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La patria di Lutero, Marx e Nietzsche ha perduto la fede nell’ateismo...

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
...e un antimodernista reazionario bavarese in abito bianco affascina i più illuminati illuministi
« L’Italia di oggi si presenta a noi come un terreno profondamente bisognoso (…) Profondamente bisognoso, perché partecipa di quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenire superfluo ed estraneo... [Benedetto XVI, IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona, 19 ottobre 2006].

«...In rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altri animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura (illuminista), che era una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente, oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza» [Benedetto XVI, IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona, 19 ottobre 2006]

Nella patria di Benedetto XVI, dove cresce il timore dell'estinzione per la crisi demografica e il declino della famiglia e quindi della società, è visibile una rinascita della religione. "E grande catalizzatore di questo rinnovato interesse - scrive Chrisoph Scholz su Tempi del 25 gennaio 2007 - è stata sicuramente l'elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI. Jurgen Habermas, il filosofo più noto della seconda generazione della scuola di Francoforte, aveva già sdoganato anche per la sinistra il fenomeno religioso. E lui stesso, pur definendosi, secondo le parole di Max Weber, "privo di orecchio religioso", si è lasciato trascinare in un dibattito pubblico insieme all'allora cardinale Ratzinger. "La patria di Lutero, Marx e Nietzsche ha perduto la fede nell'ateismo", ha dovuto constatare persino l'ultralaico Spiegel. Che nell'ultimo numero speciale sul tema "Religione potenza mondiale" si chiede: "Come mai un antimodernista reazionario bavarese in abito bianco affascina i nostri più illuminati illuministi?". Da tempo gli illuministi illuminati hanno riconosciuto che la sola critica non è in grado di creare identità. Mentre sempre più spesso genitori non credenti chiedono di battezzare o accostare alla comunione i figli, per il desiderio di appartenenza, per un diffuso senso religioso, per la nostalgia di una via d'uscita dalla triste modernità".

Allargare gli spazi della razionalità
La limitazione della ragione a ciò che è esperimentabile e controllabile è infatti utile, esatta e necessaria nell'ambito specifico delle scienze naturali e costituisce la chiave dei loro incessanti sviluppi. Se però viene universalizzata e ritenuta assoluta e autosufficiente, una tale limitazione diventa insostenibile, disumana e alla fine contraddittoria.
In forza di essa infatti l'uomo non potrebbe più interrogarsi razionalmente sulle realtà essenziali della sua vita, sulla sua origine e sul suo fine, sul dovere morale, sulla vita e sulla morte, ma dovrebbe lasciare questi problemi decisivi a un sentimento staccato dalla ragione.
Così però la ragione viene mutilata e l'uomo viene diviso in se stesso e quasi disintegrato, provocando la patologia tanto della religione - che staccata dalla razionalità, facilmente degenera nella superstizione, nel fanatismo e nel fondamentalismo - quanto della scienza, che si rivolge facilmente contro l'uomo quando si stacca dall'etica e in concreto dal riconoscimento del soggetto umano come colui che non può mai essere ridotto a strumento (Fede Verità Tolleranza, p. 99).
Proprio la pretesa che l'unica realtà sia quella che è sperimentabile e calcolabile porta  del resto fatalmente a ridurre il soggetto umano a un prodotto della natura, come tale non libero e suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un capovolgimento totale del punto di partenza della cultura moderna illuminista, che consisteva nella rivendicazione dell'uomo e della sua libertà.
Analogamente, sul piano pratico, quando la libertà individuale che non discrimina, per la quale in ultima analisi tutto è relativo al soggetto, viene eretta a supremo criterio etico, essa finisce per diventare un nuovo dogmatismo perché esclude ogni altra posizione, che può essere lecita soltanto finché rimane subordinata e non in contraddizione rispetto a questo criterio relativistico.
In tal modo vengono sistematicamente censurate le norme morali del cristianesimo e viene rifiutato in partenza ogni tentativo di mostrare che esse, o qualsiasi altre, hanno validità oggettiva perché si fondano sulla realtà stessa dell'uomo. Diventa pertanto inammissibile l'espressione pubblica di un autentico giudizio morale.
Si è sviluppata così in Occidente, in Europa, in Germania, in Italia, una forma di cultura che taglia deliberatamente le proprie radici storiche e costituisce la contraddizione più radicale non solo del cristianesimo ma delle tradizioni religiose e morali dell'umanità (L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, pp. 34-35 e il discorso di Regensburg).
Per mostrare come la limitazione della ragione a ciò che è empiricamente sperimentabile e calcolabile sia non solo carica di conseguenze negative ma intrinsecamente contraddittoria, J. Ratzinger concentra l'attenzione sulla struttura stessa e sui presupposti della conoscenza scientifica e in particolare su quella posizione che vorrebbe fare della teoria dell'evoluzione la spiegazione almeno potenzialmente di tutta la realtà.

O vivere come se Dio non esistesse, oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della mia esistenza
Anche sul piano filosofico il Logos creatore non è l'oggetto di una dimostrazione apodittica ma rimane "l'ipotesi migliore", un'ipotesi che esige da parte dell'uomo e della sua ragione di "rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell'ascolto umile".
In concreto, specialmente nell'attuale clima culturale, l'uomo con le sole sue forze non riesce a fare completamente propria questa "ipotesi migliore": egli rimane infatti prigioniero di una "strana penombra" e delle spinte a vivere secondo i propri interessi, prescindendo da Dio e dall'etica. Soltanto al rivelazione, l'iniziativa di Dio che in Cristo si manifesta all'uomo e lo chiama ad accostarsi a Lui, ci rende pienamente capaci di superare questa penombra (Idem, pp. 103 - 114).
Proprio la percezione di una tale "strana penombra" fa sì che l'atteggiamento più diffuso tra non credenti della fede in Dio non sia oggi l'ateismo - avvertito come qualcosa che supera i limiti della nostra ragione non meno della fede in Dio - ma l'agnosticismo, che sospende il giudizio riguardo a Dio in quanto razionalmente non conoscibile.
La risposta che J. Ratzinger dà a questo problema ci riporta ulteriormente verso la realtà della vita: a suo giudizio infatti l'agnosticismo non è concretamente vivibile, è un programma non realizzabile per la vita umana.
Il motivo è che la questione di Dio non è soltanto teorica ma eminentemente pratica, ha conseguenze cioè in tutti gli ambiti della vita.
Nella pratica sono infatti costretto a scegliere tra due alternative, già individuate da Pascal: o vivere come se Dio non esistesse, oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della mia esistenza. Ciò perché Dio, se esiste, non può essere un'appendice da togliere o aggiungere senza che nulla cambi, ma è invece l'origine, il senso e il fine dell'universo, e di ogni uomo in esso.
Se agisco secondo la prima alternativa adotto di fatto una posizione atea e non soltanto agnostica. Se mi decido invece per la seconda alternativa adotto una posizione credente: la questione di Dio è dunque ineludibile.
E' interessante notare la profonda analogia che esiste, sotto questo profilo, tra questione dell'uomo e questione di Dio: entrambe, per la loro somma importanza, vanno affrontate con tutto il rigore e l'impegno della nostra intelligenza, ma entrambe sono sempre anche questioni eminentemente pratiche, inevitabilmente connesse con le nostre concrete scelte di vita. Si comprende perché in Germania timore per la crisi demografica, declino della famiglia e della società e illuministi più illuminati siano attratti e affascinati da "un antimodernista reazionario bavarese in abito bianco".

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