Occorre sviluppare una religione civile cristiana...
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"La Chiesa non vuole imporre agli altri ciò che non comprendono, ma si aspetta, da parte loro, almeno il rispetto per la coscienza di coloro che lasciano guidare la loro ragione dalla fede cristiana.
Dove neanche a questa libertà fosse dato spazio, il cristiano dovrebbe - così dice la Donum vitae - rivendicare il diritto a una resistenza passiva e così offrire una testimonianza di coscienza che, in qualche modo, potrebbe far riflettere e condurre alla formazione di una nuova coscienza. Questa strada sarà tanto meno necessaria quanto più si riuscirà a sviluppare una religione civile cristiana che plasmi di nuovo la nostra coscienza di europei, al di là della separazione tra laici e cattolici, faccia intravedere la ragionevolezza e il valore vincolante dei grandi principi che hanno edificato l’Europa e devono e possono ricostruirla" [Benedetto XVI, Senza Radici, p. 122].
Oggi è egemone una ragione sorda di fronte al divino pur accettando la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura. Accetta che questo sia un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico rifiutando la ricerca del perché, del fondamento che le verrebbe dall'ascolto delle grandi esperienze e convinzioni religiose dell'umanità, specialmente quelle della fede cristiana che costituisce una fonte di conoscenza. L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno e una incapacità di dialogo, di meticciato tra le culture e le religioni, l'islam e i movimenti asiatici in particolare, di cui ha urgente bisogno anche per ragioni economiche, civili e politiche. Una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica offre il coraggio ad aprirsi all'ampiezza della ragione. Questo, però, in tempi lunghi, non facili e dolorosi.
Immediatamente politicamente non è realistico argomentare con una ragione orientata alla fede nella creazione, argomentare tipico della Dottrina sociale della Chiesa che, però, nel sentire odierno medio sicuramente stenta a farsi capire. "I documenti della Chiesa degli ultimi tempi - Benedetto XVI in Senza Radici, p. 121 - sono ben consapevoli di questo contesto. Partono innanzitutto dal fatto che accettazione e successo non possono essere i criteri decisivi per la coscienza in cerca della verità. Ma, d'altra parte, si rendono anche conto che in politica si tratta di ciò che è realizzabile e di avvicinarsi il più possibile a ciò che la coscienza e la ragione hanno riconosciuto come il vero bene per l'individuo e la società. Alla politica appartiene il compromesso. Fin dove si può spingere, con dei compromessi, il politico cristiano nella sua ricerca di un diritto moralmente fondato senza entrare in contraddizione con la sua coscienza?"
Ogni politico cristiano è tale se emerge dall'appartenenza a un concreto vissuto fraterno di comunione ecclesiale nel quale vive e si rapporta. Le statistiche ci dicono che quanto più il soggetto sociale della Chiesa si adatta agli standard della secolarizzazione tanto più perde seguaci e tanto più diventa attraente e quindi anche politicamente influente quando indica un solido punto di riferimento e un chiaro orientamento. Ecco dove "il concetto di religio civilis - idem p. 108 - appare così in una luce ambigua: se esso rappresentasse soltanto un riflesso delle convinzioni della maggioranza, significherebbe poco o niente. Ma se invece deve essere sorgente di forza spirituale, allora bisogna chiedersi dove questa sorgente si alimenta".
Come può l'Italia, oggi, contribuire a far sì che l'Europa arrivi a una religione civile cristiana che vada oltre i confini delle confessioni e rappresenti valori che non sono solo di consolazione per l'individuo ma che possano sostenere la società? E' oggi anche la prima urgenza e possibilità ecumenica. "E' chiaro - idem p. 109 - che essa non può essere costruita da esperti, in quanto nessuna commissione e nessuna riunione, quali che esse siano, possono produrre un ethos mondiale. Qualcosa di vivo non può nascere altrimenti che da una cosa viva. E' qui che vedo l'importanza delle minoranze creative, certo, dal punto di vista numerico, in gran parte dell'Europa i cristiani costituiscono la maggioranza… Ma anche le maggioranze ancora esistenti sono diventate stanche e mancano di fascino. E' per questo che nella Chiesa stessa e per la Chiesa, ma anche e soprattutto oltre la Chiesa e per la società, è così importante che esistano minoranze convinte: uomini che nell'incontro con Cristo abbiano trovato la perla preziosa (Mt 13,45), che dà valore a tutta la vita, facendo sì che gli imperativi cristiani non siano più zavorre che immobilizzano l'uomo, ma piuttosto ali che lo portano in alto".
Un modello di vita convincente diventa anche apertura verso una conoscenza che nel grigiore del quotidiano non può emergere. Una tale scelta di vita, con l'andare del tempo, fa emergere sempre più la sua razionalità, apre e guarisce la ragione divenuta stanca e pigra. Simili minoranze creative non hanno nulla di settario ma, attraverso la loro capacità di convincere e la loro gioia offrono ad altri un diverso modo di vedere le cose e raggiungono tutti.
Al Convegno ecclesiale di Verona c'è una insistenza a far sì che associazioni e movimenti diventino più omogenei. Può essere rischioso per la creatività. Il meglio è sempre l'unità nella diversità.
"Una religios civilis che realmente abbia la forza morale di sostenere tutti presuppone delle minoranze convinte che hanno trovato la "perla" - idem p. 110 - e che vivono in modo convincente anche per gli altri. Senza queste forze sorgive non si costruisce niente". E su questa tensione civile unitaria oggi l'ecumenismo europeo, italiano può maturare una forza persuasiva che agisce oltre l'ambito confessionale fino a raggiungere tutti. E quando ci si ritrova sui valori non negoziabili a livello civile (non certo nella propria identità confessionale) occorre relativizzare non solo le varie confessioni cristiane, ma anche la distinzione tra cattolici e laici. Si tratta di laici che non si sentono in grado di fare il passo della fede ecclesiale con tutto ciò che tale passo comporta; ma sono uomini che cercano appassionatamente la verità, che riprendono i contenuti essenziali della cultura cristiana, spesso, rendendoli con il loro impegno laico, ancora più luminosi di quanto possa fare una fede scontata, accettata più per abitudine che per conoscenza sofferta. E questo - se Dio vuole - potrebbe formare una religione civile cristiana che non sia una costruzione artificiale di ciò che è presumibilmente ragionevole per tutti, una viva partecipazione alla grande tradizione spirituale del cristianesimo, nella quale questi valori vengono resi presenti e condotti a nuova forza vitale.
Queste minoranze creative di laici, all'interno delle varie confessioni cristiane, ma anche all'interno delle Chiese particolari cattoliche (diocesi e parrocchie) evidentemente "non possono stare in piedi da sé - idem p. 111 - né vivere di sé. Vivono naturalmente del fatto che la Chiesa nel suo insieme resta, vive della fede nella sua origine divina e di conseguenza difende ciò che non ha inventato lei stessa ma che riconosce come dono della cui trasmissione è responsabile. Le "minoranze" rendono di nuovo vitale questa grande comunità, ma attingono, nello stesso tempo, alla forza di vita che è nascosta in essa ed è in grado di creare sempre nuova vita".
E qui occorre invocare l'aiuto dello Spirito per una apertura di diocesi-parrocchie a movimenti e nuove comunità rispettando tutte le varie realtà carismatiche, senza cedere alla tentazioni di renderle tutte uguali o riducendo troppo gli spazi di autonomia e di creatività e nello stesso tempo la loro maturazione nel percepirsi parte di un tutto.
E' l'identità dinamica, esistenziale non da creare con strutture, ma da invocare come dono dall'alto.