2023 12 13 Mons. Audo: una crisi senza fine, ma la Chiesa è testimone di carità e dialogo
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TESTIMONIANZA SIRIA – Mons. Audo: una crisi senza fine, ma la Chiesa è testimone di carità e dialogo
FILIPPINE - Mindanao, la Settimana della pace risposta al sangue versato dall’Isis a Marawi
Il sud del Paese ancora scosso dall’attentato jihadista alla messa del 3 dicembre, che allontana anche le prospettive di rientro degli sfollati musulmani di Marawi. Alle violenze i gruppi interreligiosi rispondono con iniziative di dialogo e confronto. Centinaia le persone di tutte le fedi ad aver aderito all’iniziativa. Conversione dei cuori e spazi sicuri contro quanti alimentano il terrore.
L’attentato firmato dallo Stato islamico durante una messa il 3 dicembre scorso nella palestra della Mindanao State University, a Marawi, con i suoi quattro morti e decine di feriti, ha insanguinato la Settimana della pace 2023 in programma a Mindanao dal 30 novembre al 10 dicembre. Un evento promosso e sostenuto dalla Chiesa filippina, che per l’arcivescovo emerito di Cagayan de Oro, il gesuita mons. Antonio Javellana Ledesma, doveva simboleggiare proprio il “Ritorno a casa” della pace, dell’armonia, del dialogo nel sud del Paese. Alimentando, fra l’altro, il dolore e la disperazione della comunità musulmana e degli sfollati interni che dal 2017, dall’assedio alla città sferrato dal gruppo Maute associato all’Isis, continuano a soffrire per la mancanza di una sistemazione stabile.
Tuttavia, i promotori della Settimana della pace e le centinaia di partecipanti sottolineano che di fronte a questi eventi di sangue, davanti alle violenze è ancora più urgente e importante rispondere con il dialogo e portando avanti iniziative di incontro e confronto. Alle 850 persone presenti alla giornata inaugurale il 29 novembre scorso a Pagadian City (Zamboanga del Sur), racconta l’attivista cattolica Marites Guingona Africa, “come rappresentante di The Peacemakers’ Circle, ho lanciato una sfida: trovare la pace nelle nostre case, dove risiedono i nostri cuori”.
A questo si aggiunge il workshop il giorno successivo incentrato sulla “creazione di spazi sicuri” per il dialogo fra tre realtà diverse: cristiani, musulmani e i tribali Subanon, primo progetto del Forum interreligioso per la solidarietà e la pace (Ifsp) a Pagadian, di recente formazione. A guidarlo vi erano p. Felix Tigoy, coordinatore Ifsp, Timuay Jose Macarial in rappresentanza della popolazione indigena, suor Marjorie Guingona e il leader musulmano Bong Balimbingan.
Negli ultimi 20 anni nelle Filippine si sono moltiplicati gli sforzi e le iniziative volte al dialogo interreligioso e alla fratellanza, col tentativo di tradurre in atto pratico progetti e iniziative di armonia e solidarietà. Ciononostante, questa filosofia non è ancora diventata una reale forza di cambiamento sociale e culturale come auspicato dai promotori. È frustrante, racconta l’attivista cattolica, per i “pochi progressi” sinora compiuti per una “vera conversione dei cuori”. “Le guerre - aggiunge Marites Guingona Africa - si combattono coinvolgendo la sfera religiosa anche oggi. A che serve la nostra religione o la nostra tradizione di fede se non può essere una risorsa per la pace invece di una fonte di conflitto, se non può essere una fonte di conforto per noi e una forza di guarigione per le nostre anime stanche?” si chiede infine l’attivista.
“Se vogliamo che la speranza di una pace vera e duratura diventi una realtà” ha osservato p. Felix Tigoy, è necessario “creare spazi sicuri dentro e intorno a noi, dove i nostri cuori e le nostre menti possano incontrarsi rispettosamente nella nostra diversità”. Per il sacerdote è fondamentale dare vita a luoghi in cui “possiamo rispettare le nostre differenze e relazionarci l’uno con l’altro al di là di un semplice invito alla tolleranza”. La vera conversione nel dialogo interreligioso, avverte, è “la conversione del cuore, affinché le persone possano vedere la presenza di Dio nell’altro”. Questo è ciò che significa “dialogare oltre la tolleranza” conclude, ma è possibile solo quando “le persone riescono a far emergere gli insegnamenti e gli ideali più elevati delle rispettive religioni e tradizioni di fede non solo attraverso azioni esterne, ma soprattutto attraverso un lavoro interiore”. (di Santosh Digal AsiaNews 06/12/2023)
BIELORUSSIA - In Bielorussia due preti arrestati. Così il governo silenzia la Chiesa
La nota dell’arcidiocesi di Minsk-Mohilev è asettica: «Padre Henryk Akalatovich, parroco della chiesa di San Giuseppe a Valozyn, a causa della detenzione, non può svolgere al momento i propri compiti pastorali». Poche parole, firmate da padre Yuriy Sanko, responsabile diocesano della comunicazione, confermano l’arresto del sacerdote cattolico che era stato anticipato dal portale “Christian Vision for Bielorussia”, organizzazione che monitora la libertà religiosa e di culto nel Paese alleato di Putin.
Il comunicato arriva a distanza di poche ore dalla cattura di un altro prete cattolico: padre Vyacheslav Pyalinok, ex segretario personale dell’allora nunzio apostolico in Bielorussia, l’arcivescovo Claudio Gugerotti, oggi alla guida del Dicastero vaticano per le Chiese orientali e neo-cardinale dallo scorso settembre. Due sacerdoti fermati in meno di una settimana che raccontano il giro di vite anti-ecclesiale in Bielorussia. Nel mirino non solo la Chiesa cattolica, ma anche numerose denominazioni cristiane. Una tenaglia che si stringe sempre di più intorno a voci ritenute critiche verso il regime filo-russo di Alexander Lukashenko e “silenziate” con arresti e incarcerazioni compiute dai servizi di sicurezza o ratificate dai tribunali facendo leva su accuse dai contorni estremamente ambigui.
Come dimostrano i casi dei due sacerdoti appena finiti in cella. Quando padre Akalatovich è stato fermato il 16 novembre nella canonica insieme con la sua perpetua, non gli è stata mossa alcuna specifica contestazione. Tanto che, non avendo lo status di “attestato”, non ha potuto né vedere il suo legale di fiducia (ma solo quello d’ufficio), né ricevere vestiti per l’inverno o cibo. Poi è arrivato il capo d’imputazione: tradimento dello Stato. Un reato per il quale rischia dai 7 ai 15 anni di carcere. «Le circostanze della vicenda sono ancora oggetto di verifiche», si limita a dire l’arcidiocesi di Minsk-Mohilev. Nato in una famiglia d’origine polacca, 63 anni, è stato uno di quei preti ordinati clandestinamente durante gli anni dell’Unione Sovietica. Era il 1984. E poco dopo l’ordinazione era stato bloccato dal Kgb per aver celebrato una Messa segreta nel luogo del massacro di Katyn «per tutti colori che erano stati uccisi nella foresta». In cella padre Akalatovich può contare su pochi farmaci. Secondo “Christian Vision”, le sue condizioni di salute sono precarie: di recente ha avuto un infarto ed è stato operato per un tumore allo stomaco.
Non è ancora ufficiale il motivo dell’arresto di padre Pyalinok avvenuto il 22 novembre. Secondo informazioni filtrate dalle forze dell’ordine, dovrà rispondere di estremismo. Un’accusa generica dentro cui è possibile far ricadere dichiarazioni pubbliche, anche attraverso i social, sgradite al potere. Il sacerdote ha 48 anni e fa parte della diocesi di Vicebsk, ma stava prestando servizio nella parrocchia della Santa Croce a Brest, città al confine con la Polonia. La polizia lo ha bloccato alla fine della Messa del mattino. E, nella perquisizione dell’appartamento, gli ha sequestrato il cellulare e il computer portatile.
Dopo il doppio arresto il nunzio apostolico, l’arcivescovo Ante Jozic, ha incontrato il ministro degli Esteri bielorusso, Sergei Aleinik. La notizia è stata rilanciata dai siti cattolici dell’Ucraina. «Le tensioni tra la Chiesa e le autorità bielorusse sono aumentate dopo le elezioni presidenziali del 2020 quando Lukashenko è stato rieletto con oltre l’80% dei voti», spiega il portale ucraino Credo. E si sono intensificate le repressioni che Vatican News non esita a definire «massicce». Ufficialmente il governo ribadisce di voler combattere l’estremismo. Più volte le autorità di Minsk sono intervenute contro la Chiesa cattolica alla quale appartiene il 10% della popolazione.
Già quest’anno un altro sacerdote cattolico, padre Vladislav Lazar, era stato arrestato per tradimento allo Stato ed era rimasto per sei mesi in un centro di detenzione preventiva fino al rilascio. Nell’agosto 2020, all’arcivescovo di Minsk-Mohilev, Tadeusz Kondrusiewicz, era stato negato l’ingresso in Bielorussia dopo un viaggio in Polonia: era potuto rientrare solo a distanza di qualche mese grazie a un intervento vaticano. Episodi tutti censurati dai media ufficiali del Paese che invece preferiscono sottolineare i “buoni uffici” tra la Bielorussia e la Santa Sede. (di Giacomo Gambassi martedì 5 dicembre 2023 Avvenire)
TESTIMONIANZA SIRIA
SIRIA – Mons. Audo: una crisi senza fine, ma la Chiesa è testimone di carità e dialogo
Il vescovo di Aleppo dei Caldei parla della drammatica situazione della sua città e di tutto il Paese, dopo quasi 13 anni di guerra, oltre alla pandemia e al terremoto del febbraio scorso: la tristezza più grande è vedere partire giovani e famiglie cristiane. Offriamo aiuti con medicine, spese ospedaliere, affitto e ricostruzione delle case
La guerra che non finisce mai, dopo quasi 13 anni, poi il coronavirus e il terremoto del febbraio di quest’anno. La Siria e Aleppo vivono un dramma infinito, con un chilo di carne che costa come un mese di stipendio e i giovani e le famiglie cristiane che emigrano. Ma il vescovo di Aleppo dei Caldei, monsignor Antoine Audo, è convinto che una presenza cristiana resterà nel Paese mediorientale, che ha bisogno “del nostro atteggiamento di solidarietà”, di cristiani “che parlano arabo in mezzo ad un mondo musulmano”. E possono testimoniare che si può essere “credenti in Dio senza essere fanatici o violenti”. Lo abbiamo incontrato nel giorno dell’udienza con Papa Francesco, rimandata per l’influenza e gli accertamenti sanitari del Pontefice.
Tredici anni di guerra, poi il terremoto. Come vive adesso la città di Aleppo?
Oltre alla guerra abbiamo avuto il coronavirus: abbiamo avuto tanti morti giovani perché le cure sono molto costose e nell’ospedale non ci sono medici di livello, è stata una cosa nuova. E poi abbiamo avuto il terremoto e Aleppo era distrutta. Nella mia casa del vescovo e poi in cattedrale abbiamo avuto danni e anche paura. Oggi c’è una povertà generale, tutto è costoso. Comprare un chilo di carne ad Aleppo è una cosa straordinaria oggi, perché si deve pagare qualcosa come 150 mila lire siriane e il salario mensile medio di una persona. E’ una cosa terribile. Ma malgrado questa situazione, rimane un senso di solidarietà. Questo viene dalla storia, dalla nostra cultura e la Chiesa ha avuto un ruolo veramente straordinario. Tutti riconoscono, anche il governo, i musulmani, l’atteggiamento dei cristiani di solidarietà, di carità, di accoglienza e questo aiuta molto. Ma non possiamo più vivere così. Ci dev’essere un cambiamento politico, che la gente possa lavorare, che l’industria possa produrre e poi viaggiare senza questo embargo su di noi. Ma la tristezza più grande è la partenza delle famiglie, soprattutto le nostre famiglie cristiane. I giovani partono a causa del servizio militare, non c’è lavoro per loro. Migliaia di giovani emigrano soprattutto in Germania, dove una legge aiuta chi vuole studiare e lavorare e c’è una accoglienza organizzata. Al primo anno di università, adesso, gli studenti cominciano a studiare tedesco, ci sono corsi, fanno esami. Ci sono facilitazioni, in Germania, soprattutto per chi vuole studiare medicina e ingegneria. E’ una politica utile ai suoi interessi economici.
I suoi fedeli che cosa le chiedono in particolare? Di quali aiuti hanno più bisogno?
Vorrei dire di tutto, soprattutto per i prezzi del cibo sempre più alti. Cosa facciamo per aiutare? Soprattutto distribuiamo medicine, abbiamo un comitato che paga le operazioni all’ospedale. Sono somme enormi soprattutto per i grandi interventi come quello al cuore. Aiutiamo poi le famiglie a pagare le rette delle scuole e per ricostruire le loro case dopo il terremoto. Organizziamo una grande solidarietà, perché abbiamo tanta gente, ogni mese, che viene per chiedere aiuti per comprare medicine, come quelle contro il cancro, o per pagare l’affitto della casa. Ogni settimana c’è un programma per sostenere le famiglie, e il nostro lavoro pastorale è oggi soprattutto umanitario. Per questo ho deciso, quando ho visto tutte le richieste di aiuto - visto che siamo solo io, il vicario generale e due sacerdoti - di creare un gruppo di dodici persone, giovani e ben organizzate, con esperienza di lavoro comunitario, che gestiscono ogni settimana gli aiuti con rispetto, dignità e discrezione.
Secondo lei, a livello nazionale e internazionale, cosa si può fare perché la Siria torni a crescere economicamente e anche ad offrire un futuro ai suoi cittadini?
Ho detto una volta che la guerra in Ucraina è la guerra siriana che è andata in Ucraina. E poi adesso è partita a Gaza, in Israele, eccetera. E’ una crisi internazionale, e la Siria si trova in mezzo a questi interessi. Penso che vada trovato un accordo soprattutto tra americani, russi e cinesi, anche per tutti questi interessi geopolitici e militari. Ogni potenza internazionale cerca di avere delle basi nella regione in Siria, in Turchia, in tutta l’area. Mi sembra che per mettere fine alla guerra si deve prendere una decisione di dialogo seria e onesta. La paura fa perdere la fiducia, e se non c’è fiducia c’è odio. Quando c’è odio c’è violenza e così non si riuscirà mai a uscirne.
Lei nutre delle speranze?
Sì, sì, io e penso tutti vescovi, abbiamo la coscienza di una responsabilità, di una presenza cristiana storica, che ha un significato importante per noi e per la regione, con la testimonianza del Vangelo. Io ripeto sempre: siamo una comunità cristiana che parla arabo, questo è molto importante, che pensa arabo, ed è capace di capire il mondo arabo e musulmano. C’è una solidarietà di cultura, di storia, di amicizie, malgrado tutte le difficoltà, e la mia convinzione di cristiano è che il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a fare passi in avanti nel dialogo col mondo. Mi sembra che l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e poi la libertà religiosa siano tre elementi molto importanti per la visione della Chiesa cattolica inserita oggi del mondo. E credo che dobbiamo dare questa testimonianza nel mondo arabo e musulmano: dire che possiamo essere credenti in Dio senza essere fanatici e violenti.
Povertà, difficoltà, sfiducia. Ma la gente e i cristiani come vedono il loro futuro?
Tanti dicono, ma io non ci voglio credere, che fra poco non saranno più cristiani in Siria, per i numeri di quelli che partono. Dopo il terremoto, il Canada ha aperto le porte a tutti quelli che hanno parenti già nel Paese e che possono fare domanda di accoglienza. E in tanti vanno Beirut per fare questa richiesta.
C’è qualcuno che condivide il pensiero della Chiesa e la vostra volontà di restare, di testimoniare con la propria vita una presenza millenaria?
Sì c’è una minoranza. La mia convinzione è che malgrado tutte queste partenze, ci sarà sempre una minoranza di fede, il “piccolo resto”, come si dice nella Bibbia. Resteranno qui e chissà come sarà.
Ci avviciniamo all’Avvento. Quale messaggio vuole far giungere dalla Siria al mondo cristiano?
Dobbiamo ritrovare la gioia di essere cristiani, la gioia di essere amati di Dio, salvati da lui, la gioia della pace e del rispetto degli altri. Di essere gente che accoglie gli altri. Il nostro mondo arabo e musulmano ha bisogno di questa gioia di Dio, che è possibile nella nostra umanità.
(Tiziana Campisi e Alessandro Di Bussolo - Città del Vaticano RV 2023 11 26)