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2023 10 25 «La pace non si fa con le armi»

Fonte:
CulturaCattolica.it
NIGERIA - Rapiti tre religiosi in un monastero benedettino
LE GUERRE: PALESTINA-ISRAELE, TIGRAY, BURUNDI e RDC e RUANDA

NIGERIA - Rapiti tre religiosi in un monastero benedettino

Sono un novizio e due postulanti, le tre persone rapite in un monastero in Nigeria.
All’una della notte del 17 ottobre, un gruppo armato, si sospetta composto da pastori Fulani (vedi Fides 7/6/2023), ha assalito il monastero benedettino di Eruku nello Stato di Kwara, nella Nigeria centro settentrionale.
I banditi hanno prelevato fratel Godwin Eze, un novizio e due postulanti: Anthony Eze e Peter Olarewaju.
La notizia del rapimento dei 3 benedettini arriva all’indomani di quella della liberazione delle tre suore rapite nello Stato sud-orientale di Ebonyi (vedi Fides 19/10/2023). Quella del sequestro di persona è diventata in Nigeria una vera e propria “industria” che non risparmia sacerdoti, religiosi e religiose, ma che colpisce ogni categoria sociale. Proprio nello Stato di Kwara è notizia di queste ore la liberazione della moglie e di due figli del deputato Soliu Ayanshola che rappresenta la circoscrizione elettorale di Ipaiye/Malete/Olooru del governo locale di Moro nella Camera dell'Assemblea statale. I familiari del deputato erano stati rapiti da uomini armati il 16 ottobre. Sono stati liberati il 18 ottobre grazie ad un’azione delle forze dell’ordine che hanno arrestato cinque componenti della banda di sequestratori. (L.M) (Agenzia Fides 20/10/2023)

LE GUERRE

PALESTINA-ISRAELE
L’ecumenismo del sangue: cristiani di Terra Santa uniti davanti alle stragi di Gaza
La preghiera comune con il primate Welby nella cattedrale anglicana di Gerusalemme. Anche un'operatrice della Caritas e la sua famiglia tra i morti della chiesa ortodossa di San Porfirio. P. Romanelli: “Molti feriti del bombardamento sono stati portati alla parrocchia latina di Gaza. Continuiamo a chiedere insieme al Cielo pietà e misericordia e a chi ha autorità di fermare subito questa situazione”.

Hanno pregato insieme nella cattedrale anglicana di San Giorgio a Gerusalemme, in queste ore terribili per le proprie comunità. I responsabili delle Chiese cristiane della Terra Santa si sono riuniti ieri sera per chiedere insieme a Dio il dono della pace. L’occasione immediata l’ha data la vista del primate anglicano Justin Welby, giunto immediatamente a Gerusalemme per portare la propria solidarietà al giovane vescovo anglicano Hosam Naoum dopo l’esplosione che lunedì sera ha colpito l’ospedale Al Ahli a Ghaza, seminando morte e distruzione. Ma la sera del 19 ottobre ad essere colpita dall’aviazione israeliana è stata anche la comunità greco-ortodossa di Gaza, con almeno 18 morti tra le persone che avevano cercato rifugio nella zona dell’antica chiesa di San Porfirio, a cui molti guardavano come a un posto sicuro.

L’abbraccio tra il primate Welby e il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III è stato il simbolo visibile dell’unità nel dolore tra tutte le comunità. Ma alla preghiera erano presenti anche il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, il Custode di Terra Santa fra Francesco Patton, e i leader di tutte le altre confessioni cristiane presenti a Gerusalemme. La stessa unità vissuta ieri anche a Gaza, durante i funerali delle 18 vittime del bombardamento alla chiesa di San Porfirio. Una strage nella quale ha perso la vita anche Viola, 26 anni, un’operatrice della Caritas locale, rimasta uccisa insieme al marito e alla loro figlia neonata.

A dare voce ai sentimenti di tutta la comunità cristiana è p. Gabriel Romanelli, il parroco della parrocchia latina della Sacra Famiglia, che resta bloccato a Betlemme a causa della chiusura delle frontiere. Ma la vita della parrocchia latina continua a Gaza, attraverso il ministero dell'altro sacerdote p. Iusuf Asad, delle suore di Madre Teresa e di tutta la comunità.

La strage a San Porfirio - commenta p. Romanelli in un messaggio - “è stato un duro colpo per l’intera popolazione di Gaza. I cristiani continuano a chiedere al Cielo: pietà e misericordia. Chiedono a tutti di pregare per loro e per tutti e che, chiunque possa fare qualcosa, faccia ciò che è in suo potere per fermare subito questa situazione”.

“La comunità parrocchiale è sotto shock - conclude p. Romanelli -. Continuano a pregare e a discernere in ogni momento ciò che Dio chiede loro. Avere più di 50 bambini con disabilità, anziani molto malati e costretti a letto e, ora, feriti, rende l’intera situazione più critica. Nella Parrocchia ci sono più di 700 persone. E ci pregano di non smettere di pregare per loro Dio Nostro Signore e la Beata Vergine Maria”.
Gerusalemme (AsiaNews21/10/2023)

ITALIA - Il missionario Maccalli: da prigioniero dei jihadisti ho imparato che la pace non si fa con le armi

“Sono molto rattristato da quanto ascolto e vedo dalle notizie di attualità. Adesso è subentrato il conflitto tra Israele e Hamas che ha oscurato quello tra Russia e Ucraina, mentre del Sudan è da tempo che non se ne parla, ma sono ormai 6 mesi che questo conflitto sta andando avanti e poi …non posso non ricordare la situazione nel Sahel in cui sono stato come missionario per 11 anni e 2 anni come ostaggio”. Il missionario Pier Luigi Maccalli condivide con l’Agenzia Fides considerazioni e sentimenti suscitati in lui davanti all’attuale contesto geopolitico, stravolto da guerre senza fine.
“Credo anche che a molti sia sfuggita la notizia di quanto sta accadendo in questi giorni tra Armenia e Azerbaijan, nella regione del Karabakh. Sono davvero tante le immagini e le notizie di guerre e di violenze che ascolto e che mi addolorano profondamente – ripete il sacerdote della Società per le Missioni Africane. “Io prosegue padre Maccalli “prendo posizione per tutte le vittime di tanta insensata disumanità. Mi amareggia anche tanta ‘vetrina’ offerta nei media alle parole armate dei diretti interessati. Fin tanto che non si disarmano le parole è impensabile disarmare le mani che sono pronte solo a sparare e sganciare bombe.”
Ciò che la mia storia di rapito-ostaggio nel Sahel, per oltre 2 anni in mano ai jihadisti del gruppo GSIM affiliato ad Al Qaeda, mi ha permesso di vedere è che la pace non si fa con le armi. Ho perdonato chi mi ha tolto la libertà, mi ha incatenato e mi disprezzava come un nemico”.
Il missionario ricorda che proprio in questi giorni di ottobre di 3 anni fa veniva liberato: “Oggi testimonio che la pace passa dalla porta stretta del perdono. Ho perdonato e sono in pace.”
(AP) (Agenzia Fides 18/10/2023)

GAZA – la testimonianza di un giovane cristiano

"La speranza è più forte della guerra", la testimonianza da Gaza di un giovane cristiano
Pubblichiamo la testimonianza da Gaza City di Suhail Abudawood, giovane cattolico diciottenne, che ha appena terminato le scuole superiori ed è attivo nella vita quotidiana della chiesa della “Sacra Famiglia”. In questi giorni di guerra e di raid sulla Striscia, Suhail ha trovato rifugio, assieme ad altre 700 persone, all’interno della parrocchia. Con lui, tanti cristiani cattolici e ortodossi
Ciao a tutti. Mi chiamo Suhail Abodawood, vivo a Gaza e ho 18 anni. Il 7 ottobre è iniziata la guerra. Non parlerò di politica; parlerò in modo spirituale. All’inizio pensavo di sognare, ma poi ho capito che non era uno scherzo. Abbiamo lasciato le nostre case e siamo andati in parrocchia, la chiesa della Sacra Famiglia (una chiesa cattolica), perché so che la salvezza e la sicurezza sono nelle mani del mio Signore Gesù Cristo. Proprio ora sto pregando e digiunando nella chiesa, e credo fortemente che questo sia il momento giusto per far crescere e migliorare la mia vocazione in questa triste e difficile situazione, recitando il Rosario, partecipando alla Santa Messa quotidiana e meditando con grande fede, e che Dio ci salverà dalla guerra.
Prego nella chiesa ogni giorno, e ogni volta che prego sento forti rumori di razzi che cadono in un posto vicino alla chiesa, ma quando uso la fede, tutto ciò che m’interrompe scompare. Come ha detto san Carlo Acutis, “da sempre siamo attesi in Cielo”. Stiamo attendendo la nostra salvezza con cuore grande e siamo sempre consapevoli che la speranza cristiana e la più forte in assoluto. Nostro Signore Gesù Cristo ci salverà da questi giorni difficili e crediamo che fintanto che i nostri cuori saranno con Gesù, saremo sempre in un luogo sicuro e una sicurezza duratura. (RV 2023 10 23)

TIGRAY - guerra che è in atto da quasi tre anni

ETIOPIA - “Il nostro ordine mondiale sembra aver bisogno di una seria trasformazione”: l’eparca di Adigrat chiede che il Tigray non venga dimenticato

“Il nostro ordine mondiale sembra aver bisogno di una seria trasformazione altrimenti le conseguenze continueranno a colpire sempre di più le persone più fragili che saranno le prime a perdere” scrive all’Agenzia Fides il vescovo dell’eparchia cattolica di Adigrat, Tesfaselassie Medhin. “E’ veramente triste assistere agli scenari di guerra che si stanno acuendo e peggiorando in tutto il mondo – prosegue. Ora che i riflettori sono puntati prevalentemente sulla crisi in Medio Oriente non vogliamo che il Tigray rimanga dimenticato mentre la popolazione muore nel corso di una guerra che è in atto da quasi tre anni nella regione settentrionale dell’Etiopia (vedi Agenzia Fides 3/12/2020).”

“La nostra popolazione sta vivendo una vita estremamente difficile nel Tigray. Ben oltre un milione di persone (anziani, donne, bambini) vivono in situazioni disastrose dall’inizio della guerra nel 2020 in tende ed edifici scolastici improvvisati – denuncia Medhin. Sono morte oltre un milione di persone. Solo nelle ultime due settimane tutte le famiglie vivono lutti profondi per la perdita di familiari partiti dalle rispettive case come infermieri, studenti, insegnanti, medici, ingegneri, per andare a lavorare per salvare vite”. (…)
“È terribile che a subire sia la popolazione povera, schiacciata dalla guerra, priva di aiuti alimentari. Le conseguenze di questo conflitto armato hanno esacerbato le già precarie condizioni di siccità, determinando un aumento dell’insicurezza alimentare, della malnutrizione, della mancanza di medicine e della scarsità d’acqua. Affrontare sia il conflitto che la siccità è fondamentale per salvare vite umane, ricostruire la regione, ripristinare l’agricoltura e garantire il benessere della popolazione colpita.”
Il vescovo Medhin conclude affermando che, a meno che non vengano attuate immediatamente alcune misure, la pace rimane in pericolo. L’eparca esorta affinché venga messa in pratica la piena attuazione dell'accordo di pace di Pretoria, in particolare che le forze di occupazione lascino il Tigray; venga concessa l'accessibilità stradale a tutti i quartieri bloccati; gli oltre un milione di sfollati interni ritornino alle rispettive case e distretti e che venga ripristinata l'assistenza alimentare umanitaria.
“La comunità internazionale deve uscire dal silenzio – conclude – continuano a morire migliaia di persone. Nel Paese dilagano violenza e scontri anche in altre regioni dell’Etiopia, e la popolazione sofferente ovunque ha bisogno di pace, cibo, servizi di base, giustizia.”
(MT/AP) (Agenzia Fides 23/10/2023)

BURUNDI, RDC E RUANDA: il più sanguinoso conflitto dalla Seconda Guerra Mondiale

CONGO RD - “Basta guerra: si ponga fine alle sofferenze delle genti dell’est della RDC”: appello dei Vescovi della regione dei Grandi Laghi

“Si faccia tutto il possibile per porre fine alle sofferenze delle popolazioni dell'Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC)” chiedono i membri dell'Associazione delle Conferenze Episcopali dell'Africa Centrale (ACEAC) lanciando un “appello fraterno” ai leader della regione dei Grandi Laghi.
I vescovi cattolici dell’Africa Centrale, riunitisi in consultazione dal 16 al 18 ottobre 2023 a Roma, a margine del Sinodo, hanno incoraggiato i leader della regione “a costruire ponti di pace tra i nostri Stati (Burundi, RDC e Ruanda) e nostri popoli creando condizioni favorevoli alla convivenza in fraternità e complementarità”.
“Siamo consapevoli che la costruzione della pace non è un atto isolato, ma un lavoro comune e collettivo, che coinvolge diversi strati della società e strutture di diversi ordini. In spirito di collaborazione, l’ACEAC rinnova la sua gratitudine a tutti coloro che, nella comunità internazionale, all’interno dei nostri governi, delle nostre istituzioni e delle nostre comunità, investono instancabilmente, a volte a costo della vita, per restituire speranza di giustizia e di pace ai nostri popoli” affermano nel messaggio intitolato “espandiamo le nostre tende per la pace”.
“D’altra parte, esortiamo tutti coloro che, da lontano o da vicino, continuano a seminare morte, desolazione e divisione nella nostra regione, ad ascoltare l’appello della Chiesa alla solidarietà universale e a lasciarsi guidare dalla ricerca di uno sviluppo umano integrale. La nostra comune natura di migranti su questa terra ci insegna che viviamo dei frutti degli alberi che altri hanno piantato. Concentriamoci, durante il nostro viaggio, non sul distruggere tutto, compresi gli altri esseri umani, ma sul piantare altri alberi per le generazioni future”. E proprio rivolgendosi ai giovani dei tre Stati coinvolti (Burundi, RDC e Ruanda) i vescovi hanno raccomandato di non cedere alla manipolazione, all’incitamento all’odio e alla divisione.
Il conflitto nella parte orientale della RDC che vede coinvolti gruppi armati locali e originari dagli altri Paesi della regione dei Grandi Laghi, con circa sei milioni di vittime, è il più sanguinoso dalla Seconda Guerra Mondiale. Secondo uno studio pubblicato dall’International Rescue Committee nel gennaio 2008, la violenza nella RDC ha causato la morte di 5,4 milioni di persone tra il 1998 e il 2007. (L.M.) (Agenzia Fides 23/10/2023)

Nagorno-Karabakh e Azerbaigian
Allarme nel Caucaso: l’Azerbaigian sta per invadere l’Armenia?
La riconquista da parte dell’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh, enclave armena che dopo 30 anni ha cessato di essere una repubblica di fatto indipendente da Baku lo scorso 20 settembre, non sembra aver riportato la calma nella regione, anzi
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Dagli USA voci di una imminente invasione
Secondo il quotidiano “Politico”, a inizio ottobre il segretario di Stato americano Antony Blinken avrebbe avvisato un piccolo gruppo di parlamentari sulla possibilità che l’Azerbaigian proceda presto ad un’invasione dell’Armenia. L’amministrazione Biden ha smentito, ma poi il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha avvisato Baku sulle «gravi conseguenze» derivanti la violazione dell’integrità territoriale armena.
Di nuovo, rispetto all’allarme lanciato da Blinken, c’è ora che il regime di Ilham Aliyev potrebbe approfittare della crisi mediorientale per portare a termine, impunito, un obiettivo strategico di
Baku: l’occupazione del sud dell’Armenia.
In numerose occasioni lo stesso dittatore azero ha definito la provincia meridionale armena di Syunik come “Zangezur occidentale”, reclamandone la sovranità. Lo stesso ha fatto a proposito della capitale armena Erevan, definita in realtà «una città storicamente azera».

Aliyev issa la bandiera azera sull’Artsakh
Dopo che le sue truppe hanno sbaragliato le difese della Repubblica di Artsakh in appena 24 ore, decretando la fine della plurisecolare presenza armena nella regione e la precipitosa fuga di più di 100 mila abitanti terrorizzati dalla pulizia etnica, il 15 ottobre il leader azero si è recato a Stepanakert, l’ex capitale del Nagorno-Karabakh ridotta ormai a città fantasma. Nella ribattezzata Khankendi, Aliyev ha issato la bandiera azera e calpestato quella armena, radioso per la vittoria che, ha spiegato, ha esaudito un desiderio coltivato per 20 anni, cioè da quando sostituì il padre Heydar alla guida del regime. Entro il 2025, ha annunciato Aliyev, 140 mila coloni azeri verranno insediati nella regione riconquistata.

Una “grande Turchia” dal Mediterraneo alla Cina
Ora Baku sembrerebbe voler approfittare del contesto internazionale e dell’estrema debolezza dell’Armenia per invaderla, occupandone i territori meridionali; otterrebbe così la continuità territoriale con il Nakhchivan, provincia azera che sorge ad ovest del territorio armeno, per raggiungere il quale da decenni i convogli in partenza da Baku devono attraversare il nord dell’Iran, paese con il quale l’Azerbaigian ha rapporti non proprio idilliaci.
L’Iran infatti, che pure si è tenuta fuori dal conflitto azero-armeno, teme assai la possibile continuità territoriale che proietterebbe l’influenza economica, politica e militare turca fino all’Asia centrale costellata di ex repubbliche sovietiche turcofone e fino al cosiddetto “Turkestan orientale”, cioè la regione cinese dello Xinjiang abitata dagli Uiguri musulmani, bypassando completamente Russia e Iran. (…)
Inoltre Teheran rimprovera ad Aliyev la sua alleanza con Israele e la concessione a Tel Aviv di alcune basi, in territorio azero, dalle quali gli israeliani spiano l’Iran. (…)
di Marco Santopadre | 21 Ott 2023 |Pagine Esteri

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