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2023 11 08 TESTIMONIANZA: Nagorno Karabakh - L’ultimo armeno

Fonte:
CulturaCattolica.it
NICARAGUA - Il Nicaragua chiede libertà religiosa, Ortega espelle i francescani PAKISTAN - padre si rivolge all’Alta corte per salvare la figlia rapita e convertita all’islam
VIETNAM - Il Vietnam condanna un cristiano a 8 anni per “aver minato l’unità”
TESTIMONIANZA: Nagorno Karabakh - L’ultimo armeno
Padre Derenik racconta a Lugano la guerra e la fuga dalla sua terra

NICARAGUA - Il Nicaragua chiede libertà religiosa, Ortega espelle i francescani
Il regime che perseguita la Chiesa cancella l’ordine religioso e ne requisisce i beni come ha già fatto con altre istituzioni cattoliche. L’opposizione propone oggi una giornata di preghiera per la liberazione dei preti arrestati
Paolo Manzo 27/10/2023 TEMPI

Dopo i gesuiti, le missionarie della Carità di Santa Teresa di Calcutta e tante altre istituzioni cattoliche, ora in Nicaragua è l’Ordine dei Francescani a essere vittima della dittatura di Daniel Ortega. Il regime sandinista li ha infatti espulsi questo martedì, pubblicando la decisione di cancellarne la personalità giuridica in Gazzetta Ufficiale e stabilendo che i beni mobili e immobili dell’ordine religioso passeranno nelle mani dello Stato. Lo stesso iter usato per espellere e rubare le ambulanze di Caritas Nicaragua.
Sequestrato l’Istituto San Francesco d’Assisi
Sempre il 24 di ottobre scorso, inoltre, l’istituto San Francesco di Assisi, nella città di Matagalpa e amministrato dai frati francescani, è stato sequestrato da agenti di polizia al servizio di Ortega e da un gruppo di funzionari del Ministero della Pubblica Istruzione. «Sono venuti a sospendere le lezioni, hanno portato fuori gli studenti e hanno convocato gli insegnanti a una riunione. Poi è arrivata la polizia e sono stati loro a rimuovere le bandiere nicaraguensi che c’erano attorno alla scuola», hanno denunciato gli stessi genitori degli studenti.
Le autorità sandiniste «hanno portato via tutti i computer che si trovavano nell’istituto», hanno confermato i genitori al giornale indipendente Confidencial e, poche ore dopo l’occupazione della scuola, gli insegnanti li hanno informati tramite WhatsApp che da oggi il regime «si occuperà della gestione della scuola» anche se «le lezioni non verranno interrotte». «Tutto continua come prima» hanno invece fatto sapere, laconici e visibilmente spaventati di perdere il lavoro, gli insegnanti. (…)

L’odio contro la Chiesa in Nicaragua di Ortega
L’Ordine dei Frati Minori Francescani è presente da 58 anni in Nicaragua ma poco importa visto che Ortega aveva agito in modo analogo d’agosto, quando aveva cancellato la personalità giuridica della Compagnia di Gesù e confiscato sia l’università gesuita di Managua che la residenza per sacerdoti adiacente al campus con l’accusa ridicola di «terrorismo». La settimana scorsa, dodici sacerdoti che erano in carcere a Managua sono stati espulsi dal Paese e accolti dalla Santa Sede, a Roma, ma non il coraggioso monsignor Rolando Álvarez, vescovo di Matagalpa, condannato a 26 anni di carcere per “diffusione di notizie false” e “cospirazione contro la patria” dopo essersi rifiutato di essere trasportato a Washington, a febbraio, con altri 222 prigionieri politici della dittatura.
L’odio contro la Chiesa cattolica di Ortega e di sua moglie Rosario Murillo, che è anche vice-presidente, è iniziato dopo le proteste dell’aprile 2018, represse nel sangue dalla polizia, quando l’arcivescovo di Managua, Sergio Baez (oggi in esilio a Miami), monsignor Álvarez e tanti altri preti appoggiati dalla CEN, la Conferenza episcopale nicaraguense, scelsero di stare al fianco degli studenti massacrati dal sandinismo (tra 350 e 500 i morti). (…) -Leggi l’articolo completo su TEMPI-

PAKISTAN - padre si rivolge all’Alta corte per salvare la figlia rapita e convertita all’islam
In Pakistan chi rapisce per convertire e far sposare in modo forzato giovani donne cristiane o indù utilizza sempre più spesso lo “stratagemma” delle controdenunce che rallentano i tribunali e affievoliscono la sete di giustizia dei famigliari delle vittime

Continuano in Pakistan i rapimenti, le conversioni forzate all’islam e i matrimoni coatti di giovani donne cristiane e indù. Il 28 ottobre, Aftab Joseph, padre di Samreen Aftab, ha presentato una petizione all’Alta Corte di Lahore, rinnovando la sua richiesta di giustizia per la figlia rapita. Samreen, una minorenne di fede cristiana, è stata rapita, convertita con la forza e costretta a sposare il suo rapitore, Muhammad Amir all’inizio di quest’anno. Ora Samreen viene chiamata Kaneez Fatima, e la famiglia di Amir ha depositato una nota in cui la ragazza dichiara di essere contenta del suo matrimonio e della sua conversione, e dove afferma che avrebbe compiuto queste scelte di sua spontanea volontà. Tuttavia, queste dichiarazioni sarebbero state estorte sotto costrizione.

Suo padre, un insegnante impiegato nella scuola di un orfanotrofio, e sua madre, Ishrat, che lavora come collaboratrice domestica, non si danno pace e chiedono giustizia anche perché il rapitore, Muhammad Amir, appartiene a una famiglia influente della casta dei Raja e oltre che del rapimento di Samreen è ricercato dalla polizia per il suo presunto coinvolgimento nell’incendio di alcune chiese del 16 agosto 2023 a Jaranwala.

La famiglia Joseph, già alle prese con una situazione di povertà estrema e di difficoltà economica, ha dovuto affrontare anche le aggressioni e molestie da parte di diversi gruppi di fondamentalisti musulmani della zona. Oltretutto la famiglia di Amir ha presentato una controdenuncia contro Aftab Joseph, il padre di Samreen, sostenendo che l’uomo avrebbe tentato di rapire la sua stessa figlia da suo marito. Questa falsa contro-denuncia è stata presentata per dissuadere il padre dal perseguire la giustizia e dal recuperare la ragazza.

Joseph Jansen, presidente di Voice for Justice, ha espresso profonda preoccupazione per lo stratagemma delle controdenunce che stanno adottando i rapitori, “poiché che ciò ostacola la giustizia per le vittime vulnerabili e consente ai veri colpevoli di sfuggire alle loro responsabilità”.

Jansen ha anche sottolineato come le leggi in Pakistan obblighino le ragazze di sposarsi solo dopo aver compiuto i 16 o 18 anni, a seconda della provincia a cui appartengono. Tuttavia, convertendo una ragazza all’Islam, in tribunale vengono applicate le leggi della Sharia, che permettono alle ragazze di sposarsi in età molto giovane, a volte anche appena 9 anni. Le ragazze convocate in tribunale per testimoniare sulla volontà di convertirsi e sposarsi spesso rimangono sotto la custodia dei loro rapitori, rendendo loro difficile parlare liberamente. I rapitori in genere ricorrono alle minacce per costringere le ragazze e le loro famiglie a rilasciare dichiarazioni a favore dei loro rapitori. (…)
(di Shafique Khokhar AsiaNews03/11/2023)

VIETNAM - Il Vietnam condanna un cristiano a 8 anni per “aver minato l’unità”
Rian Thih è stato accusato di aver complottato per creare uno stato separato per le minoranze etniche negli altopiani centrali.
Di RFA vietnamita 2023.10.04

Un tribunale della provincia vietnamita di Gia Lai ha condannato un cristiano a otto anni di carcere e tre anni di libertà vigilata per “aver minato la politica di unità” ai sensi dell’articolo 116 del codice penale.
Il quotidiano online Gia Lai ha affermato che il processo di Rian Thih del 28 settembre è durato diverse ore e l’imputato, noto anche come Ama Philip, “ha testimoniato onestamente e ha ammesso il crimine”. Il giornale non ha specificato se avesse un avvocato difensore.
Il Vietnam usa spesso l’accusa di indebolire la politica di solidarietà per sopprimere gli attivisti per la libertà religiosa nelle comunità di minoranze etniche negli altopiani centrali o nelle aree montuose settentrionali, secondo un attivista per la libertà religiosa che ha parlato a Radio Free Asia a condizione di anonimato per motivi di sicurezza.
“Obiettivi della repressione sono i leader religiosi di gruppi religiosi indipendenti non registrati, spesso in contatto con organizzazioni della società civile all’estero o organizzazioni internazionali per i diritti umani per denunciare violazioni della libertà religiosa nel Paese”, ha affermato l’attivista. (…)
L’attivista spiega che negli altopiani centrali ci sono molti gruppi protestanti registrati presso lo Stato e con status legale. Molti di loro hanno commesso azioni che, secondo l’attivista, “hanno causato divisione tra etnie e tra religioni” ma non sono stati accusati di minare la politica di unità.
Il governo vietnamita afferma che i cristiani che appartengono a chiese domestiche non registrate fuori dal controllo della Chiesa evangelica meridionale ufficiale del Vietnam sono “protestanti Dega”, che le autorità sostengono non sia un gruppo religioso legittimo ma una copertura per un movimento indipendentista Montagnard.
I Montagnard sono una minoranza indigena prevalentemente cristiana delle province dell’altopiano centrale che preme per la libertà religiosa e il diritto alla terra. Il governo ora sostiene che non ci sono Montagnard negli altopiani centrali.
Il quotidiano Gia Lai ha affermato che Rlan Thih ha partecipato alle violente proteste a Gia Lai nel 2001 e nel 2004 ed “è rimasto testardo, rifiutandosi di smettere di tentare di sabotare il partito e lo Stato, colpendo l’unità nazionale e la sicurezza locale”, ma non ha specificato quali fossero questi atti. .
Rlan Thih è uno dei tanti attivisti per la libertà religiosa negli altopiani centrali arrestati di recente.
Ad aprile, le autorità di Dak Lak hanno arrestato il predicatore Y Krec Ba della Chiesa evangelica di Cristo degli altopiani centrali con l’accusa di “minare la politica di unità”. Un mese dopo, Nay Y Blang è stato arrestato con l’accusa di “abuso delle libertà democratiche”.
Secondo le statistiche della RFA, attualmente sono circa 60 le minoranze etniche incarcerate con l’accusa di “minare la politica di solidarietà” con condanne che vanno dai quattro ai 20 anni.
Tradotto da RFA vietnamita. A cura di Mike Firn e Taejun Kang.

TESTIMONIANZA

Nagorno Karabakh - L’ultimo armeno
Padre Derenik racconta a Lugano la guerra e la fuga dalla sua terra

Di ANDREA STERN Corriere del Ticino 05.11.2023

È stato lui a spegnere la luce. Padre Derenik - ospite giovedì 9 novembre a Lugano - è l’ultimo uomo ad aver lasciato il Nagorno Karabakh. Fino a inizio ottobre viveva nel monastero di Dadivank, un edificio religioso particolarmente significativo poiché già nel primo secolo Dadi, un discepolo di San Giuda Taddeo, l’evangelizzatore dell’Armenia, fu ucciso in questo luogo per la sua fede.
Dal 2020 padre Derenik non ha più ricevuto visite, poiché gli azeri avevano circondato il monastero e consentivano l’entrata di soli generi alimentari e solo tramite i soldati russi. La situazione non era facile, ma per padre Derenik l’importante era poter continuare a pregare in quel luogo sacro ai cristiani armeni.
«In quel momento così difficile, attraverso il Signore trovi la tua vera libertà - racconta padre Derenik - realizzi che la libertà dell’anima è molto superiore alla libertà semplicemente umana. A volte abbiamo vissuto per settimane senza pane, perché gli azeri non lasciavano passare il cibo, ma la preghiera era il più grande cibo, quello spirituale. In tutto il periodo trascorso a Dadivank, nulla ha deluso le nostre anime».

Lo scorso 19 settembre, però, l’Azerbaigian ha scatenato una guerra lampo che ha definitivamente posto fine alla presenza armena nel Nagorno Karabakh. In pochi giorni, tutti i 120.000 abitanti dell’enclave hanno dovuto fuggire.

«Cos’hanno visto i miei occhi!»
«Questa guerra è stata un colpo durissimo - afferma padre Derenik -. Ho visto con i miei occhi che uccidevano donne e bambini, distruggevano le case degli armeni, profanavano le chiese armene.
Cosa non hanno visto i miei occhi! E mi chiedevo come fosse possibile che accadessero queste cose nel XXI secolo».
Alla fine, a malincuore, anche padre Derenik ha dovuto accettare di farsi accompagnare al confine armeno. «Ci hanno portati fuori dal monastero le forze di pace russe perché era impossibile rimanerci più a lungo - spiega il religioso - ma la mia anima e il mio cuore sono rimasti nel mio Dadivank armeno. Sono sicuro che le porte della chiesa armena si apriranno di nuovo, che la giustizia deve vincere e tutto debba essere restituito. Credo anche che anche oggi, in questo mondo, ci siano persone della luce, per le quali la giustizia e la libertà sono più importanti di tutto, e noi, attorno a questi due valori riavremo ciò che per il momento è perduto, perché non c’è libertà senza giustizia e non c’è giustizia senza libertà. Questo lo dico per tutta l’umanità».

Una terra svuotata
Con la sua partenza, l’intero Nagorno Karabakh si è completamente svuotato. In pochi giorni, l’Azerbaigian è riuscito a porre fine a millenni di storia senza che nessuno alzasse un dito, né in Occidente né in Oriente. Un capolavoro di strategia geopolitica e militare, per il dittatore azero Ilham Aliyev. Un’ennesima tragedia, per gli armeni, il popolo più solo al mondo.

«Nessuno ci ha aiutati durante i lunghi mesi dell’assedio azero - dice Teresa Mkhitaryan, armena residente in Svizzera, fondatrice dell’associazione Il Germoglio di Lugano - ed è chiaro a tutti che nessuno ci aiuterà nemmeno adesso che ci ritroviamo con 120.000 persone sfollate. Le organizzazioni internazionali sono assenti, l’ONU è arrivata quando erano rimasti solo 8 armeni e ormai il danno era fatto».

La reazione e gli aiuti
Una situazione difficile, che però gli armeni stanno affrontando con grande umanità. «Sono appena stata a Yerevan - racconta Mkhitaryan - e sono rimasta colpita dallo stato d’animo degli sfollati. Sebbene abbiano perso tutto, non si lasciano andare alla disperazione. Cercano tutti di darsi da fare per aiutarsi l’un l’altro, alcuni hanno già trovato un lavoro e gli altri fanno volontariato. Non stanno con le mani in mano ad aspettare un aiuto, hanno una dignità incredibile».
Mkhitaryan racconta per esempio di un giudice che oggi passa il tempo a trasportare materassi o di una famiglia che ha voluto ringraziarla condividendo un sacco di fagioli, l’unica cosa che sono riusciti a portare via dal Nagorno Karabakh.
Tornata in Svizzera, Teresa Mkhitaryan (terezamkh@gmail.com) ha ripreso ad adoperarsi in mille modi per sostenere queste persone in difficoltà. E per sensibilizzare la popolazione svizzera su una tragedia passata quasi sotto silenzio.

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