno ora tutte le chiese, come il magnifico Dadivank?
Saranno distrutte. Serenamente. Abbiamo l’esempio del Nakhichevan (dove come scrive Time Magazine 28.000 monumenti armeni medievali sono stati distrutti, il 98 per cento del totale), l’altra enclave armena che è stata completamente ‘dearmenizzata’. Hanno scavato anche le fondamenta delle chiese. Nel 2007, testimone anche l’Unesco, hanno eliminato l’ultimo grandissimo cimitero vicino alla frontiera iraniana, con le croci che risalivano all’Ottavo secolo. Hanno dissepolto anche le pietre di fondamento delle chiese. Non ci doveva essere più niente. Ora non attaccheranno il monastero di Dadivank subito, lo lasceranno andare prima in rovina. Tutte le croci, le chiese, sarà tutto distrutto. La grande cattedrale di Shushi è già diventata un’altra cosa. Le distruggeranno tutte, come la chiesa di San Gregorio, dove c’erano manoscritti antichi, è andato tutto perduto.

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