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2024 07 10 Medio Oriente. «Colpita la parrocchia di Gaza»

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CulturaCattolica.it ©
INDIA - Rajasthan e Madhya Pradesh: cristiani ancora nel mirino
TESTIMONIANZA ETIOPIA: la voce dell’eparca di Adigrat e “Se volete aiutarci, formate i nostri giovani perché possano lavorare” dice il Cardinale Souraphiel

Medio Oriente. «Colpita la parrocchia di Gaza»
Di nuovo nel mirino dei combattimenti la parrocchia di Gaza, dal 7 ottobre divenuta un centro di raccolta ed assistenza per la piccola comunità cristiana all’interno della Striscia.

La scuola della parrocchia della Sacra Famiglia è «stata colpita da un bombardamento che ha causato serie distruzioni nella struttura e feriti tra i civili». Lo denuncia un comunicato di Caritas Gerusalemme. L’intero compound, come noto, «è diventato un luogo di rifugio per centinaia di civili le cui case sono state distrutte», afferma sempre Caritas Gerusalemme. «Non c’è porto sicuro per queste famiglie di sfollati fra bombardamenti e sparatorie indiscriminate, che proseguono senza nessun riguardo per luoghi di lavoro, gli ospedali o le scuole» prosegue la denuncia di Caritas Gerusaleme.

Il patriarcato di Gerusalemme, fa saper che «sta monitorando, con grave preoccupazione, le notizie dei raid, apparentemente lanciati dall’esercito israeliano contro la scuola della Sacra famiglia a Gaza». Testimonianze oculari, foto e filmati, attestano distruzione e ferimenti fra i civili. Il patriarcato latino «condanna nel modo più forte il prendere di mira i civili od ogni azione di combattimento che non sia in grado di assicurare che i civili rimangano al di fuori dai teatri di combattimento». Nessuna conferma è giunta dall’esercito israeliano.

Un episodio che ha riportato alla mente il tragico episodio dello scorso 15 dicembre, quando un cecchino dell’esercito israeliano sparò a dei cristiani che stavano uscendo dal compound della parrocchia. Hahida Khalil Anton e Samir Kamal, madre e figlia, furono «uccise a colpi di arma da fuoco mentre si dirigevano al convento delle suore. L’una è stata uccisa mentre cercava di portare in salvo l’altra» come ha ricostruito un comunicato dello stesso patriarcato. Altre sette persone, in quell’episodio, furono colpite e ferite.(…)
(Avvenire Luca Geronico lunedì 8 luglio 2024)

Gaza, padre Romanelli: morti e feriti nell’attacco alla scuola cattolica
Il parroco della parrocchia latina della Sacra famiglia nella Striscia esprime sgomento dopo il raid di ieri alla Sacred Family School: “La struttura adibita all’accoglienza di molti rifugiati. Difficile dire quante persone erano presenti al momento dei bombardamenti”.

La dinamica esatta è ancora incerta, il dolore è grande: “La scuola è stata colpita per ben due volte, diversi sono stati i morti e molti i feriti”. Padre Gabriel Romanelli soffre quando racconta ai media vaticani del raid di ieri alla Sacred Family School di Gaza, uno degli istituti cattolici più importanti della zona, che si trova nel quartiere di Rimal, a pochi chilometri dalla Sacra Famiglia, la parrocchia latina della città palestinese della quale è parroco e della quale condivide angosce e speranze.

Struttura di accoglienza
L’attacco - “apparentemente compiuto dall’esercito israeliano”, come sottolineato da un comunicato del Patriarcato Latino di Gerusalemme che esprime anche ferma condanna verso tutti gli atti di guerra che coinvolgono civili e con il quale si chiede di pregare per il raggiungimento di un accordo - si è abbattuto su una struttura che, afferma padre Romanelli, “da quando è cominciato il conflitto ha iniziato ad ospitare migliaia di rifugiati che non hanno più nulla, prima di tutto una casa dove poter abitare”.

Sgomberato un ospedale
Non è facile capire quante persone ci fossero nella scuola al momento esatto dei bombardamenti, forse è quasi impossibile. “Il numero delle persone ospitate in quella struttura, nel tempo, è variato costantemente. All’inizio, ce n’erano più di un migliaio ma poi sono state cacciate: successivamente, però, sono ritornate in 700 perché non sapevano dove andare visto che a Gaza e quasi tutto distrutto”, spiega il religioso. Una delle grandi difficoltà, aggiunge, sono gli spostamenti: “Non possiamo farlo con facilità. Muoversi da un quartiere all’altro è molto complicato, si può fare solo per comprovate necessità come portare qualcuno all’ospedale, che ieri è stato anche sgomberato”.

Relativa tranquillità
I fedeli laici, i religiosi, le religiose, i bambini accuditi dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, i feriti e gli sfollati che sono ospitati nella parrocchia latina che si trova nel quartiere popolare di Zeitoun stanno vivendo con relativa tranquillità. “In tutto siamo circa in 500 - afferma il parroco - e grazie alla generosità del Patriarcato Latino di Gerusalemme, del Papa e della Santa Sede possiamo contare su cibo abbastanza sufficiente a tal punto che abbiamo potuto aiutare 1.200 famiglie, cosa che ci ha permesso di consolidare il rapporto reciproco di fraternità e vicinanza”. Quello che però scarseggia, ammette, sono alcuni medicinali e il gasolio: “Per noi il carburante è essenziale perché ci serve per pompare l’acqua fuori dai pozzi e produrre un po’ di elettricità per l’illuminazione o ricaricare le batterie”.

Ancora molta paura
Tuttavia, la situazione rimane incandescente. Padre Romanelli lo fa capire raccontando un altro avvenimento che ieri si è consumato a poca distanza dalla sua parrocchia: “L’esercito ha chiesto di sgomberare cinque quartieri che si trovano a nord della Sacra Famiglia, in pratica a 100 metri da noi”. Subito dopo la richiesta dello sgombero sono arrivate le bombe: “Abbiamo sentito forti esplosioni - riferisce - e molte schegge hanno raggiunto anche la nostra zona. È chiaro che la paura è sempre molta”.

Fede e speranza
Un’altra cosa che non manca nella parrocchia della Sacra Famiglia è la fede profonda mista alla speranza, anche se alcune attività pastorali da dieci giorni sono state sospese a causa degli accresciuti raid nei quartieri limitrofi. È vero, la fede è il cuore del nostro compound. Noi sappiamo che Gesù è qui a Gaza. Siamo consapevoli che si trova nel Tabernacolo e questo ci porta molto conforto nonostante la grave situazione che stiamo vivendo”, conclude il parroco.
(RV Federico Piana - Città del Vaticano 9 Luglio 2024)

INDIA - Rajasthan e Madhya Pradesh: cristiani ancora nel mirino
Una comunità evangelica che pregava in una casa privata malmenata e sottoposta a fermi dopo che gli estremisti indù li avevano accusati di “conversioni forzate”. Nel distretto di Jabalpur un’indagine sui prezzi dei libri gonfiati da un editore manda in carcere solo i dirigenti delle più rinomate scuole cristiane, tra cui un vescovo protestante e un sacerdote cattolico.

Ancora comunità e scuole cristiane prese di mira da azioni giudiziarie istigate dai fondamentalisti indù. Il 5 luglio a Bharatpur, nello Stato del Rajasthan, oltre 20 persone che stavano partecipando in una casa privata a un incontro di preghiera promosso da una comunità evangelica sono state arrestate con l’accusa di conversioni forzate. Alcuni membri della comunità, tra cui alcune donne, sono stati anche aggrediti da una folla di sostenitori dell’Hindutva (l’ideologia dei nazionalisti indù) guidata da Rajesh Singhal, un leader locale del Vishwa Hindu Parishad (VHP). I fanatici hanno lanciato al gruppo l’accusa di praticare conversioni forzate.

Dopo aver ricevuto informazioni sui disordini e sulle conversioni religiose, una squadra della polizia di Mathuragate ha raggiunto il luogo e ha arrestato 28 persone, tra cui 20 donne. Il vice sovrintendente della polizia locale ha dichiarato che sono in corso le indagini e che le persone sono state “trattenute per essere interrogate”.

Nel frattempo al parlamento federale di Delhi un deputato cristiano - Jose K Mani - ha sollevato davanti al ministro per la tutela delle minoranze ha sollevato il caso di un vescovo protestante e dei presidi e dirigenti di cinque scuole cristiane tra cui un sacerdote cattolico che dal 27 maggio si trovano in carcere nello Stato del Madhya Pradesh perché accusati di aver fatto pagare “spese esorbitanti” per gli studenti delle loro scuole. L’area è sempre quella di Jabalpur dove l’anno scorso anche il vescovo mons. Gerald Almeida era finito nel mirino di una durissima campagna lanciata contro le scuole promosse dai cristiani dalla Commissione per la protezione dei diritti dell’infanzia (controllata dai nazionalisti indù). Il vescovo protestante arrestato è il rev. Ajay Umesh Kumar James della Chiesa dell’India del Nord (CNI), mentre il sacerdote è p. Abraham Thazhathedathu, proprio delle diocesi di Jabalpur. Tra le 22 persone in carcere ci sono anche una direttrice e altro personale di due scuole cattoliche locali.

L’accusa è di essere stati conniventi con un editore che avrebbe applicato prezzi esorbitanti per i libri. L’azione della polizia è stata limitata, però, a sole 11 scuole, sette delle quali rinomate e gestite da cristiani. Nel distretto le scuole private registrate sono 1.037.

“La nostra gente è stata arrestata e imprigionata come criminali incalliti”, ha lamentato p. Davis George, vicario generale di Jabalpur, interpellato dal sito cattolico MattersIndia. “Anche se ci fossero state differenze nelle tariffe o errori nel registro dei conti, il funzionario interessato avrebbe dovuto notificarci un avviso e chiedere spiegazioni invece di metterli in prigione. Questo tipo di azione è una presa in giro della democrazia. Abbiamo già presentato domanda di libertà provvisoria per i nostri collaboratori all’Alta Corte, ma l’udienza sta subendo ritardi”. I cristiani sono meno dell’1% dei 72 milioni di abitanti del Madhya Pradesh, Stato a stragrande maggioranza indù.
Jaipur (AsiaNews) – di Nirmala Carvalho 08/07/2024

TESTIMONIANZA ETIOPIA

ETIOPIA - “Resilienza è la migliore definizione per descrivere le persone nel Tigray”: la voce dell’eparca di Adigrat

“Guarigione dai traumi della guerra, ripresa a livello umano e fisico, costruzione della pace, sono i punti salienti sui quali ci stiamo concentrando per fare fronte alla devastazione e alle violenze che la popolazione del Tigray continua a subire a seguito del conflitto fra il governo regionale e il governo federale etiope”. In una conversazione con l’Agenzia Fides il vescovo dell’eparchia cattolica di Adigrat, Tesfaselassie Medhin, ha espresso la profonda sofferenza che vive in prima persona in questa che era un tempo terra rigogliosa, rinomata per le sue chiese millenarie tra le rocce a 3000 metri, i paesaggi mozzafiato e le tradizioni ospitali.

“La popolazione resiste tenacemente alla sofferenza più inaudita, alle umiliazioni, alle crudeltà e a tutte le limitazioni di questi lunghi anni – prosegue l’eparca. Resilienza è la migliore definizione per descrivere questo meraviglioso popolo che continua ad avere grande rispetto e gratitudine verso la Chiesa locale per l’impegno ei loro confronti”.

Dall’autunno del 2020 il Tigray, regione dell’Etiopia confinante con l’Eritrea e nelle aree limitrofe di Afar e Amhara, si è trasformato in un campo di battaglia tra i combattenti tigrini dell’esercito federale etiope e i suoi alleati, in particolare le forze eritree.

Secondo i dati del rapporto ufficiale del Tigray Bureau of Education, prima dello scoppio della guerra, c’erano 2.221 scuole primarie e 271 secondarie/superiori, oltre un milione di studenti e il 90,92% di iscritti. Tra le scuole vanno incluse le 53 istituzioni educative della diocesi di Adigrat, dalla scuola materna fino ai college, con oltre 16 mila studenti e 1.115 insegnanti e personale di supporto.

Attualmente l’88,27% delle scuole, comprese 4 università, sono danneggiate o totalmente distrutte. Come pure libri di testo, computer, televisori, attrezzature di laboratorio, banchi, lavagne e materiali di supporto scolastico. Oltre duemila tra studenti, insegnanti e personale sono stati uccisi e molti altri sono rimasti feriti e sfollati. Un milione di studenti sono rimasti senza scuola per anni interi. Nei restanti distretti del Tigray oltre 500 scuole sono ancora chiuse e centinaia di migliaia di studenti sono senza istruzione da quattro anni, comprese 10 scuole della diocesi di Adigrat.

“A causa della guerra, 36 delle 53 istituzioni educative cattoliche sono state saccheggiate o danneggiate e tra i problemi da risolvere potrebbero esserci possibili implicazioni legali in caso di mancato pagamento del personale scolastico per il periodo settembre 2021 – agosto 2022 - precisa il vescovo Medhin. Tra gli edifici scolastici chiusi, alcuni nelle aree urbane sono stati trasformati in campi per sfollati interni. L’80% delle strutture sanitarie nella regione sono state distrutte, ma ora vengono lentamente riattivate. Ad esempio, i 4 centri sanitari cattolici e 1 ospedale di Adwa hanno continuato a funzionare nonostante gli ingenti danni. Durante i primi 7/8 mesi di guerra il Kidanemehret Hospital di Adwa ha registrato una media di oltre 3000 parti, tra i quali 500 cesarei. Ad Adigrat abbiamo un centro servizi, ‘casa sicura’, per le donne che hanno subito violenze. Ufficialmente sarebbero 125mila ma sappiamo che tante non si avvicinano perché hanno vergogna. L’insicurezza delle strade è ancora molto elevata e sono stati ripristinati sette voli dalla capitale a Mekelle per portare rifornimenti. Sono molto costosi e quindi non sempre accessibili alla maggior parte delle persone. Attualmente ci sono oltre un milione di sfollati interni che vivono senza infrastrutture adeguate e ben più di un milione di morti in quattro anni.”

A inizio novembre 2022 a Pretoria, Sudafrica, con la mediazione di un gruppo di alto livello dell’Unione Africana composto tra gli altri dall’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, l’ex presidente kenyano Uhuru Kenyatta e l’ex vicepresidente sudafricano Pumzile Mlambo-Ngcuka, era stato firmato un accordo con i ribelli tigrini che aveva posto fine al conflitto tra Addis Abeba e Mekelle, tuttavia il processo di ricostruzione e ripristino dell’ordine è ancora in corso, e molte sfide devono essere affrontate.

Il Trattato di Pretoria prevedeva disposizioni volte a ripristinare il diritto e l’ordine sociale, garantire la ripresa dei servizi di base, il libero accesso alle forniture umanitarie e, più specificamente per l’intera regione e l’Etiopia, garantire la sicurezza affinché la popolazione potesse muoversi liberamente e vivere in pace.

“Se l’attuazione del Trattato di Pretoria non va, oltre un milione di sfollati interni continueranno a vivere nelle attuali condizioni nei campi, molte persone se ne andranno, centinaia di migliaia di giovani lasceranno il paese in cerca di una vita dignitosa. Qui in Tigray la ripresa è lenta e molto difficile tra traumi, abusi e violenze di ogni tipo” conclude mons. Medhin.
L’eparchia di Adigrat si estende su 132mila kmq, conta sulla presenza di 71 sacerdoti, tra i quali 65 attivi, 102 missionari religiosi provenienti da diverse congregazioni.
(di Antonella Prenna Agenzia Fides 8/7/2024)

ETIOPIA - “Se volete aiutarci, formate i nostri giovani perché possano lavorare” dice il Cardinale Souraphiel

“In Etiopia vi sono diversi conflitti ma non dobbiamo mai perdere la speranza” dice il cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel, Arcivescovo metropolita di Addis Abeba, che ha concesso un’intervista all’Agenzia Fides.

Eminenza, in Etiopia vi sono in corsi diversi conflitti interni. Quali sono le conseguenze sulla popolazione?

L’Etiopia deve far fronte a diversi conflitti che provocano grandi sofferenze alle popolazioni coinvolte. Due anni fa abbiamo avuto la guerra del Tigrai ora conclusa con un trattato di pace firmata a Pretoria, in Sudafrica. Ma c’è una guerra che continua da quattro anni della regione di Oromia, nella parte sud-orientale del Paese, dove tra gli Oromo tante persone sono state uccise e tante altre costrette a sfollare, specialmente le popolazioni di origine Amhara che vivono in Oromia che sono state obbligate a fuggire. Questo conflitto è ancora in atto ma il governo federale etiopica e l’Oromo Liberation Army hanno avviato colloqui in Tanzania. Si sono incontrati due volte ma finora non sono riusciti a trovare un accordo.
Le necessità umanitarie in Oromia sono molto severe sia per gli sfollati sia per coloro che sono rimasti ma che subiscono le conseguenze di quattro anni di guerra. Lo stesso sta accadendo nell’ultimo anno e mezzo nella regione Amhara dove sono scoppiati combattimenti tra il governo federale e i Fano (milizia Amhara, ndr.). Speriamo che trovino un Paese mediatore dove possano parlare e così far cessare la guerra. Vi sono infine conflitti locali qua e là in altre parti del Paese, ma i principali sono quelli in Tigrai, Amhara, Afar e Oromia.
La Chiesa cattolica attraverso la rete della Caritas Internationalis cerca di aiutare il maggior numero di persone possibile. Come sapete, la Chiesa cattolica è una piccola realtà in Etiopia, ma cerca di raggiungere il maggiore numero di sfollati e di persone che vivono nei teatri di guerra per offrire loro aiuto.
(…)

Quali sono le speranze per l’Etiopia?

La speranza c’è sempre. L’Etiopia è un Paese cristiano molto antico nella quale la maggioranza della popolazione è cristiana. L’Etiopia come Paese non è nato 50 anni fa, ha una storia di almeno tremila anni, fatta di convivenza pacifica tra le religioni. Ebrei, cristiani e musulmani hanno vissuto pacificamente per secoli e vogliamo continuare a farlo. Dall’altro canto vi sono diversi fattori che creano divisioni. Uno di questi è il federalismo etnico. Il federalismo è un buon sistema ma riteniamo che non debba essere basato sull’etnia o sulla lingua. Dal punto di vista geopolitico l’Etiopia è un Paese importante. Al momento abbiamo 120 milioni di abitanti; in Africa, dopo la Nigeria, il Paese con la popolazione più numerosa è l’Etiopia. Il 70 percento della popolazione sono giovani che amano il loro Paese ma a causa della povertà e dei conflitti sono costretti a migrare. Molti vanno in Medio Oriente e in Sudafrica, alcuni di loro in Libia per poi cercare di raggiungere l’Europa. Come Chiesa cattolica riteniamo che questa non sia la soluzione. Occorre formare i giovani alle professioni nel proprio Paese, così se anche dovessero andare all’estero verrebbero pagati bene e rispettati. Chiediamo di aiutarci a formare i nostri giovani. L’intero Corno d’Africa ha bisogno di persone con competenze professionali.
(L.M.) (Agenzia Fides 5/7/2024)

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