2024 02 14 LAOS - persecuzioni anti-cristiane: case distrutte, Bibbie incendiate
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LAOS - persecuzioni anti-cristiane: case distrutte, Bibbie incendiate
INDIA - sacerdote cattolico arrestato con l’accusa di conversioni
TURCHIA - Istanbul, l’antica chiesa di San Salvatore in Chora torna a essere utilizzata come moschea
HAITI - il grido del vescovo Dumas: Chiesa e popolo stanchi di rapimenti e omicidi
LAOS - Savannakhet, persecuzioni anti-cristiane: case distrutte, Bibbie incendiate
Alcuni capi villaggio e abitanti hanno attaccato una chiesa domestica in un villaggio del sud del Laos. I fedeli, la cui comunità è riconosciuta, erano riuniti per le celebrazioni domenicali. Nonostante la denuncia, finora la polizia non è intervenuta per punire i responsabili. L’area teatro già in passato di persecuzioni a sfondo confessionale.
Cristiani ancora nel mirino in Laos: alcuni capi villaggio e abitanti nel sud del Paese hanno fatto irruzione in un’abitazione privata, per impedire a diverse famiglie che si erano riunite all’interno di tenere una celebrazione il 4 febbraio scorso, nell’ambito delle funzioni domenicali. È quanto denuncia Radio Free Asia (Rfa) rilanciando il racconto di alcuni testimoni. La vicenda è solo l’ultima di una serie di aggressioni e di azioni legali nello Stato comunista a partito unico con una popolazione prevalentemente buddista, nonostante una legge nazionale che protegge almeno sulla carta la libertà religiosa.
“Le autorità del villaggio sono venute qui e hanno demolito la nostra casa intorno alle 10.30 di domenica mattina” ha dichiarato a Rfa Lao una persona presente alle funzioni nella chiesa domestica del villaggio di Kaleum Vangke, nel distretto di Xonboury, provincia di Savannakhet. Parlando dietro garanzia di anonimato, come le altre fonti consultate e i testimoni oculari che temono ritorsioni, il cristiano prosegue: “Le autorità, tra cui il capo villaggio, le guardie di sicurezza e i membri anziani del villaggio, ci hanno attaccato all’improvviso e hanno distrutto il nostro luogo di culto”. La folla di assalitori ha bruciato Bibbie e documenti: “Hanno distrutto la nostra casa - afferma la fonte - perché non vogliono che i nostri fratelli e sorelle cristiani venerino Dio” e, nonostante la denuncia, sinora le autorità non sono intervenute.
Un altro fedele ha raccontato che il mese scorso alcuni membri di spicco del villaggio hanno convocato le sei famiglie cristiane della zona e hanno detto loro di smettere di praticare la loro religione, o più precisamente di “smettere di tenere le funzioni domenicali”. In caso di rifiuto, hanno aggiunto, le autorità “avrebbero demolito l’edificio”. La chiesa domestica di Kaleum Vangke è affiliata alla Chiesa evangelica del Laos, unica denominazione cristiana protestante riconosciuta dal governo, ma è stata comunque oggetto di attacco.
Kaleum Vangke non è nuova a conflitti religiosi. Nel marzo 2020 il pastore Sithong Thipphavong è stato arrestato e costretto a denunciare la sua fede cristiana. Al suo rifiuto, egli è stato accusato e riconosciuto colpevole di aver causato “disordine sociale” e di aver rotto “l’unità del villaggio”.
Incarcerato per un anno e multato di 4 milioni di kip (200 dollari), è stato liberato solo nell’aprile 2021. Un altro membro della comunità ha concluso sottolineando che nella provincia di Savannakhet si verificano “sempre più spesso” episodi di repressione “come quello di domenica”.
In Laos, nazione guidata da un regime comunista, la maggioranza della popolazione (il 67%) è buddista; su un totale di poco superiore ai sette milioni di abitanti, i cristiani sono il 2% circa della popolazione, di cui lo 0,7% cattolici. Vientiane riconosce solo quattro religioni: buddismo, cristianesimo, islam e baha’i. I casi più frequenti di persecuzioni a sfondo confessionale avvengono contro la comunità protestante: in passato AsiaNews ha documentato i casi di contadini privati del cibo per la loro fede o di pastori arrestati dalle autorità.
(Radio Free Asia - AsiaNews07/02/2024) -)
INDIA - Lucknow, sacerdote cattolico arrestato con l’accusa di conversioni
P. Dominic Pinto, responsabile di un centro pastorale diocesano, preso di mira dai nazionalisti per aver ospitato un incontro di protestanti e Khrist Bhakta, indù che guardano con simpatia agli insegnamenti di Gesù. Il vescovo Mathias: “Un grave abuso contro i cristiani. Preghiamo perché prevalgano la giustizia e il buon senso”.
Un sacerdote cattolico della diocesi di Lucknow, p. Dominic Pinto, è stato fermato il 5 febbraio dalla polizia dell’Uttar Pradesh insieme ad altre persone con l’accusa di aver cercato di “convertire indù poveri” nel distretto di Barabanki. P. Pinto è il direttore di “Navintha”, un centro pastorale diocesano, che saltuariamente ospita nel centro pastorale incontri promossi da un gruppo protestante insieme ai Khrist Bhakta (“seguaci di Cristo”), un movimento di persone che pur non essendosi convertite al cristianesimo come religione, seguono gli insegnamenti di Gesù.
Nella denuncia presentata alla stazione di polizia di Deva sono state citate 15 persone, tra cui cinque donne. Sono state accusate di aver violato la draconiana legge anti-conversione dell’Uttar Pradesh. Il denunciante Brijesh Kumar Vaishya li accusa di attirare al cristianesimo indù poveri, tra cui donne e bambini, appartenenti a comunità dalit. Un gruppo di indù ha anche cercato di aggredire le donne presenti al raduno di preghiera e ha protestato davanti alla stazione di polizia chiedendo di includere il nome del sacerdote cattolico nella denuncia.
Mons. Gerald Mathias, vescovo della diocesi di Lucknow, ha commentato ad AsiaNews: “P. Dominic Pinto ha concesso alcuni locali del centro pastorale diocesano a un gruppo protestante per svolgere una giornata di formazione o di preghiera. Erano oltre 200 persone. Stavano parlando, predicando e pregando. Un gruppo di nazionalisti indù si è lamentato con la polizia sostenendo che lì si stessero svolgendo conversioni, cosa del tutto falsa. Non c’è stata alcuna conversione. La polizia è arrivata e ha fermato la preghiera e la predicazione. Nel frattempo la folla istigata dai nazionalisti indù ha rotto le telecamere di sicurezza e saccheggiato i locali. La polizia ha portato p. Dominic e alcuni leader del gruppo alla stazione di polizia per interrogarli”.
“Si tratta di un grave abuso della legge anti-conversione dello Stato - continua mons. Mathias -. La polizia ha registrato le accuse senza alcuna prova. Subiscono le pressioni della folla o cedono ai dettami delle autorità superiori: è un tipico caso di molestie e atrocità contro i cristiani. Stiamo pregando intensamente e lavorando per ottenere la libertà provvisoria al più presto. Spero e prego che la giustizia e il buon senso prevalgano”.
L’agenzia cattolica Matters India commenta l’episodio riportando i dati dello United Christian Forum, un gruppo ecumenico con sede a New Delhi, secondo cui l’Uttar Pradesh ha registrato 287 dei 687 episodi di persecuzione contro i cristiani segnalati in tutta l’India nel periodo gennaio-novembre 2023. I cristiani rappresentano solo lo 0,18% degli oltre 200 milioni di abitanti dell’Uttar Pradesh, il 79,73% dei quali sono indù.
(di Nirmala Carvalho AsiaNews07/02/2024)
TURCHIA - Istanbul, l’antica chiesa di San Salvatore in Chora torna a essere utilizzata come moschea
Dopo Aghia Sophia, un’altra storica chiesa bizantina Istanbul, adibita negli ultimi 79 anni a museo, si appresta a ospitare di nuovo preghiere e riti islamici. Si tratta dell’antica chiesa di San Salvatore in Chora, conosciuta in tutto il mondo per i suoi affreschi e mosaici senza pari.
Secondo quanto riferiscono media turchi, a partire dal quotidiano Yeni Safak, la data è già fissata: il prossimo 23 febbraio la chiesa di Chora (KariyeCami) aprirà le sue porte per la preghiera del venerdì.
Il progetto di riutilizzare il museo di Chora come luogo di culto islamico risale al 2020, e si sarebbe dovuto realizzare nell’ottobre di quell’anno. Poi l’operazione fu congelata per effettuare lavori di restauro.
Adesso i media turchi informano che “il lungo restauro” di quella che viene definita “moschea di Kariye” è giunto al termine.
La chiesa di Chora si trova nella parte nord-occidentale del centro storico di Istanbul, a breve distanza dalla porta bizantina di Adrianopoli. È riconosciuta come uno dei più importanti esempi di architettura bizantina sacra ancora esistenti.L’antico complesso monastico fu fondato nel VI secolo. Nel XII secolo fu costruita la chiesa, poi completamente rinnovata all’inizio del XIV secolo.
Dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, l’edificio continuò a funzionare come chiesa, e fu convertito in moschea solo nel 1511. Dopo la trasformazione in moschea, i mosaici e gli affreschi furono ricoperti di calce, ma non distrutti
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’edificio fu restaurato da archeologi e esperti del Byzantine Institute of America e del Dumbarton Oaks Center for Byzantine Studies, e nel 1945 divenne museo statale su disposizione del Consiglio dei Ministri di allora.
Mosaici e affreschi che ne decorano l’interno sono considerati tra le opere più importanti dell’arte bizantina. Al centro di affreschi e mosaici c’è l’incarnazione di Cristo come avvenimento di salvezza. Il nome greco della basilica è “chiesa del Santo Salvatore fuori città”. “En te Chora, espressione poi sempre utilizzata per indicare l’edificio, significa letteralmente «in campagna»,
Nell’agosto 2020, il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha confermato la sentenza del Consiglio di Stato che il 19 novembre 2019 aveva annullato la decisione con cui nel 1958 il luogo di culto era stato trasformato in museo.
Durante l’utilizzo dell’edificio - che viene chiamato “Moschea Kariye” - per il culto islamico, gli affreschi verranno coperti da dei tappeti rossi appositamente disegnati. (NT) (Agenzia Fides 9/2/2024)
HAITI - il grido del vescovo Dumas: Chiesa e popolo stanchi di rapimenti e omicidi
Mentre nel Paese caraibico le violenze si susseguono senza sosta, la Conferenza Episcopale locale chiede alle autorità di intervenire in modo saggio per il bene di tutta la nazione. Monsignor Pierre-André Dumas, arcivescovo della Anse-à-Veau-Miragoâne e vice-presidente dei vescovi haitiani: “Occorre una transizione pacifica del potere. La società è paralizzata dalla paura: le scuole chiuse da settimane per timore di nuovi attacchi sono simbolo di fallimento”
I vescovi di Haiti non si danno per vinti. Non gettano la spugna nemmeno davanti all’ultimo atto di violenza che costringe il Paese caraibico ad allungare una lista che ormai da molto tempo gronda sangue e dolore: qualche giorno fa, un familiare di una suora, superiora di un ordine religioso, è sparito senza lasciare traccia. Rapito, come le sei suore della congregazione di Saint-Anne, poi rilasciate il 25 gennaio scorso dopo alcuni giorni di prigionia. “In nome di Dio, chiediamo alle autorità di porre fine alle sofferenze del popolo haitiano”, è tornata a gridare la Conferenza Episcopale locale.
E proprio solo Dio sa quante volte questo appello è stato vergato con lettere di fuoco in decine di note e di comunicati. Tutti disattesi, sempre. Ma l’amore per la propria gente li ha convinti a gridare ancora una volta, ancora più forte: “Noi ne abbiamo abbastanza di omicidi, di stupri, di rapimenti, che si sono consumati soprattutto negli ultimi tre anni”, hanno scritto i dieci presuli haitiani che alle autorità locali hanno chiesto di “rendersi conto della gravità della situazione attuale e di prendere una decisione saggia per il bene di tutta la nazione le cui fondamenta sono seriamente minacciate”.
Rischio guerra civile
Tra quei dieci vescovi che non hanno gettato la spugna c’è monsignor Pierre-André Dumas. Lui non è solo il vice presidente della Conferenza Episcopale di Haiti ma è anche il pastore di Anse-à-Veau-Miragoâne, la diocesi dove è avvenuto il rapimento delle sei suore. È il vescovo che per tentare si salvarle aveva offerto addirittura sé stesso ai sequestratori come merce di scambio. La guerra tra bande armate che rischia di trasformarsi in conflitto civile, dunque lui la conosce bene. Ed è proprio per questo che ai media vaticani ribadisce la necessità che l’attuale primo ministro guidi al più presto una transizione pacifica del potere, per evitare altri spargimenti di sangue. “Eravamo convinti che dopo gli accordi politici assunti solennemente, il 7 febbraio scorso, festa della caduta della dittatura, potesse diventare la data giusta per un nuovo inizio nel quale creare le condizioni per far nascere istituzioni democratiche, invece non è stato così”, spiega.
Haiti, allarme Unicef: almeno 170 mila bambini sfollati a causa delle violenze
Il popolo non ce la fa più, è l’allarme lanciato da Dumas, che all’orizzonte vede rivolte e sommosse. “La gente è stanca di morte e povertà – ribadisce, in piena sintonia con tutta la Conferenza Episcopale- e la Chiesa è accanto al popolo. Ma il compito della Chiesa è quello di far capire che si devono trovare soluzioni pacifiche. Lo abbiamo ribadito anche alle autorità alle quali abbiamo chiesto azioni coraggiose e ispirate dalla sapienza”. Che la società haitiana sia al collasso, paralizzata dal terrore, lo si capisce meglio quando il vescovo racconta che “ormai sono quattro settimane che i bambini non studiano più perché le scuole sono chiuse a causa della recrudescenza delle violenze. Anche questo è un segno di fallimento”.
Cammino di pace e libertà
Nella lettera per l’imminente quaresima che monsignor Dumas sta preparando per i fedeli della sua diocesi ci sarà un riferimento al cammino verso la vera liberà, fatta di pace e di amore fraterno. “Noi - sostiene - dobbiamo farci ispirare da Gesù che dice: alzati, perché dobbiamo andare. Un po’ come Elia, come Mosè, come Giosuè, come Giona, che hanno camminato per risvegliare il popolo, uscire dal coma spirituale e poter vivere come Dio vuole”.
(RV Federico Piana - 2024 02 12)