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L’errore di Giuda: non credere al perdono di Dio

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
"Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo" [Udienza di mercoledì 18 ottobre 2006]



Non poteva mancare, nella catechesi del mercoledì sulla Chiesa, con la memoria dei Dodici apostoli per comprendere chi sono i loro successori e la loro missione, “uno dei Dodici” (Mt 26, 14.47; Mc 14,10.20; Gv 6,71) o del “numero dei Dodici” (Lc 22,3) cioè Giuda Iscariota. Iscariota può avere più significati cioè “uomo di Keriot” con riferimento al suo villaggio di origine, “sicario”, come se alludesse ad un guerrigliero armato di pugnale detto in latino sica, oppure “colui che stava per tradirlo cioè per consegnarlo”. Nel quarto Vangelo questa designazione si trova due volte, cioè dopo una confessione di Pietro (Gv 6,71) e poi nel corso dell’unzione di Betania (Gv 12,4).
Le liste dei Dodici indicano il tradimento come elemento tipico di Giuda, dicendo “colui che lo tradiva”; così durante l’Ultima Cena, dopo l’annuncio che il tradimento era in corso (Mt 26,25) e al momento dell’arresto di Gesù (Mt 26,46.48; Gv 18,2.5). Il tradimento è avvenuto in due momenti: premeditato nella progettazione, quando Giuda si accorda con i nemici di Gesù per trenta monete di argento (Mt 26, 14-16), e poi nell’esecuzione con il bacio dato al Maestro nel Getzemani (Mt 26,46-50).
Tutti gli evangelisti insistono sulla qualità di apostolo cioè della famiglia dei Dodici, del loro vissuto fraterno di comunione con Gesù e tra di loro, la Chiesa fin dalle origini. Anzi per due volte Gesù, rivolgendosi agli Apostoli e parlando proprio di lui, lo indica come “uno di voi” (Mt 26,21; Mc 14,18; Gv 6,70; 13,21). Addirittura Pietro dirà che Giuda “era del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero” (At 1,17) cioè aveva ricevuto il mandato, aveva esperimentato, come tutti gli altri, che quando parlava lui era come se parlasse Gesù compiendo miracoli, scacciando demoni.
Benedetto XVI argomenta che si tratta di una figura appartenente al gruppo, alla fraternità dei dodici, che Gesù si era scelto dopo una notte di preghiera in dialogo con il Padre per la loro scelta come colonne della Chiesa.
Benedetto XVI, a questo punto, si pone due domande dalle cui risposte può venire una luce su chi è ogni uomo e perché il male. Come mai Gesù ha scelto quest’uomo e gli ha dato fiducia. Pur economo del gruppo (Gv 12,6b), pur qualificato anche come “ladro” (Gv 12,6b) l’interrogativo rimane, tanto più che Gesù pronuncia un giudizio severo su lui: “Guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!” (Mt 26,24). Il mistero si infittisce circa la sua sorte eterna, sapendo che Giuda “si pentì e riportò le trenta monete d’argento agli anziani, dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”” (Mt 27,3-4). Benedetto XVI osserva che benché egli si sia poi allontanato per andare ad impiccarsi (Mt 27,5), non spetta a noi giudicarlo colpevole o innocente, sostituendoci a Dio il cui amore è più grande di ogni peccato. L’atto compiuto oggettivamente è grave, ma il soggetto che lo compie è colpevole o innocente? E all’ultimo momento si può essere aperto a Dio che perdona.
Ma perché Giuda è arrivato a tradire Gesù? Benedetto XVI elenca più interpretazioni:

  • cupidigia di danaro;
  • Giuda sarebbe stato deluso nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico-militare del proprio Paese.


Ma i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che “il diavolo aveva messo nel cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo” (Gv 13,2). Analogamente Luca scrive: “Allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” (Lc 22,3). Qui è evidente una responsabilità personale cioè soccombere alla tentazione del Maligno, potendo non soccombere perché Gesù lo ha trattato sempre da amico (Mt 26,50), lo ha invitato a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzando la volontà, non risparmiandolo dalle tentazioni di Satana, passando dal rischio educativo. Ma questo è il cammino di ogni uomo, dono del Creatore nel proprio e altrui essere, destinato a figlio nel Figlio non a propria insaputa e non senza la cooperazione della volontà, della libertà affinché la risposta, nel connubio verità e libertà, sia di amore a Dio che è Amore. Ma fino al momento terminale della vita per tutti, alla possibilità di una risposta di amore non può mancare il rischio del rifiuto che può arrivare anche alla morte eterna. Gesù invita a vigilare e pregare.
Benedetto XVI osserva che le possibilità di perversione dell’io, del cuore umano sono molte. Come ovviare? Occorre non coltivare una visione delle cose individualistica, autonoma ma tentare e ritentare con fiducia e speranza di lasciarsi assimilare a Cristo, assumendo il suo punto di vista. Occorre fare comunione con Gesù, non staccarsi affettivamente ed effettivamente dal vissuto fraterno dei suoi che lo rende presente. Anche Pietro voleva opporsi al modo di pensare, di giudicare di Gesù, ricevendo un rimprovero fortissimo: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,32-33): Pietro, dopo la sua caduta, si è pentito, si è lasciato riconciliare con Gesù e con i dodici. Anche Giuda si è pentito, ma il suo pentimento è degenerato in disperazione perché solo e così è divenuto autodistruzione, almeno temporale.
Benedetto XVI invita a questo punto a tenere sempre presente quanto dice san Benedetto: “Non disperare mai della misericordia divina”, che concretizza quanto Giovanni dice nella sua prima lettera di fronte al rischio di essere abbandonato da tutti, dai propri cari, dalla sfiducia nel proprio cuore (che mantiene sempre, per dono di Dio, la capacità di recuperarsi), Dio “ è più grande del nostro cuore” (1 Gv 3,20).
E qui Benedetto invita a tenere presenti due cose:
  • Gesù passa attraverso la nostra libertà;
  • Gesù, il cui amore è più grande di ogni peccato ed è ricco di misericordia e di perdono, per cui nessuna situazione è fatale, aspetta la nostra disponibilità al pentimento e alla conversione.


Comunque anche dal ruolo negativo di Giuda Dio sa trarre il bene anche dal male. Il suo tradimento, il più grave nella storia perché ha condotto alla morte Gesù, figlio di Dio vivente, ma Lui trasformò questo tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre (Gal 2,20).
Il verbo “tradire” è la versione greca che significa “consegnare”. Talvolta il suo soggetto è addirittura Dio Padre in persona: è stato lui che per amore “consegnò” Gesù per tutti noi (Rm 8,32) e Gesù si lasciò liberamente consegnare.
Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio Padre assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo.

Mattia venne eletto al posto del traditore e “fu associato agli undici Apostoli”, testimone di tutta la vicenda terrena di Gesù (At 1,21-22) che sarà continuamente memorizzata e liturgicamente celebrata, rivissuta nella Tradizione, rimanendo a Lui fedele fino in fondo. Alla grandezza di questa sua fedeltà si aggiunge poi la chiamata divina a prendere il posto di Giuda quasi compensando il suo tradimento.
E Benedetto XVI conclude la sua catechesi con un giudizio che fa pensare: “Anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori, spetta a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore”.

Vorrei concludere con un punto dell’omelia della celebrazione eucaristica nello Stadio Bentegodi di Verona il 19 ottobre: “Testimoni di Cristo risorto. Quel “di” va capito bene! Vuol dire che il testimone è “di” Gesù risorto, cioè appartiene a Lui, e proprio in quanto tale può rendergli valida testimonianza, può parlare di Lui, farLo conoscere, condurre a Lui, trasmettere la sua presenza. E’ esattamente il contrario di quello che avviene per l’altra espressione: “speranza del mondo”. Qui la preposizione “del” non indica affatto appartenenza, perché Cristo non è del mondo, come pure i cristiani non devono essere del mondo. La speranza, che è Cristo, è nel mondo, è per il mondo, ma lo è proprio perché Cristo è Dio, è il “Santo”. Cristo è speranza per il mondo perché è risorto, ed è risorto perché è Dio. Anche i cristiani possono portare al mondo la speranza, perché sono di Cristo e di Dio nella misura in cui muoiono con Lui al peccato e risorgono con Lui alla vita nuova dell’amore, del perdono, del servizio della non- violenza…Solo se come Cristo, non sono del mondo, i cristiani possono essere speranza nel mondo e per il mondo”.

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