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2024 04 17 Finirà l'odio anticristiano? Si attua nel silenzio

Fonte:
CulturaCattolica.it
MYANMAR - due uomini armati sparano a un sacerdote cattolico durante la Messa AUSTRALIA - Accoltellato un vescovo della Chiesa assira d’Oriente. «È terrorismo» NICARAGUA - bloccati i conti di Radio Maria
LE ALTRE GUERRE - PER NON DIMENTICARE: AFRICA

MYANMAR - due uomini armati sparano a un sacerdote cattolico durante la Messa
Alle 6 del mattino due persone non identificate hanno fatto irruzione in chiesa e sparato almeno cinque colpi, secondo fonti locali. P. Paul Khwi Shane Aung, 40 anni, è stato ricoverato all’ospedale di Moe Nyin, nello Stato Kachin, e sottoposto a cure d’urgenza.

Due uomini non identificati hanno sparato a un sacerdote cattolico che stava celebrando la Messa nella chiesa di Saint Patrick a Moe Nyin, nella diocesi di Myitkyina, che si trova nello Stato birmano del Kachin. Padre Paul Khwi Shane Aung, 40 anni, si trova attualmente ricoverato nell’ospedale locale, dove è stato sottoposto a cure d’urgenza per le gravi ferite riportate.

Da oltre tre anni, a seguito di un colpo di Stato militare, il Myanmar è scosso da un brutale conflitto civile, ricordato anche da papa Francesco durante l’udienza generale di mercoledì. In diverse aree del Paese vige il caos e le violenze, anche contro i civili e gli appartenenti alle minoranze religiose, sono quotidiane.

Sono ancora poche le informazioni disponibili riguardo l’accaduto di questa mattina: la sparatoria è avvenuta intorno alle 6 del mattino (ora locale). Due uomini vestiti di nero e con il volto coperto, arrivati alla celebrazione in motocicletta, hanno fatto irruzione in chiesa e sparato almeno cinque colpi, hanno riferito fonti locali, centrando p. Paul Khwi Shane Aung, che si trova a Moe Nyin da quattro anni e ferendo una donna che si trovava in chiesa. Yangon (AsiaNews) 12/04/2024

AUSTRALIA - Accoltellato un vescovo della Chiesa assira d’Oriente. «È terrorismo»
È accaduto vicino a Sydney, il responsabile è stato arrestato. Ferite altre tre persone, nessuna è grave
Proteste anche violente lunedì sera in Australia dopo l’accoltellamento in chiesa del vescovo della Chiesa assira d’Oriente Mar Mari Emmanuel. Il prelato, molto attivo sui social media e considerato un ultra-conservatore, stava celebrando Messa in diretta via Facebook nella chiesa di Cristo Buon Pastore di Wakeley, circa 30 chilometri a ovest di Sydney, quando un giovane di 16 anni si è avvicinato all’altare e l’ha aggredito frontalmente con un coltello.
Nel video inizialmente diffuso in streaming, e poi bloccato, si vede l’aggressore di spalle, capelli neri e felpa grigio-scura con cappuccio, alzare un braccio come brandendo un’arma di piccole dimensioni. Colpisce il vescovo al petto facendolo cadere, poi mena altri cinque fendenti quando è a terra. Diversi fedeli accorrono a fermare l’aggressore, bloccandolo contro il pavimento. Tre di loro riportano ferite da arma da taglio su braccia o mani. Nessuno, nemmeno il vescovo, è in pericolo di vita. La polizia ha arrestato l’uomo e l’ha sottoposto a interrogatorio. Starebbe collaborando.

L’aggressione è avvenuta durante la Messa delle 19. Subito dopo attorno alla chiesa si è assiepata una folla rumorosa e a tratti violenta, di centinaia di persone. La comunità locale della Chiesa assira d’Oriente, che non è in comunione né con la Chiesa cattolica né con quelle ortodosse ma è una realtà a sé stante, ha un’identità molto forte e Mar Mari Emmanuel è ben conosciuto anche grazie alle sue dirette sui social media e alle sue posizioni di difesa dell’identità cristiana.

«Riteniamo che ci siano elementi soddisfacenti in termini di estremismo religioso, un atto di terrorismo», ha dichiarato il commissario della polizia del Nuovo Galles del Sud, Karen Webb.
(Avvenire Anna Maria Brogi lunedì 15 aprile 2024)

NICARAGUA - bloccati i conti di Radio Maria
L’emittente spiega che la decisione dipenderebbe da una mancanza di documentazione aggiornata e si dice “fiduciosa di poter continuare la sua opera di evangelizzazione”

Conti bancari bloccati, in Nicaragua, per Radio Maria: l’emittente ha reso noto di non poter accedere più ai propri risparmi presso il Banco de la Producción. Inizialmente, il coordinatore generale della testata, Róger Munguía, ha affermato che il blocco era «privo di giustificazione»; poi, è stato reso noto che la decisione dipenderebbe da una mancanza di documentazione aggiornata. Radio Maria si è comunque detta «fiduciosa di poter continuare la sua opera di evangelizzazione».

Nelle scorse settimane, undici pastori evangelici legati all’organizzazione statunitense Mountain Gateway sono stati condannati dalla giustizia del Nicaragua con l’accusa di riciclaggio di denaro. Per i membri dell’organizzazione con sede in Texas — arrestati due mesi fa e tenuti in isolamento senza contatti con avvocati o familiari — i giudici hanno emesso sentenze tra i 12 e 15 anni di reclusione, oltre a una multa di 80 milioni di dollari a persona. Il processo si è svolto a porte chiuse. L’organizzazione Alleanza in difesa della libertà, Adf Internacional, ha parlato di una sentenza «irregolare» maturata in un procedimento nel corso del quale «le autorità non sono state in grado di presentare alcuna prova». Vatican News 13 aprile 2024

LE ALTRE GUERRE
PER NON DIMENTICARE: AFRICA

Dobbiamo sempre tenere a cuore la NIGERIA. Ricordiamoci che quasi il 90% dei cristiani uccisi per la loro fede nel mondo sono nigeriani

CONGO RD - Nuovi attacchi dei jihadisti nell’est dove oltre 30.000 studenti non possono andare a scuola per l’insicurezza

Almeno 10 persone uccise e diversi edifici bruciati a seguito di un attacco dei ribelli dell’ADF, nella notte del 3 aprile, nel comune rurale di Mangina, nel territorio di Beni, nella provincia del Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC).
È solo uno degli ultimi attacchi dell’ADF.
ADF (Allied Democratic Forces) è un gruppo ribelle ugandese che da tempo si è insediato nel Nord Kivu e nell’Ituri, terrorizzando le popolazioni locali. Nel 2019 le ADF annunciano la loro affiliazione allo Stato Islamico accentuando la sua connotazione jihadista (vedi Fides 24/6/2023).
Le violenze dell’ADF (ora noto pure come ISCAP, ovvero Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico) hanno fatto sì che quasi trentamila studenti, tra cui undicimila ragazze, non possono più andare a scuola nel territorio di Irumu nell’Ituri e nella zona di Eringeti nel Nord Kivu.
Secondo un’indagine recentemente condotta da una squadra di ispettori scolastici settantanove scuole primarie e secondarie in queste aree sono state chiuse a causa dell’insicurezza. Alcuni degli edifici scolastici sono stati bruciati dai ribelli.
A fine marzo gli abitanti del villaggio di Mamove nel territorio di Beni (Nord Kivu) hanno riferito che dall’ottobre 2023 le ADF hanno ucciso più di 80 persone e ne hanno rapite altre 60. I ribelli inoltre operano sempre più nei quartieri periferici della città di Beni; secondo fonti locali dal 1° al 24 marzo più di 8 attacchi hanno preso di mira la città di Beni, in particolare il comune di Mulekera. Negli attacchi decine di persone sono state brutalmente uccise e molte altre sono scomparse, mentre sono stati saccheggiati diversi beni materiali come i depositi di cacao, uno dei prodotti pregiati dell’area. (L.M.) (Agenzia Fides 4/4/2024)

CONGO RD - la Via Crucis quotidiana di un popolo in guerra dimenticato da tutti

Da mesi i violenti combattimenti tra le milizie dell’M23 e l’esercito congolese hanno provocato un esodo di massa ignorato dalla comunità internazionale.

Negli ultimi due anni, più di un milione e mezzo di persone nella Repubblica Democratica del Congo sono state costrette a fuggire dalle loro case a causa dei combattimenti tra i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23), una milizia sostenuta dall’esercito ruandese, e l’esercito congolese e i suoi ausiliari. I combattimenti si sono intensificati dall’inizio del 2024. Una crisi che è caratterizzata dall’abbondanza di attori armati nel conflitto, da sfollamenti su larga scala e da un numero crescente di persone che necessitano di aiuti umanitari, riassumeva una nota dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) delle Nazioni Unite alla fine di febbraio. Centinaia di migliaia di civili hanno abbandonato le loro terre e i loro villaggi vivono ora in campi improvvisati, soprattutto nei pressi di Goma, la capitale del Nord Kivu. È qui che si è rifugiato padre Faustin Mbara, parroco della parrocchia della Divina Misericordia di Saké, a circa 20 chilometri. Il presbiterio della sua chiesa è stato raso al suolo dai ribelli. In questo difficile contesto, i cristiani dei campi si preparano comunque a vivere la Passione di Cristo nella speranza della Risurrezione.

Come si vive qui?

Qui si organizzano distribuzioni di cibo, ma poiché ci sono così tanti campi e così tante persone, il poco che viene distribuito è minimo e insufficiente. I beni vengono distribuiti con l’aiuto del Programma Alimentare Mondiale (PAM) e di altri attori locali come la Caritas diocesana. Ma la situazione è molto difficile: la gente qui ha perso tutto. Hanno perso le loro case, ma anche i loro campi, le basi minime di sussistenza. Nel villaggio i ladri vanno in giro a distruggere le case; anche il nostro presbiterio è stato distrutto. Tutto è stato saccheggiato e rubato, fino al più piccolo cucchiaio. Se i rifugiati qui dovessero mai tornare nella loro terra, dovrebbero ricominciare tutto da capo.

Cosa significa preparare la Pasqua in questo contesto di guerra?

L’insicurezza nella nostra regione dura da oltre trent’anni. E io sono sacerdote dal 2001. È qualcosa che vivo quasi ogni anno. Quest’anno, però, la situazione è particolarmente terribile, con persone che fuggono e lasciano le loro parrocchie. Ci sono altri sacerdoti che restano nelle loro parrocchie nonostante tutto. Ma tutto quello che sta accadendo è come una crisi dimenticata. Nessuno si preoccupa della situazione qui all’Est, come ci si preoccupa della situazione a Gaza o in Ucraina.
Olivier Bonnel - Città del Vaticano29 marzo 2024

SUDAN - Un anno di guerra civile che non sembra volere cessare
16.000 morti e oltre 8 milioni di sfollati e rifugiati, la crisi di sfollamento più grave nel mondo. Queste crude cifre riassumono la tragedia umanitaria della guerra dimenticata in Sudan scoppiata un anno fa, il 15 aprile 2023, quando dopo mesi di tensione l’esercito regolare (SAF, 300.000 effettivi) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le milizie paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (RSF, circa 100.000 uomini) di Mohamed Hamdan “Hemedti” Dagalo entrarono in conflitto (vedi Fides 17/4/2023).
I disaccordi erano legati all’integrazione delle RSF nell’esercito nazionale, in particolare alla tempistica dell’integrazione e alla struttura di comando e controllo. Il conflitto avviato nella capitale, Khartoum, si è esteso presto al Darfur, la roccaforte delle RSF e poi in pratica all’intero Paese. In Darfur la guerra ha preso subito una dimensione etnica scoprendo ferite mai cicatrizzate del precedente conflitto risalente ai primi anni 2000. Le RSF sono derivate dalle famose milizie arabe a cavallo Janjaweed, usate dal regime precedente, quello di Omar al Bashir, per reprimere le popolazioni non arabe di questa vasta regione nell’ovest del Sudan. Alle due fazioni in lotta, SAF e RSF, si sono poi aggiunti i diversi gruppi armati già presenti in Sudan, che si sono uniti all’una o all’altra parte (vedi Fides 21/11/2023).
La guerra ha devastato l’agricoltura del Paese, così alle cifre riportate sopra bisogna aggiungere i 5 milioni di persone a rischio fame e i 18 milioni che devono far fronte a una grave crisi alimentare.
E il cibo è diventato un’arma: entrambe le fazioni in lotta impediscono i movimenti dei convogli carichi di aiuti alimentari inviati dalle agenzie umanitarie nelle aree controllate dall’avversario.
Le accuse di gravissime violazioni dei diritti umani da parte di militari e miliziani continuano a susseguirsi, comprese violenze sessuali, torture ed esecuzioni sommarie.
Le due fazioni non sembrano volere sedersi al tavolo delle trattative perché entrambe pensano di potere vincere il conflitto. Sui calcoli dei due leader rivali possono pesare pure gli appoggi esterni che entrambi ricevono. Le RSF da parte dei mercenari russi della ex Wagner, dagli Emirati Arabi Uniti, che inviano aiuti passanti per Repubblica Centrafricana, Ciad e la Cirenaica libica. L’esercito regolare è appoggiato da Egitto, Turchia e Iran (droni iraniani sono stati di recenti usati per colpire le RSF), mentre le forze speciali ucraine di tanto in tanto pubblicano video nei quali si vedono loro uomini colpire i mercenari russi che appoggiano le RSF. Nel teatro bellico sudanese, in mezzo a una tragedia umanitaria infinita, si creano strane commistioni. (L.M.) (Agenzia Fides 15/4/2024)

TESTIMONIANZA
SUDAN - nonostante il conflitto i comboniani aprono una clinica per le cure palliative
Nel Paese devastato da quasi un anno di guerra civile prosegue l’attività umanitaria della Chiesa cattolica. A Port Sudan il collegio comboniano ha aperto un luogo di cura per i malati terminali, un missionario: “Aiutiamo chi è ‘scartato’ dalla guerra”. La notte di Pasqua battezzati 16 nuovi cristiani

“La guerra continua a generare morte. Ma la guerra non può estinguere la Vita”. Con queste parole missionari comboniani ancora presenti in Sudan descrivono lo spirito con cui è stata vissuta la Pasqua nel Paese africano devastato dalla guerra civile tra fazioni dell’esercito, di cui tra pochi giorni ricorrerà il primo anniversario.

Prosegue il conflitto
Il conflitto scoppiato ad aprile del 2023 ha provocato finora almeno 15 mila morti e 9 milioni tra sfollati interni e profughi fuggiti nei Paesi limitrofi della regione. Il Darfur e la capitale Khartum sono le aree più interessate dai combattimenti tra l’esercito comandato da generale Abdel Fattah al-Burhan e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo. Per questo motivo, milioni di sfollati si sono recati a Port Sudan, sul Mar Rosso, seguiti anche dai missionari del Collegio Comboniano di Khartum che ora offrono aiuto a chi ha perso tutto e vive solo grazie al supporto umanitario.

La clinica per i malati terminali
In questi giorni i comboniani hanno inaugurato la prima clinica del Paese, interamente diretta e gestita da infermieri e specializzata anche in cure palliative. La piattaforma coordina il lavoro dei volontari della comunità comboniana che accompagnano i malati terminali e cronici nella periferia di Port Sudan. Inoltre il dipartimento infermieristico del Collegio continua a formare il personale medico locale nelle cure palliative. La speranza arriva anche dal Battesimo di 16 nuovi cristiani a Port Sudan nella veglia pasquale. E sempre durante la veglia pasquale, ma a Kosti, sono stati confermati 34 adulti.

Comboniani: accogliamo gli scartati
“A Port Sudan abbiamo aperto un ufficio da dove gestiamo i corsi universitari on line per gli studenti sfollati e in collaborazione con una Ong dell’Ospedale San Raffaele di Milano abbiamo aperto una clinica specializzata nella cure palliative, aiutiamo le tante vittime ‘scartate’ della guerra, perché le altre strutture danno priorità alle persone salvabili”, racconta a Vatican News un missionario comboniano che parla in anonimato per motivi di sicurezza.
(Marco Guerra – Città del Vaticano RV 03 aprile 2024)

SUD SUDAN - “Situazione disastrosa; il Sud Sudan necessita di un intervento urgente”: appello del Vescovo di Tombura Yambio

Fame, inondazioni, siccità e crescente insicurezza, un’economia fragile e prossima al collasso. Sono questi i fattori che stanno creando fortissime sofferenze alla popolazione del Sud Sudan, afferma Eduardo Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura Yambio.
“Il nostro popolo continua a subire gli effetti delle complesse emergenze che ancora si verificano in molte parti del Paese, comprese quelle zone che prima erano pacifiche” afferma Mons, Kussala in una dichiarazione. “Di conseguenza, il numero di sfollati interni che vivono in condizioni deplorevoli e muoiono di fame è aumentato enormemente in tutto il Paese, e i più colpiti sono donne, bambini, anziani e persone con disabilità”, sottolinea Mons. Kussala.
“Coloro che vivono ancora nelle loro fattorie si trovano ad affrontare la fame poiché la maggior parte di loro ha dovuto, ironicamente, abbandonare le proprie fonti di sostentamento nel tentativo di salvare la propria vita. La maggior parte dei bambini in età scolare ha dovuto abbandonarla a causa dell’insicurezza e della paura di essere reclutati con la forza per prestare servizio come soldati nei conflitti” continua Mons. Kussala.
“Non si tratta più del Paese e della sua leadership, ma del popolo del Sud Sudan che sta lentamente morendo. Se non sarà protetto da queste calamità, temiamo che la nostra gente non sopravvivrà, soprattutto perché la maggioranza della popolazione (64%) è costituita da giovani indifesi che non hanno alcuna fonte di reddito, mentre la maggior parte del restante (36%) sono anziani. La situazione è disastrosa e necessita quindi di un intervento urgente” conclude.
Nel suo ultimo rapporto presentato il 1° marzo la Commissione ONU per i diritti umani in Sud Sudan ha affermato che violenze, e impunità radicata continuano a rovinare la vita di una popolazione estremamente vulnerabile, avvertendo che la già terribile situazione umanitaria nel Paese peggiorerà ulteriormente. Le elezioni previste a dicembre, le prime dall’indipendenza dal Sudan nel 2011, dovrebbero rappresentare una pietra miliare negli sforzi volti a garantire una pace duratura dopo la fine della guerra civile scoppiata dal 2013, uccidendo circa 400.000 persone. Nel 2018 è stato raggiunto un accordo di pace, ma l’attuazione è stata lenta e la violenza persiste in alcune parti del Paese. (L.M.) (Agenzia Fides 15/3/2024)

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