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Preziose argomentazioni del cardinale Carlo Caffarra

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Sul Corriere della sera di giovedì 14 dicembre 2006 è stata pubblicata un'intervista dell'Arcivescovo di Bologna che tratta di vari temi.

Viaggio di Benedetto XVI in Turchia. Pur con prevedibili difficoltà il viaggio ha avuto un ottimo risultato proprio perché la Turchia rappresenta un unicum nel mondo islamico: è la sola società musulmana organizzata in uno Stato costituzionalmente laico con una forte rilevanza pubblica della fede religiosa. Ed è questa la laicità che porta avanti Benedetto XVI.

Continuità tra Ratisbona e Istanbul.
Il dialogo tra i popoli, tra le religioni, tra le culture e quindi la pace si costruisce sulla base dell’esercizio di una razionalità che non si chiude alla dimensione religiosa, e soprattutto di una fede che non voglia imporsi con altri metodi che non sia l’argomentazione. Fin qui il card. Caffarra. Per me Ratisbona è soprattutto un invito a cattolici che da anni, fin dal Concilio portano avanti l’idea invitando la Chiesa a sciogliere il prezioso e provvidenziale connubio fra messaggio cristiano e cultura ellenica per accettare la “povertà della sola fede” che renda la Chiesa aperta a tutte le culture e capace di incontrare in modo pacifico le altre religioni, islam compreso, a rivedere questo percorso che dissolve non solo la ragione ma anche la fede. Per Benedetto XVI nel XXI secolo è possibile il dialogo con l’Islam dall’identità fortissima solo a partire dalla consapevolezza di una forte identità occidentale, radicata precisamente nell’eredità di Gerusalemme e di Atene cioè nell’incontro avvenuto fin dagli inizi dell’evangelizzazione fra la cristianità primitiva dell’Apostolo Andrea e la cultura greca in quel rapporto armonico fra fede e ragione che può aiutare anche l’Islam, come è avvenuto in altre epoche storiche, come ai tempi di san Tommaso.

Il problema di tenuta dei valori e dell’identità occidentale.
I valori che definiscono l’identità occidentale sono stati in larga misura generati dalla fede cristiana. La fede cristiana è stata a lungo il terreno che li ha nutriti. Ora questa matrice si sta erodendo nella coscienza di molti. Per quanto tempo ancora potremo godere di questa eredità, mentre stiamo dissipando ogni giorno di più il capitale che la alimenta? E oggi quale identità culturale stiamo esibendo, islamico o no, a chi occidentale non è? Cosa chiediamo a chi chiede di integrarsi? Pur affermandolo formalmente non viviamo più, almeno consapevolmente, sullo stesso fondamento, dentro lo stesso ethos e rispondiamo in maniera contraria alle domande di fondo della vita. Se è questa l’identità che proponiamo, viviamo un grande impoverimento. Urge allargare gli spazi della razionalità di un Occidente secolarizzato riaprendola alle grandi questioni del vero e del bene, coniugando tra loro nell’unica verità o intrinseca unità che le tiene insieme la teologia, la filosofia e le scienze per essere in grado di dialogare con le culture in cui il senso religioso è ancora presente; cioè tutte, dall’Estremo Oriente all’Islam. E’ una possibilità e un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita di spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza.

L’incontro, il dialogo con Israele.
Non si può essere cristiani se non si è ebrei. Per Caffarra il dialogo interreligioso vero e proprio lo vede praticabile solo con l’ebraismo, perché c’è discendenza spirituale. San Paolo dice che noi, che ebrei non siamo, siamo diventati figli di Abramo.

E con l’induista, il buddista, l’islamico?
Con l’Islam possiamo incontrarci negli ambiti del vivere umano, sul tema della ragionevolezza, della concezione della vita, dell’educazione. Ma il rapporto che io cristiano ho con Israele non è equiparabile al rapporto che io cristiano ho con altre religioni.

L’opinione di Caffarra sul “meticciato”.
Oggi è il nodo centrale della convivenza: fino a che punto può e deve spingersi una politica liberale nei confronti delle varie identità, senza che pluralità risulti incompatibile con la pace e l’ordine sociale? Caffarra da una valutazione dei vari tentativi. Il modello assimilazionista francese ha dato una risposta tragicamente insoddisfacente. Il modello marginalizzante non è praticabile, quando i flussi migratori sono molto forti. Il modello inglese dell’autogoverno delle minoranze non porta al superamento dei conflitti ma alla balcanizzazione della vita associata. Resta il modello integrazionista, che richiede di mettere in chiaro alcuni punti: va rispettato il primato di ogni persona e il valore di ogni vita; va riconosciuta alle culture una loro rilevanza nella sfera pubblica; la neutralità dello Stato non deve essere indifferenza a ospitare qualsiasi concezione di vita; si deve identificare un nucleo di valori non negoziabili come ad esempio: uguale dignità tra uomo e donna; monogamia nel matrimonio; libertà di scegliere la fede ed eventualmente di abbandonarla: E va sancita l’indisponibilità dello Stato a tollerare processi di non convergenza su questo zoccolo duro.

Il ministero dell’interno se ne sta occupando.
Con i canoni di una cultura fondamentalmente relativista e indifferentemente aperta a tutto non si può essere ottimisti, pur evitando ogni aggressività. Nessun organismo può sopravvivere senza sistema immunitario. Caffarra a lungo termine si dichiara ottimista a patto di recuperare la nostra grande cultura, non relativista ma aperta, inclusiva ma decisa a fronteggiare ciò che la minaccia.

Non credenti che guardano alla Chiesa come nucleo di valori forti.
Il fenomeno è presente non solo in Italia e a Verona il Santo Padre ha invitato a guardarlo con molta attenzione. Questi uomini hanno il merito di porre alla coscienza di noi credenti alcuni problemi molto importanti, soprattutto in questo momento di emergenza educativa. La rilevanza pubblica della fede cristiana non può più essere affrontata con un concetto di laicità secolarizzante: essi considerano impraticabile, ormai, l’ipotesi di una società civile e politica completamente secolarizzata. E allora si capisce la sintonia con il magistero di Benedetto XVI. O la fede cristiana ha qualcosa da dire ad ogni uomo in carne ed ossa in relazione alle domande di senso della vita, della giustizia o è una fede vacua. Soprattutto propongono un’idea e un uso della ragione allargato, non riducibile a quello strettamente scientifico e funzionalista e per le due ali verso la conoscenza della verità ciò è un bisogno anche per chi crede.

L’ipotesi di legge sulle unioni civili.
Competenti civilisti affermano che è possibile tutelare i diritti dei componenti delle coppie di fatto con semplici modifiche del codice civile. Lo si faccia, senza che questo implichi un riconoscimento sociale, una sanzione pubblica dell’unione di fatto. C’è uno stretto legame con l’emergenza educativa. Dando un riconoscimento pubblico si introduce nell’ordinamento giuridico la possibilità alternativa tra l’accedere a diritti peculiari di chi vive coniugalmente i propri affetti e l’accedere agli stessi diritti vivendo i propri affetti provvisoriamente. Astenendoci dal dare un giudizio sulle persone e sui legislatori: quale tra queste due scelte promuove il bene comune, promovendo il capitale sociale? Quale rischia di eroderlo? Questo intende Benedetto XVI quando parla di amori fragili, di libertà provvisorie che non possono essere confrontate, messe alla pari, con la definitività della scelta del matrimonio.

Come evitare di creare una nuova forma di matrimonio.
Caffarra, nei confronti degli stili di vita, descrive cinque attitudini che lo Stato può assumere: punizione, tolleranza, ignoranza, rispetto, condivisione ed esclude le prime due cioè punizione e tolleranza: se sono per definizione unioni di fatto, allora lo Stato le ignori. Non occorre che le condivida al punto di favorirle. L’alternativa non è tra codice penale e sostegno positivo; in mezzo c’è un’altra possibilità. Si constata che i giovani non si sposano più, perché temono la definitività. Generano meno figli, perché hanno più paura che speranza. E questo è un grande malessere spirituale e per il bene della convivenza civile occorre pubblicizzare chi ha dato la vita per generarla.

Potranno sposarsi i preti?
La Chiesa non proibisce, perché non lo può fare, a nessuno di sposarsi. Ma ha deciso di amministrare il sacramento dell’ordine solo al battezzato che da Cristo riceve il dono della chiamata alla verginità perfetta e perpetua. E siccome il sacramento dell’ordine non è necessario per la propria salvezza la Chiesa lo lega al carisma della verginità. Per essere un vero pastore, sposo della Chiesa, felice nella carità o amore pastorale, dedito senza preferenze ad ogni persona prediligendo i poveri, è meglio se sei vergine nel cuore e nel corpo. IL celibato è una delle perle della Chiesa latina e anche la Chiesa orientale ordina vescovi solo i vergini. La carità o amore pastorale documenta al centuplo il desiderio che ogni uomo ha della paternità che rimanda all’immagine della paternità e maternità divina. Certo come ogni grande scelta può esaltare l’umanità come la può degradare. Ma questo è il rischio anche del matrimonio.

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