Verità salvifica di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo
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Esemplarmente il card. Ruini ha riunito tutti i suoi sacerdoti per aiutarli a cogliere che l’accentuazione del magistero di Benedetto XVI è il suo grande impegno per il connubio Verità - Amore della fede cristiana nell’attuale situazione storica sia in rapporto a forme autolimitantesi di razionalità oggi prevalenti e sia a forme di pretesa libertà e amore senza verità.
Con un linguaggio teologico il Papa affronta, col suo stile e in maniera innovativa, questa questione oggi centrale dell’apologetica, o - come si preferisce oggi - della teologia fondamentale.
Dal suo libro autobiografico “La mia vita” emerge che la sua formazione è essenzialmente biblica, patristica e liturgica e in questa luce egli affronta le problematiche attuali. Pur con acute capacità critiche, rivela una grande volontà costruttiva, una grande apertura e anche simpatia per l’oggi.
Sua trattazione principale è il tema centrale del Concilio cioè la “verità salvifica di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo”. E parte da una convinzione, maturata nell’esperienza di Prefetto della Congregazione della Fede e cioè che “al termine del secondo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità” (Fede Verità Tolleranza, p.170). E questa crisi ha una duplice dimensione:
- la sfiducia riguardo alla possibilità, per l’uomo, di conoscere la verità su Dio e sulle cose divine;
- e i dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche, hanno sollevato riguardo ai contenuti e alle origini del cristianesimo.
La gravità e il carattere radicale di una simile crisi si comprendono alla luce di quella che è la natura propria del cristianesimo.
E’ certamente vero che esso non è anzitutto una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con la Persona di Gesù Cristo, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva e quindi è possibile sempre, con tutti, comunque ridotti. Ma è altrettanto vero che l’opzione per il logos, e non per il mito, ha caratterizzato fin dall’inizio lo stesso cristianesimo.
Provvidenziale l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero filosofico greco
In concreto, già ben prima della nascita di Cristo la critica dei miti religiosi compiuta dalla filosofia greca - critica che può definirsi come il provvidenziale illuminismo filosofico dell’antichità - ha trovato un corrispettivo nella critica agli dei falsi condotta dai profeti in Israele (in particolare il Deutero-Isaia) in nome del monoteismo jahvistico, e poi l’incontro tra fede giudaica e filosofia greca dell’Antico Testamento dei “Settanta”, che “è più di una semplice traduzione” e rappresenta uno specifico passo della storia della rivelazione” (Benedetto XVI, Discorso di Regensburg).
Pertanto l’affermazione “In principio era il Logos”, con cui inizia il prologo del Vangelo di Giovanni, costituisce “la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio,la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi (Regensburg).
Nella stessa linea si è mossa la patristica, come emerge dalla frase audace e incisiva di Tertulliano “Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine” e della netta scelta di S. Agostino che, rifacendosi alle tre forme di religione individuate dall’autore pagano Terenzio Marrone, colloca risolutamente il cristianesimo nell’ambito della “teologia fisica”, cioè della razionalità filosofica, e non in quella della “teologia mitica” dei poeti, o della!”teologia civile” degli stati e dei politici.
Il cristianesimo si qualifica pertanto come “religione vera”, a differenza delle religioni pagane, ormai prive di verità agli occhi della stessa razionalità precristiana, e realizza rispetto ad esse una grande opera di “demitizzazione”.
Un cammino di questo genere era già iniziato nel giudaismo, ma rimaneva la difficoltà del legame speciale tra l’unico Dio creatore universale e il solo popolo giudaico, legame superato dal cristianesimo, nel quale l’unico Dio si pone come salvatore, senza discriminazioni, di tutti i popoli, di ogni uomo, come già era presente nella promessa ad Abramo e nei profeti.
In questo senso, l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero filosofico greco non è stato un semplice caso contingente di cui con una nuova inculturazione si potrebbe farne a meno, ma la concretizzazione storica del rapporto intrinseco tra la rivelazione e la razionalità cioè tra Dio e ogni uomo. E proprio questo è anche uno dei motivi fondamentali della forza di penetrazione del cristianesimo nel mondo ellenistico - romano.
Novità radicale e diversità profonda della rivelazione biblica rispetto alla razionalità greca
Vista la provvidenzialità dell’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero filosofico greco dobbiamo anche rilevare la novità radicale e la diversità profonda della rivelazione biblica rispetto alla razionalità greca in rapporto al tema centrale della religione, che è chiaramente Dio. J. Ratzinger sviluppa l’esame dei testi biblici, dal racconto del roveto ardente di Esodo 3 fino alla formula “Io sono” che Gesù applica a se stesso nel Vangelo di Giovanni,: l’unico Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento è l’Essere ricercato dai filosofi, che esiste da se stesso e in eterno, tutto in atto, fondamento dell’atto d’essere di ogni ente che viene all’esistenza.
Ma Ratzinger sottolinea con uguale forza che questo Dio supera radicalmente ciò che i filosofi erano giunti ad argomentare di Lui.
In primo luogo, infatti, Dio è nettamente distinto dalla natura, dal mondo che Egli ha liberamente creato: solo così la “fisica” e la “metafisica” giungono a una chiara distinzione l’una dall’altra.
E soprattutto questo Dio non è una realtà a noi inaccessibile, che noi, ogni io, ogni cuore non può incontrare e a cui sarebbe inutile rivolgersi nella preghiera, come ritenevano i filosofi.
Al contrario, il Dio biblico ama ogni uomo fino al perdono e per questo entra nella storia, dà vita ad una autentica storia d’amore sponsale con Israel, suo popolo, e poi, in Gesù Cristo, il Dio dal volto umano, non solo dilata questa storia di amore e di salvezza all’intera umanità ma la conduce all’estremo, al punto di “rivolgersi contro se stesso”, nella croce del proprio Figlio, per rialzare ogni uomo e salvarlo, e di chiamare l’uomo a quell’unione di amore con Lui, come figli nel Figlio per opera dello Spirito Santo che culmina nell’Eucaristia.
In questo modo il Dio che è l’Essere tutto in atto e il Verbo è anche identicamente l’Agape, l’Amore originario (eternamente amante il Padre, eternamente amato il Figlio, eterno Amore lo Spirito Santo) e la misura senza misura di ogni amore autentico, che proprio per amore ha creato liberamente l’universo e ogni uomo.
Più precisamente questo amore è del tutto disinteressato, libero e gratuito. Dio infatti crea liberamente l’universo dal nulla (solo con la libertà della creazione diventa piena e definitiva la distinzione tra Dio e il mondo, tra la fisica e la metafisica) e liberamente, per la sua misericordia senza limiti, salva l’umanità peccatrice.
Così la fede biblica riconcilia tra di loro quelle due dimensioni della religione che prima erano separate l’una dall’altra, cioè il Dio eterno, onnipotente di cui argomentavano i filosofi e il bisogno di salvezza che ogni uomo porta dentro di sé e che le religioni pagane dei miti tentavano in qualche modo di soddisfare.
Il Dio della fede cristiana è dunque sì l’Essere Assoluto, tutto in Atto fondamento di ogni atto d’essere che viene all’esistenza, il Dio della Metafisica, ma è anche identicamente, il Dio della storia, il Dio cioè che come avvenimento entra nella storia e nel più intimo rapporto sponsale con ogni io, con noi. E’ questa, secondo J.Ratzinger, l’unica risposta adeguata alla questione del Dio dal volto umano della fede e del Dio dei filosofi (Fede Verità Tolleranza,pp. 180 - 182).
Tutto ciò ha inevitabili e decisive conseguenze riguardo all’uomo e al modo di intendere la vita e di fondare l’etica. Come San Paolo ha esplicitamente detto, “quando i pagani che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, (…) essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori “ (Rm 2,14-15). Nello stesso spirito Paolo chiede ai credenti in Cristo: “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Filippesi 4,8).
Vi è qui un chiaro riferimento all’interpretazione etica della natura, coltivata dalla morale stoica. Questa interpretazione è dunque assunta dal cristianesimo, ma nello stesso tempo è superata: quando a un Dio soltanto pensato come idea subentra l’avvenimento, l’incontro con il Dio persona vivente, con il Dio con noi, con il Dio dal volto umano in Gesù Cristo morto e risorto, avviene il passaggio da una teoria etica a una prassi morale comunitariamente vissuta e messa in atto in ogni comunità redente, in concreto attraverso la concentrazione di tutta la morale nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. E ogni io umano, nel cogliersi dono di Dio nel proprio e altrui essere, come in tutto il mondo che lo circonda.