Condividi:

2024 01 24 Rapporto Open Doors 2024

Fonte:
CulturaCattolica.it
Rapporto Open Doors 2024
HAITI - sei suore rapite a Port-au-Prince

Rapporto Open Doors 2024
Presentata la World Watch List, lista dei 50 Paesi in cui si registrano i più alti livelli di discriminazioni ai danni di cristiani: 365 milioni i più colpiti nel mondo, dato in aumento dal 2023.

Asia 2 cristiani su 5 subiscono alti livelli di persecuzione e discriminazione per ragioni di fede. Africa (1 su 5) e America Latina (1 su 16).
Su scala globale, i cristiani perseguitati sono oltre 365 milioni (1 su 7): la cifra più alta degli ultimi 31 anni. Gli atti ostili comprendono aggressioni, torture, rapimenti; nei casi estremi uccisioni. Ma non è solo violenza fisica: si riscontrano anche maltrattamenti e pressioni quotidiane sul luogo di lavoro, nell’accesso a sanità, istruzione e luoghi di culto, e una burocrazia spesso asfissiante.

Come viene fatto il rapporto

È il triste quadro che emerge dal rapporto annuale dell’ong internazionale Open Doors sulla persecuzione dei cristiani nel mondo (World Watch List 2024), riferito al periodo ottobre 2022 - settembre 2023.
La World Watch List di Open Doors è realizzata ogni anno seguendo una specifica metodologia. L’organizzazione si serve del sostegno “dei cristiani perseguitati in oltre 70 Paesi”, si legge nel rapporto, svolgendo ricerca sul campo grazie a numerose “reti locali”. A queste si aggiungono ricercatori, esperti e analisti, per un totale di circa 4mila persona coinvolte. Sono circa 100 i Paesi “potenzialmente interessati dal fenomeno della persecuzione” e da questi ne emerge ogni anno una lista di 50, che rappresentano le situazioni più preoccupanti di persecuzione e discriminazione nei confronti dei cristiani appartenenti a tutte le denominazioni e confessioni.

La lista

Nella lista diffusa oggi la Corea del Nord, come accade ormai da anni, si conferma stabile al primo posto, seguita al secondo e terzo da Somalia e Libia. I Paesi che registrano un “livello estremo” di persecuzione sono saliti da 11 a 13 rispetto allo scorso rapporto. Guardando all’Asia e al Medio Oriente, oltre a Pyongyang sono presenti anche Yemen, Pakistan, Iran, Afghanistan, India, Siria e Arabia Saudita. A livello globale si rileva un crescendo dell’instabilità nell’area dell’Africa subsahariana, con un aumento della violenza perpetrata per motivi religiosi.

Preoccupante il numero, in aumento e difficile da raccogliere, delle vittime di “abusi, stupri e matrimoni forzati”: 3231 persone.
Aumento “senza precedenti” anche degli attacchi contro le chiese: da 2110 a 14766.

Commento
Dando uno sguardo generale alla situazione in Asia e Medio Oriente, la Corea del Nord mantiene la prima posizione a causa della politica di “tolleranza zero per i cristiani” adottata dal regime di Pyongyang. Tra gli atti persecutori più rilevanti si annoverano “i rimpatri forzati di fuggitivi nordcoreani da parte della Cina”, spiega Open Doors, che la configurano come un Paese in cui “essere scoperti cristiani è a tutti gli effetti una condanna a morte”. Segue lo Yemen, in quinta posizione. Si tratta, come Somalia e Libia, di una nazione rigidamente islamica dove l’”intolleranza anticristiana”, alimentata da dinamiche tribali, “estremismo attivo” e “instabilità endemica”, spinge i cristiani a vivere la loro fede spesso in segreto. Al settimo posto si trova il Pakistan, Paese stabile nei primi posti della lista da molti anni: dopo la Nigeria, è “la seconda nazione al mondo dove si manifesta più violenza anticristiana”, si legge nella Wwl. Indicativo di ciò è l’attacco avvenuto a Jaranwala nell’agosto 2023. Segue al nono posto l’Iran, che scende di una posizione rispetto al rapporto 2023. Qui i cristiani, “cittadini di seconda classe”, sono costretti a “incontrarsi in piccoli gruppi in casa”; il regime islamico infatti percepisce le chiese come “minacce”, viene sottolineato. Al decimo posto si posiziona l’Afghanistan, dove si registra una diminuzione del “punteggio relativo alla violenza contro i cristiani”, dovuta all’attenzione dedicata dai Talebani al consolidamento del proprio potere.

L’India è invece stabile all’undicesimo posto. “Denunciamo da anni il declino delle libertà fondamentali della minoranza cristiana, bersaglio di violenze e discriminazioni”, comunica Open Doors. Segue al dodicesimo posto la Siria, Paese in cui “le sfide dei cristiani continuano ad essere numerose e gravi” e, infine, l’Arabia Saudita, al tredicesimo. Qui il “piccolo numero di cristiani sauditi è lentamente cresciuto”, spiega Porte Aperte, ma “ad un costo”: quello di maltrattamenti e vessazioni, nei confronti anche delle persone più giovani, perché la conversione dall’islam al cristianesimo è diffusamente considerata “inaccettabile”. (Daniele Frison AsiaNews17/01/2024)

Approfondimento

A livello generale sono calati lievemente gli omicidi a causa della fede. Nel 2023 sono stati 4.998, più di seicento in meno rispetto al periodo precedente. A crescere esponenzialmente, invece, sono stati gli assalti, le chiusure e le confische di chiese e proprietà ecclesiali pubbliche, inclusi scuole e ospedali: si parla di quasi 15mila.

Sono addirittura quadruplicati gli attacchi alle attività economiche dei battezzati: oltre 27mila. Una strategia quest’ultima che punta a privare la comunità della possibilità si sostenersi, costringendola spesso alla fuga. Il rapporto parla di “Chiesa profuga”, un fenomeno in costante incremento come le pressioni quotidiane. Una forma di persecuzione meno evidente della violenza ma ugualmente feroce che si esprime in impedimenti di accedere a determinati impieghi, la negazione di cure o dell’istruzione, minacce.

Un caso peculiare è quello nicaraguense. La campagna d’odio di Daniel Ortega ha fatto schizzare il Paese di venti posizioni in avanti, passando dalla 50esima alla 30esima. Vescovi, preti, religiose e religiose sono arrestati o espulsi. Il pastore di Metagalpa, Rolando Álvarez, è stato recluso per 528 giorni prima di essere esiliato a Roma domenica.

Eritrea
. Da trent’anni sotto il pugno di ferro del dittatore Isaias. La Chiesa locale spogliata di ogni bene e di ogni libertà. Oppressa da 30 anni da un regime dittatoriale di stampo maoista che riconosce ufficialmente libertà di culto solo alle chiese cattoliche e a luterana e all’Islam, l’Eritrea imprigiona i fedeli della chiesa cristiana evangelica e i pentecostali senza accuse.
Sarebbero almeno un migliaio i prigionieri perseguitati per la fede cristiana. Le condizioni disumane delle celle, tanto sovraffollate che i detenuti sono costretti a dormire sul fianco e impossibilitati a stare in piedi, ricavate da vecchi container o scavate sotto terra, sono state appena descritte dal Washington post.
Il governo di Isaias Afewerki, che non riconosce la libertà di espressione, controlla di fatto con un vescovo fedele la principale confessione religiosa nazionale, la chiesa ortodossa eritrea, dopo aver destituito nel 2006 la legittima guida, il patriarca Antonios, e averlo costretto agli arresti domiciliari fino alla morte nel 2022. La sua colpa era aver criticato il presidente.
La guerra del Tigrai scoppiata nel 2020 ha ulteriormente peggiorato la situazione. Il regime ha infatti chiuso o nazionalizzato, applicando una legge del 1995 le scuole e gli ospedali della chiesa cattolica.
La leva a vita cui sono soggetti uomini e donne eritrei, con l’eccezione dei religiosi, ha portato poi a retate di minori anche nelle chiese. Nell’ottobre del 2022 è stato arrestato per oltre due mesi il vescovo cattolico di Segheneiti Fikremariam Hagos insieme a due sacerdoti.
Il prelato aveva detto ai fedeli nelle omelie che era peccato acquistare i beni saccheggiati ai tigrini e aveva criticato i reclutamenti forzati. (Avvenire, di Paolo Lambruschi, 17 gennaio 2024)

Yemen. Una presenza ridotta oramai ai minimi termini, nel mezzo della spartizione tra Houthi e “governo”
La guerra civile rende difficile stimare il numero dei cristiani rimasti nello Yemen. Il Paese è oggi spaccato tra due governi rivali (Houthi e il Consiglio presidenziale), senza parlare delle aree sotto il controllo dei gruppi jihadisti e dei secessionisti del Sud. Nel 2020, si parlava di 400 cattolici, molto meno dei circa 3.000 censiti prima della guerra e costituiti in maggioranza da rifugiati o da lavoratori stranieri con le loro famiglie.
Nel Paese vivono anche piccole comunità cristiane di etiopici, ortodossi russi, anglicani e protestanti e un numero imprecisato di convertiti dall’islam, che praticano la loro fede nella più completa segretezza per evitare minacce, aggressioni e vessazioni giudiziarie con l’accusa di apostasia. I cattolici sono seguiti da monsignor Paolo Martinelli, vicario apostolico per l’Arabia meridionale che comprende anche gli Emirati arabi uniti e l’Oman. La discreta presenza cristiana era un tempo concentrata ad Aden con 4 chiese (tre cattoliche e una anglicana) che oggi risultano distrutte o danneggiate. È in questa prima sede del Vicariato d’Arabia che il 4 marzo 2016 quattro suore Missionarie della carità sono rimaste vittime di un attentato terroristico.
Dal loro martirio è fiorita una presenza tenace della congregazione fondata da Madre Teresa: otto suore che prestano la loro opera in due case di accoglienza per anziani e disabili psicofisici. Con loro un sacerdote italiano che si sposta da una comunità all’altra per garantire i sacramenti ai fedeli rimasti. (Avvenire, di Camille Eid, 17 gennaio 2024)

HAITI - sei suore rapite a Port-au-Prince
Uomini armati hanno preso possesso del pullman che trasportava le religiose. Il veicolo condotto verso una destinazione sconosciuta.
Il vescovo di Anse-à-Veau et Miragoâne condanna questa azione “che non rispetta la dignità delle consacrate”, chiede la liberazione di tutte le persone sequestrate e si offre come ostaggio al posto loro

6 suore della congregazione delle Suore di Sainte-Anne sono state rapite insieme ad altre persone, tra cui l’autista, mentre si trovavano a bordo di un pullman che si dirigeva verso l’università della capitale Port-au-Prince. Il veicolo è stato fermato da uomini armati che sono saliti sul bus prendendo in ostaggio tutti i passeggeri. Il rapimento è avvenuto venerdì 19 gennaio in pieno giorno e nel centro della capitale.

L’indignazione della Chiesa haitiana
Il rapimento, confermato da un comunicato stampa della Conferenza haitiana dei religiosi e delle religiose, è denunciato con forza anche da monsignor Pierre-André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau e Miragoâne, il quale condanna “con vigore e fermezza quest’ultimo atto odioso e barbaro, che non rispetta nemmeno la dignità di queste donne consacrate che si donano con tutto il cuore a Dio per educare e formare i giovani, i più poveri e i più vulnerabili nella nostra società”.

Nella nota il vescovo chiede il rilascio degli ostaggi e la fine di “queste pratiche spregevoli e criminali”. Invita poi “tutta la società haitiana di unirsi per formare una vera e propria catena di solidarietà attorno a tutte le persone sequestrate nel Paese, per ottenerne la liberazione e garantire loro un rapido ritorno sani e salvi alle loro famiglie e ai loro cari!”. Dumas si offre anche come ostaggio al posto loro. (RV 20 gennaio 2024)

Il Papa: liberare le suore rapite ad Haiti.

È un accorato appello quello che Papa Francesco lancia dalla finestra del Palazzo Apostolico, al termine dell’Angelus di oggi, 21 gennaio, per la liberazione delle sei suore della congregazione di Sant’Anna, rapite venerdì scorso, nella capitale di Haiti, Port-au-Prince. Le religiose sono state prese in ostaggio da uomini armati che hanno bloccato un pullman sul quale viaggiavano insieme ad altri passeggeri. Tutti sono stati sequestrati, incluso l’autista. Il Papa esprime il suo “dolore” per la notizia. (RV 21 gennaio 2024)

Haiti, il vescovo Dumas: “Mi offro come ostaggio per salvare le suore rapite”

“Per favore, prendete me al loro posto. Sono pronto!”. Quando lancia l’appello ai rapitori, monsignor Pierre-André Dumas ha ancora stampato negli occhi il sorriso degli angeli portati via con la forza tre giorni fa mentre su un autobus percorrevano le polverose strade della sua diocesi, Anse-à-Veau-Miragoâne. Sei suore della congregazione di Sant’Anna, delle quali il pastore d’anime di quella grande porzione di Chiesa haitiana conosce bene l’altruismo e l’abnegazione, insieme all’autista del mezzo e alla giovane nipote di una loro consorella che aveva il sogno di partecipare a delle lezioni universitarie.

Per tutti, il porporato sarebbe disposto a donare la propria vita, senza alcun ripensamento. “Per ora, dai sequestratori non ho ricevuto alcun segnale. Ma io sono qui. Si sono offerti di accompagnarmi anche un sacerdote della mia diocesi che lavora in una bidonville e una suora di Madre Teresa di Calcutta”, dice, con una voce carica d’emozione. E traboccante di concitazione per l’ansia di chiudere bene una vicenda che sta scuotendo l’intera Chiesa locale.

Ma oltre al dolore c’è l’indignazione. Le religiose rapite - forse tenute segregate a sud della capitale, Port-au-Prince, da una delle bande armate che stanno mettendo a ferro e fuoco il Paese caraibico e che chiedono 3 milioni di euro per la liberazione– da sempre si spendono per sanare le ferite di uno dei popoli più poveri del mondo. Senza chiedere nulla in cambio. “Si occupano – racconta il vescovo – di educare i giovani, di evangelizzare, di stare vicino a chi non ha nulla. Hanno donato completamente la loro vita alla nostra gente”. E, dunque, monsignor Dumas è inorridito per il fatto che i figli di quello stesso popolo possano aver messo in atto un gesto che lui stesso definisce “disumano” e “del quale, un giorno, Dio chiederà conto”. (RV 22 gennaio 2024)

Vai a "Cristiani perseguitati. Memoria e preghiera"