La forza creatrice dell'amore di Dio è più grande del "no" umano
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Commentando il messaggio evangelico degli invitati a nozze Benedetto XVI fa meditare il "fallimento" di Dio nel corso di tutta la storia. Coloro che sono stati invitati per primi disdicono, non vengono. La sala di Dio rimane vuota, il banchetto sembra essere stato preparato invano. E' ciò che Gesù esperimenta nella fase finale della sua attività: i gruppi ufficiali, autorevoli dicono "no" all'invito di Dio, che è Lui stesso. Non vengono. Il suo messaggio, la sua chiamata finisce nel "no" degli uomini. E però anche qui: Dio non fallisce. La sala vuota diventa una opportunità per chiamare un maggior numero di persone. L'amore di Dio, l'invito di Dio si allarga - Luca ci racconta queste due ondate: prima l'invito rivolto ai poveri, agli abbandonati, a quelli non invitati da nessuno nella stessa città… E poi avviene la seconda ondata. Esce fuori dalla città, nelle strade di campagna; sono invitati i senza dimora. Possiamo supporre che Luca con la prima ondata intendesse i poveri di Israele e poi l'invito al di fuori della Città Santa verso il mondo delle genti. A Roma Paolo chiama inizialmente i capi della sinagoga, annuncia loro il Mistero di Gesù Cristo, il Regno di Dio nella persona di Lui. Ma le parti autorevoli disdicono, ed egli si congeda da loro con queste parole: Ebbene, poiché non ascoltate, questo messaggio viene annunziato ai pagani ed essi ascolteranno. Con tale fiducia si conclude il messaggio del fallimento: Essi ascolteranno; la Chiesa dei pagani si formerà. E si è formata e continua a formarsi. Benedetto XVI racconta che durante le visite ad limina sente parlare di molte cose gravi e faticose, ma sempre - proprio dal Terzo Mondo - sento anche questo: che gli uomini ascoltano, che essi vengono, che anche oggi il messaggio giunge per le strade fino ai confini della terra e che gli uomini affluiscono nella sala di Dio, al suo banchetto.
Benedetto XVI si fa una domanda: Che cosa tutto ciò significa per noi? Innanzitutto una certezza: Dio non fallisce. "Fallisce" continuamente, ma proprio per questo non fallisce, perché ne trae nuove opportunità di misericordia più grande, e la sua fantasia è inesauribile. Non fallisce perché trova sempre nuovi modi per raggiungere gli uomini e per aprire di più la sua grande casa, affinché si riempia del tutto. Non fallisce perché non si sottrae alla prospettiva di sollecitare gli uomini perché vengano a sedersi alla sua mensa, a prendere il cibo dei poveri, nel quale viene offerto il dono prezioso, Dio stesso. Dio non fallisce, nemmeno oggi. Anche se sperimentiamo tanti "no", possiamo esserne certi. Da tutta questa storia di Dio, a partire da Adamo, possiamo concludere: Egli non fallisce. Anche oggi troverà nuove vie per chiamare gli uomini e vuole avere con sé noi come suoi messaggeri e suoi servitori.
E ha aggiunto: proprio nel nostro tempo conosciamo molto bene il "dire no" di quanti sono invitati per primi. In effetti, la cristianità occidentale, cioè i nuovi "primi invitati", ora in gran parte disdicono, non hanno tempo per venire al Signore. Conosciamo le chiese che diventano sempre più vuote, i seminari che continuano a svuotarsi, le case religiose che sono sempre più vuote; conosciamo tutte le forme nelle quali si presenta questo "no, ho altre cose importanti da fare". E ci spaventa e ci sconvolge l'essere testimoni di questo scusarsi e disdire dei primi invitati, che in realtà dovrebbero conoscere la grandezza dell'invito e dovrebbero sentirsi spinti da quella parte. Che cosa dobbiamo fare?
E Benedetto XVI invita a porsi la domanda: perché accade proprio che il possesso e i rapporti umani coinvolgono talmente le persone che esse ritengono di non avere bisogno di altro per riempire il loro tempo e quindi la loro esistenza interiore? Con san Gregorio Magno risponde: In realtà, non hanno mai fatto l'esperienza di Dio; non hanno mai preso "gusto" di Dio; non hanno mai esperimentato un incontro che abbia fatto sentire quanto sia delizioso essere "toccati" da Dio! Manca loro l'avvenimento di questo "contatto" - e con ciò il "gusto di Dio". E solo se noi, avendo esperimentato il riconoscimento della colpa, il bisogno e il gusto del perdono, la gioia di un vissuto ecclesiale di comunione possiamo aiutare le persone a sentire di nuovo il gusto di Dio. Certo finché l'uomo è occupato interamente col suo mondo, con le cose materiali, con ciò che può fare, con tutto ciò che è fattibile e che gli porta successo, con tutto ciò che può produrre o comprendere da se stesso, senza alcun senso di colpa, senza alcun bisogno di perdono, la sua capacità di percepire Dio datagli oggettivamente dal Battesimo (ma richiede soggettivamente l'incontro con una persona che rimanda alla presenza del risorto qui e ora) non viene mai meno fino al momento terminale ma si appiattisce e l'impegno, anche in campo ecclesiastico, sostituisce la fede nella sua presenza in relazioni sacramentali e umane, il bisogno di perdono, di riincontrare Dio nella squisitezza del suo amore. Occorre aiutare a dare più spazio all'ascolto del Signore, alla preghiera, alla partecipazione intima ai sacramenti, alla gioia di relazioni di amicizia, all'imparare la bellezza e la gioia dei sentimenti di Dio nel volto e nelle sofferenze degli uomini, per esser contagiati dalla sua gioia, dal suo zelo, dal suo amore e per guardare con Lui, e partendo da Lui, la storia e il mondo, soprattutto il proprio vissuto di colpa e di peccato bisognoso di perdono. Se personalmente accade tutto questo, allora in mezzo a tanti "no" possiamo trovare alcuni che lo attendono, fare amicizia con loro e percepire la presenza del Dio che ha il volto di Gesù Cristo in queste relazioni di amicizia, davanti al quale vedere le nostre colpe e lasciarci perdonare, cominciare di nuovo dando alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.
E qui Benedetto XVI ha dato un giudizio che "riguarda il sacramento della Penitenza la cui pratica in questi cinquanta ultimi anni è progressivamente diminuita. Grazie a Dio esistono chiostri, abbazie e santuari, verso i quali la gente va in pellegrinaggio e dove il loro cuore si apre ed è anche pronto alla confessione. Questo sacramento lo dobbiamo veramente imparare di nuovo. Già da un punto di vista puramente antropologico è importante, da una parte, riconoscere la colpa e, dall'altra, esercitare il perdono. La diffusa mancanza di una consapevolezza della colpa è un fenomeno preoccupante del nostro tempo. IL dono del sacramento della Penitenza consiste quindi non soltanto nel fatto che riceviamo il perdono, ma anche nel fatto che ci rendiamo conto, innanzitutto, del nostro bisogno di perdono; già con ciò veniamo purificati, ci trasformiamo interiormente e possiamo comprender meglio gli altri e perdonarli. Per ambedue le cose il sacramento della Riconciliazione è il luogo decisivo di esercizio. Inoltre lì la fede diventa una cosa del tutto personale, non si nasconde più nella collettività. Se l'uomo affronta la sfida e, nella sua situazione di bisogno di perdono, si presenta, per così dire, indifeso davanti a Dio, allora fa l'esperienza commovente di un incontro del tutto personale con l'amore di Gesù Cristo più grande di ogni peccato.