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Regno di Dio vuol dire in realtà: Dio regna

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Parlando di Dio, tocchiamo anche precisamente l'argomento che, nella predicazione terrena di Gesù, costituiva il suo interesse centrale. Il tema di tale predicazione è il dominio di Dio, il "Regno di Dio". Con ciò non è espresso qualcosa che verrà una volta o l'altra in un futuro indeterminato. Neppure si intende con ciò quel mondo migliore che cerchiamo di creare passo passo con le nostre forze. Nel termine "Regno di Dio" la parola "Dio" è un genitivo soggettivo. Questo significa: Dio non è un'aggiunta al "Regno" che forse si potrebbe anche lasciar cadere. Dio è il soggetto. Regno di Dio vuol dire in realtà: Dio regna. Egli stesso è presente ed è determinante per gli uomini nel mondo. Egli è il soggetto, e dove manca questo soggetto non resta nulla del messaggio di Gesù. Perciò Gesù ci dice: il Regno di Dio non viene in modo che si possa, per così dire, mettersi sul lato della strada ed osservare il suo arrivo. "E' in mezzo a voi!" (Lc 17,20s). Esso si sviluppa dove viene realizzata la volontà di Dio. E' presente dove vi sono persone che si aprono al suo arrivo e così lasciano che Dio entri nel mondo. Perciò Gesù è il Regno di Dio in persona: l'uomo nel quale Dio è in mezzo a noi e attraverso il quale noi possiamo toccare Dio, avvicinarci a Dio. Dove questo accade, il mondo si salva» [Benedetto XVI ai Membri della Curia e della Prelatura Romana, 22 dicembre 2006].



Regno di Dio, Dio regna

Riandando al grande tema del suo viaggio in Germania Benedetto ricorda e sottolinea che il suo tema vero e - sotto certi aspetti - unico è stato “Dio”, il tema perenne della Chiesa, del sacerdote “uomo di Dio” (1 Tim 6,11). La Chiesa deve parlare di tante cose: di tutte le questioni connesse con l’essere uomo, della propria struttura, del proprio ordinamento. Ma il tema centrale è “Dio”. E il grande problema dell’Occidente, oggi figliolo prodigo, è la dimenticanza di Dio: è un oblio che si diffonde. In definitiva, tutti i singoli problemi possono essere riportati a questa domanda. Il Cristianesimo cioè il Dio dal volto umano in Gesù Cristo non appartiene al passato, è presente oggi, regna e regnerà sempre.
Benedetto XVI ha collegato con il tema di Dio il tema del sacerdozio e quello del dialogo. Dio stesso è il fondamento esterno ed interno dell’esistenza sacerdotale e il celibato non significa maggiore disponibilità per il ministero pastorale ma lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi, grazie ad un più intimo stare con Lui, a servire gratuitamente gli uomini. Per un prete rinunciando al matrimonio e alla famiglia significa accogliere ed esperimentare nella fraternità presbiterale Dio come realtà e perciò poter portarlo agli uomini. In un mondo, come il nostro, in cui Dio è in gioco tutt’al più come ipotesi, ma non come realtà concreta che regna, ha bisogno di questo poggiare su Dio nel modo più concreto e radicale possibile.
La ragione orientata ad impadronirsi del mondo non accetta più limiti. Essa è sul punto di trattare ormai l’uomo stesso come semplice materia del suo produrre e del suo potere. La nostra conoscenza aumenta, ma al contempo si registra un progressivo accecamento della ragione circa i propri fondamenti; circa i criteri che le danno orientamento e senso. La fede in quel Dio che è in persona la Ragione creatrice dell’universo, che regna, deve essere accolta dalla scienza in modo nuovo come sfida e chance. Reciprocamente, questa fede deve riconoscere nuovamente la sua intrinseca vastità e la sua propria ragionevolezza. La ragione ha bisogno del Logos che sta all’inizio ed è la nostra luce; la fede, per parte sua ha bisogno del colloquio con la ragione moderna, per rendersi conto della propria grandezza e corrispondere alle proprie responsabilità. Il Papa osserva che questo discorso non è affatto di natura soltanto accademica; ma in essa si tratta del futuro di noi tutti. La ragione secolarizzata, che ha perso la coscienza del Regno di Dio cioè di Dio in Cristo che regna non è in grado di entrare in un vero dialogo con le religioni. Se resta chiusa di fronte alla consapevolezza che Dio regna, questo finirà per condurre alla scontro drammatico delle culture. E quindi le religioni non possono non incontrarsi nel compito comune di porsi al servizio della verità cioè di Dio che regna e quindi dell’uomo.

Cristo risorto è Dio che regna

Una argomentazione analoga Benedetto XVI l’ha fatto al Convegno della chiesa italiana a Veorna partendo da ciò che scrive Giovanni “Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4b). E ha notato che la verità cioè la realtà di questa affermazione è documentata anche in Italia da quasi due millenni di storia cristiana, con innumerevoli testimonianze di martiri, di santi, di beati che hanno lasciato tracce indelebili. E noi siamo gli eredi di questi testimoni vittoriosi! Nasce una domanda: che ne è della nostra fede nella presenza di Cristo risorto che regna? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla? Oggettivamente credere è essere certi che Cristo è risorto e che quindi nessuna forza avversa potrà mai distruggere la Chiesa. Ma soggettivamente occorre che emerga la consapevolezza che soltanto Cristo può pienamente soddisfare le attese profonde del cuore umano e rispondere agli interrogativi più inquietanti sul dolore, l’ingiustizia e il male, sulla morte e l’aldilà. E’ una fiducia fondata ma occorre che emerga dal vissuto e ogni cristiano si trasformi in “testimone” capace e pronto ad assumere l’impegno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima (I Pt 3,15). Occorre tornare ad annunciare con gioia e vigore l’evento della morte e risurrezione di Cristo, della sua continua presenza ecclesiale che regna, cuore del Cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mondo.
E a questo punto Benedetto XVI ha fatto l’analoga argomentazione del Regno di Dio, di Dio che regna. “Testimoni di Gesù risorto. Quel “di” va capito bene! Vuol dire che il testimone è “di” Gesù risorto, cioè appartiene a Lui, e proprio in quanto tale può rendergli valida testimonianza, può parlare di Lui, farLo conoscere, condurre a Lui, trasmettere la sua presenza. E’ esattamente il contrario di quello che avviene per l’altra espressione: “speranza del mondo”. Qui la preposizione “del” non indica affatto appartenenza, che è Cristo, è nel mondo, è per il mondo, ma lo è proprio perché Cristo è Dio, è il “Santo”. Cristo è speranza per il mondo perché è risorto, ed è risorto perché è Dio. Anche i cristiani possono portare al mondo la speranza, perché sono di Cristo e di Dio nella misura in cui muoiono con Lui al peccato e risorgono con Lui alla vita nuova dell’amore, di vissuti fraterni di comunione, del perdono, del servizio, della non violenza”.
Il Regno di Dio, Dio che regna non viene in modo che si possa per così dire, mettersi sul lato della strada ed osservare il suo arrivo. E’ presente dove viso sono persone in vissuti fraterni che si aprono al suo arrivo e così lasciano che Dio entri nel mondo. Perciò la presenza ecclesiale di Gesù risorto è il Regno di Dio in persona: l’uomo nel quale Dio è in mezzo a noi, regna tra di noi e attraverso il quale noi possiamo toccare Dio, avvicinarci a Dio che regna. Dove questo accade, il mondo si salva. “Ricostruite - ha concluso a Verona Benedetto XVI - le antiche rovine, rialzate gli antichi ruderi, restaurate le città desolate (Is 61,4). Sono tante le situazioni difficili che attendono un intervento risolutore! Portate nel mondo la speranza di Dio, che è Cristo Signore, il quale è risorto dai morti, e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen”.

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