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La nostra risposta

Autore:
Graziola, Matteo – Mangiarotti, Gabriele
Fonte:
CulturaCattolica.it

Dopo la lettera aperta “Noi non possiamo tacere” a don Julián Carrón sulla questione della presenza di CL nella società, abbiamo ricevuto alcune lettere e sono state pubblicate alcune prese di posizione. Anzitutto desideriamo ringraziare tutti coloro che hanno preso sul serio il nostro appello e lo hanno inteso correttamente: noi apparteniamo alla ‘base’ del Movimento e quel poco che possiamo fare vorremmo farlo solo per aiutare la nostra grande compagnia e coloro che la guidano, nonché tutti coloro che la avvicinano in questi tempi molto difficili per la società e per il mondo cattolico. Quando una famiglia è in difficoltà l’ultima cosa che devono fare i suoi figli è quella di andarsene o di disprezzarla: se CL sta passando un momento di travaglio occorre che tutti noi stiamo uniti in essa e facciamo tutto quello che possiamo perché questa circostanza sia una occasione di crescita per tutti.
Non va dimenticato che questo travaglio non toglie nulla alla grandezza della realtà di CL e del suo carisma, che è stato voluto dallo Spirito Santo, come la Chiesa ha esplicitamente riconosciuto. Chi ha conosciuto il Movimento ha potuto rendersi conto di cosa significhi essere fratelli e sorelle nella fede, vale a dire essere più uniti di quanto non lo siano i fratelli e le sorelle di sangue o i militanti di qualsiasi partito o gruppo sociale. Non si può descrivere a parole ciò che accade quando si riconosce di appartenere insieme a Cristo, totalmente e senza riserve: si viene coinvolti in una compagnia incredibile con Lui e con i suoi amici, per cui tutto nella vita (scuola, università, lavoro, famiglia, società, sport, salute, etc) viene affrontato a partire dall'unità con Lui. CL non ha perso nulla di questa impressionante esperienza. Il travaglio di cui stiamo parlando è solo una circostanza in cui questa realtà è chiamata ad essere sempre di più se stessa. Perciò supplichiamo lo Spirito Santo perché ci dia un amore sempre più grande per questo grande tesoro che Egli stesso ci ha dato, che è il Movimento e la sua unità con chi lo guida e con la Chiesa intera.

Ringraziamo in particolare Andrea Gianni e padre Romano Scalfi che hanno pubblicato due interventi molto interessanti, e riteniamo che questo sia il metodo che deve sempre valere nella nostra compagnia. L’unità a cui tutti teniamo deve essere rispettosa delle posizioni su cui ci si confronta e capace di dare le ragioni, con quella parresìa (coraggio, franchezza) che il Papa auspicava per i Padri del recente Sinodo sulla Famiglia. Una bella 'schiettezza lombarda' non mette in discussione l'unità e l'obbedienza, ma le rafforza in modo virile e le libera da servilismi, paure, clericalismi, ipocrisie e via dicendo. Ci ha molto colpito quanto nel libro di Marta Busani (Gioventù Studentesca… p. 249, n. 139) veniva così riportato: «Giussani invitava gli studenti a correggere iI propri errori attraverso un impegno intelligente con le iniziative proposte dalla comunità e la sequela intelligente dell’autorità. Il sacerdote, in tale occasione, rimproverava i ragazzi per il loro modo errato di concepire l’obbedienza, che regalava agli osservatori di GS, spunti per dire: sono pecoroni. Una vera obbedienza comportava che i ragazzi non subissero le decisioni dei loro educatori, ma che invece chiedessero loro le ragioni delle cose che venivano proposte in GS». Ringraziamo anche don Carrón per le lezioni svolte nel corso degli esercizi della Fraternità, nonché per la bellezza di questo grande gesto, curato nei suoi minimi particolari perché dia testimonianza a tutti della perfezione della verità.

Con questo nuovo comunicato desideriamo riprendere alcune cose di quanto è stato detto in questi interventi. Sia l’intervento di Andrea Gianni che quello di padre Romano Scalfi esprimono una preoccupazione per l’unità e per l’obbedienza nel Movimento che condividiamo pienamente. Se ci deve essere un dialogo e un dibattito tra di noi, deve essere in funzione dell’unità e dell’obbedienza a chi guida. Le critiche che abbiamo espresso alla posizione che il Movimento ha assunto sulla questione sociale vogliono essere in questa prospettiva: affermando che c’è un problema o un equivoco da chiarire in questa sua posizione, non intendiamo minimamente screditare l’autorevolezza di di chi lo guida, perché è del tutto ovvio che ciascuno di noi abbia bisogno di essere corretto senza per questo essere considerato indegno o dimissionario. Il Papa ha più volte dichiarato che le critiche gli fanno bene e lo aiutano a vedere ciò che talvolta non gli è possibile vedere; crediamo che anche don Carrón la pensi così e che conosca molto meglio di noi l’utilità e la provvidenzialità della correzione fraterna.
Se qualche nostra espressione ha dato l’impressione di andare in un’altra direzione, ci scusiamo appassionatamente con tutti e siamo pronti a correggerla immediatamente. Se cioè qualcuno si è sentito motivato dalla nostra lettera a incrinare l’unità col Movimento o con don Carrón, ne siamo profondamente addolorati e vorremmo dire a costui che non è assolutamente questo il senso o lo scopo del nostro intervento.
Ciò che crediamo sia necessario dire, per il bene di tutti e anche di don Julián, è fondamentalmente una sola cosa, che vorremmo cercare ora di esprimere in modo più essenziale.

La questione infatti riguarda un aspetto vitale della nostra esperienza, per cui se esso viene male inteso e vissuto per ciò stesso tutta la nostra compagnia viene ferita nel suo dinamismo ed entra in una specie di immobilità che rallenta o arresta il cammino. Ci riferiamo a quella ‘baldanza’ di presenza nell’ambiente che ha sempre caratterizzato l’esperienza di CL: una baldanza che nasceva dall’impeto di comunicare al mondo la verità incontrata. Questo impeto può tradursi in azioni imprecise e talvolta sbagliate, ma non è lecito spegnerlo per evitare questi eventuali errori applicativi. Come per un padre e una madre: possono sbagliare alcuni gesti educativi, ma non possono per questo ritrarsi dal loro compito di educare i figli, cioè dal ‘rischio educativo’.
Oggi siamo di fronte ad una società estremamente bisognosa dell’intervento generoso e appassionato dei cristiani. Sono crollate le evidenze? Una cosa è certa: sono scomparse le informazioni o meglio gli insegnamenti che permettono di riconoscere queste evidenze. Il problema non è allora quello di rinunciare anche ai pochi insegnamenti rimasti, ma piuttosto quello di dare a tutti la più piena possibile comunicazione della verità. E questa comunicazione, come giustamente dice don Carrón, passa attraverso la testimonianza di una vita nuova, e, come cerchiamo di aggiungere noi, richiede anche un annuncio aperto e chiaro degli insegnamenti di questa verità.

E’ in fin dei conti il problema dell’evangelizzazione. Niente di più e niente di meno. Perché è quello che ha fatto Cristo stesso: Egli non solo faceva guarigioni e si rendeva incontrabile dalla gente, ma insegnava continuamente. E non solo agli Apostoli, ma ancor più nelle piazze (cfr Lc 13,26), nelle sinagoghe, nel Tempio, nei paesi giudaici e in quelli semipagani, nelle città e nella capitale locale, davanti al popolo e davanti agli scribi, ai farisei e ai sacerdoti, nelle case dei capi del popolo e persino davanti a Pilato, parlando e gridando e arrivando anche a rovesciare i banchi. Non si stancava mai di insegnare, ai singoli e alle comunità: “percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando … annunciando … guarendo” (Mt 9,35). Insegnava le verità su Dio e sull’uomo, indicando continuamente ciò che è bene e ciò che è male. Insegnava l'ontologia e insegnava anche la morale, insistendo sui comandamenti fondamentali. Insegnava con autorità.
Se è vero che non ha intrapreso azioni sociopolitiche contro la schiavitù, è altrettanto vero che nei suoi insegnamenti ha tuonato continuamente e pubblicamente sulla necessità di rispettare la persona umana, di non farle alcun male, di amarla, di soccorrerla, di aiutarla in tutto e per tutto, di non commettere alcuna iniquità nei suoi confronti, e via dicendo: in questo modo non solo ha posto e insegnato i principi che automaticamente dovevano rendere inaccettabile la schiavitù e abrogarla non appena le circostanze lo avessero permesso, ma ha tolto da subito ad essa il suo vero veleno, che era quello della violenza e dell’oppressione, perché per il resto era una forma transeunte di organizzazione sociale. Non aveva la possibilità di modificare le leggi civili del tempo, ma ha insegnato a tutti, potenti compresi, i principi basilari, le verità decisive e gli imperativi morali che dovevano e devono determinare le leggi. Ha denunciato l'iniquità sistematicamente e ha sollecitato tutti ad agire immediatamente perché non fosse seguita o proclamata o istituita.

Gesù non solo insegnava direttamente, ma anche ha mandato subito gli Apostoli ad insegnare. E dopo la sua Resurrezione ha dato a loro il mandato di andare a tutti i popoli “insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28). Non è certamente un caso che un istante dopo aver ricevuto il dono dello Spirito nella Pentecoste essi si sono riversati sulla piazza per insegnare a tutti e in tutte le lingue. Essi hanno poi eseguito il comando missionario di Cristo insegnando le verità della fede in tutte le maggiori città dell’Impero Romano, andando nelle piazze, nei teatri e in tutti i luoghi pubblici, giungendo rapidamente fino a Roma e in tutta l’Europa. Nuove ondate missionarie si sono susseguite nella storia, le quali hanno portato la Chiesa con i suoi insegnamenti in America, in Africa nera e in Asia. Fino alla grande figura missionaria di San Giovanni Paolo II, uno dei pontefici più longevi e instancabili nell’opera dell’evangelizzazione di ogni angolo del mondo e di ogni ambito della vita umana.
L’opera intrapresa da don Giussani si inserisce pienamente in questo dinamismo del Vangelo. Egli ha sentito l’urgenza non solo di far fare esperienza dell’incontro con Cristo alle giovani generazioni degli ultimi decenni, ma anche di far intervenire continuamente tutte le nuove comunità nei loro ambienti per comunicare un giudizio nuovo sulla realtà a partire dal paragone con Cristo e con i suoi insegnamenti. Fino all’avvento di Papa Francesco e del suo proverbiale invito “uscite!”.

Ecco, questo è l’impeto che ci è chiesto di recuperare. La questione sociale si inserisce esattamente su questo punto. Essa non è altro che una delle grandi occasioni in cui dobbiamo comunicare il giudizio sulla realtà che nasce dalla fede. Non un giudizio inventato da noi, ma in conformità con l’insegnamento sociale della Chiesa. In particolare riteniamo che la riflessione sulla Dottrina sociale della Chiesa sia un compito urgente per tutti noi. La sua natura non è quella di illuderci che attraverso le leggi si possa realizzare la moralità (è una illusione che non abbiamo mai coltivato, e riteniamo che se di questo siamo accusati ciò sia frutto di lettura superficiale o preconcetta delle nostre affermazioni). Come esprime con chiarezza il Compendio della Dottrina sociale Cristiana: «38 La salvezza che, per iniziativa di Dio Padre, è offerta in Gesù Cristo ed è attualizzata e diffusa per opera dello Spirito Santo, è salvezza per tutti gli uomini e di tutto l'uomo: è salvezza universale ed integrale. Riguarda la persona umana in ogni sua dimensione: personale e sociale, spirituale e corporea, storica e trascendente. Essa comincia a realizzarsi già nella storia, perché ciò che è creato è buono e voluto da Dio e perché il Figlio di Dio si è fatto uno di noi. Il suo compimento, però, è nel futuro che Dio ci riserva… La conformazione a Cristo e la contemplazione del Suo Volto infondono nel cristiano un insopprimibile anelito ad anticipare in questo mondo, nell'ambito delle relazioni umane, ciò che sarà realtà nel definitivo, adoperandosi per dar da mangiare, da bere, da vestire, una casa, la cura, l'accoglienza e la compagnia al Signore che bussa alla porta (cfr. Mt 25, 35-37)».

Siamo di fronte allo sterminio legalizzato e finanziato pubblicamente dei nascituri che continua imperterrito da decenni con milioni di morti. Siamo di fronte ad una legge appena approvata sulle cosiddette ‘unioni civili’ che tende a rovesciare completamente l’istituto familiare voluto dal Creatore. Siamo di fronte al tentativo di togliere ai medici e agli infermieri cattolici il diritto di non eseguire l’uccisione dei bambini prima della nascita. Siamo di fronte alla produzione disumana e artificiale dei bambini e alla loro consegna alle coppie gay. Siamo di fronte all’attacco sistematico al concepimento stesso dell’uomo, con la diffusione sempre più massiccia e indisturbata di anti-concezionali e contraccettivi e con una educazione sessuale che sta devastando le coscienze di tutte le giovani generazioni. Siamo di fronte alla diffusione dell’ideologia che nega l’identità maschile o femminile delle persone per poter riformulare la loro stessa natura …
E’ un processo più grande di noi e contro il quale non possiamo fare nulla? E’ nostro dovere lasciar perdere tutto questo per non disturbare il mondo così che poi ci ascolti su altre cose? O non abbiamo piuttosto il dovere di non tacere e di aiutare l’umanità contemporanea a ritrovare la verità e ad uscire dall’incubo in cui è finita?
Ci è caro ricordare sempre queste parole del don Giuss: «Il potere mondano tende a risucchiarci: allora la nostra presenza deve fare la fatica di non lasciarsi invadere, e questo avviene non solo ricordando e visibilizzando l’unità tra noi, ma anche attraverso un contrattacco. Se il nostro non è un contrattacco (e per esserlo deve diventare espressione dell’autocoscienza di sé), se non è un gusto nuovo che muove l’energia di libertà, se non è un’azione culturale che raggiunge il livello dignitoso della cultura, allora l’attaccamento al movimento è volontaristico, e l’esito è l’intimismo. L’intimismo non è presenza, per l’intensità e la verità che diamo a questa parola. Nelle catacombe si crea un proprio ambito, quando non si può fare assolutamente in modo diverso e si è nel dolore dell’attesa di una manifestazione. La modalità della presenza è resistenza all’apparenza delle cose ed è contrattacco alla mentalità comune, alla teoria dominante e alla ideologia del potere; resistenza e contrattacco non in senso negativo, di opposizione, ma come lavoro. Per indicare e per definire l’esprimersi di una presenza secondo una dignità anche semplicemente umana non esiste che la parola lavoro: cioè portare dentro tutto, su tutto, l’interesse della nostra persona. La forza della nascita del nostro movimento è solo questa e nessuno immagina ora la ricchezza di reazione che qualificava i nostri primi gruppetti di fronte a ogni pagina che si studiava o ad ogni cosa che avveniva»

Cari amici, restiamo tutti fedeli al Movimento, fedeli al carisma di don Giussani e all’unità della compagnia che è nata da esso. Restiamo fedeli a questo tesoro inestimabile che ci è stato consegnato. Restiamo fedeli riconoscendo che noi siamo piccoli nani sulle spalle di giganti. Sapendo che ciò significa anche aiutarci a tenere vivo l’impeto che ha dato vita a tutto questo e lo ha fatto incidere straordinariamente nel mondo. Per questo continuiamo a intervenire, per quello che ci è possibile, chiedendo scusa se siamo pieni di limiti. Per questo soprattutto preghiamo lo Spirito Santo, attraverso la Madonna, credendo che da esso viene il miracolo che, per nostra fortuna, nessun nostro progetto può produrre. E’ questo miracolo che può tenere viva CL e rilanciarla nella missione.

don Gabriele Mangiarotti e don Matteo Graziola

PS: chiediamo a tutte le nostre famiglie di recitare insieme il Rosario ogni sera: sia perché abbiamo bisogno di una compagnia più stretta con la Madonna, sia perché dobbiamo chiedere a Lei la grazia di salvare e rinnovare la nostra compagnia, sia perché solo attorno a Lei le nostre fraternità potranno ritrovare la grandezza di un'unità che resiste ad ogni stanchezza, ostacolo ed attacco.

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