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Per Benedetto XVI il cammino ecumenico per la ricomposizione dell’unità dei cristiani è un’esperienza in salita con spazi di gioia e soste rinfrescanti

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«L’ecumenismo è un processo lento, è una strada lenta e in salita, come ogni strada di pentimento. Un cammino però che, dopo le iniziali difficoltà e proprio in esse, presenta anche ampi spazi di gioia, soste rinfrescanti, e permette di tanto in tanto di respirare a pieni polmoni l’aria purissima della piena comunione.
L’esperienza di questi ultimi decenni, dopo il Concilio Vaticano II, dimostra che la ricerca dell’unità tra i cristiani si compie a svariati livelli e in innumerevoli circostanze: nelle parrocchie, negli ospedali, nei contatti tra la gente, nella collaborazione tra le comunità locali in ogni parte del mondo, specialmente nelle regioni dove compiere un gesto di buona volontà nei confronti del fratello richiede un grande sforzo ed anche una purificazione della memoria: in questo contesto di speranza, costellato di concreti passi verso la piena comunione dei cristiani, si collocano anche gli incontri e gli eventi che segnano costantemente il mio ministero, il ministero del Vescovo di Roma, Pastore della Chiesa universale. Vorrei ora ripercorrere i più significativi eventi che si sono registrati nel 2006, e che sono stati motivo di gioia e di gratitudine verso il Signore» [Udienza Generale, 24 gennaio 2007].

Già come Arcivescovo di Monaco e Frisinga, nel Bollettino diocesano del 20 gennaio 1978, di fronte a chi “progettava ecumenicamente, biblicamente, teologicamente a tavolino” diceva: “In quell’atteggiamento molto diffuso di affrettata critica alla storia passata della cristianità torna sempre ad imporsi l’idea che ci si dovrebbe sbarazzare dell’intera storia di questi duemila anni e radere così al suolo le mura dei dogmi e delle confessioni, per cominciare tutto da capo, come se Cristo comparisse per la prima volta oggi sulla soglia della nostra casa.
Per quanto ciò sia allettante, tuttavia, così facendo noi ridurremmo l’unità della Chiesa a un’opera, a un prodotto delle nostre mani, e la Chiesa a qualcosa che noi stessi possiamo costruire. Ma di fronte a quest’opposizione non c’è giustificazione che tenga: in fondo, in questa maniera eleviamo una nuova muraglia contro Dio e finiamo per confidare maggiormente solo in quanto è in nostro potere fare.
Il muro della legge e il muro che vuole circoscrivere lo spazio di azione di Dio non sono però stati rimossi dall’azione dell’uomo: questa semmai li ha alzati ancora di più. Essi sono stati invece rasi al suolo da Colui che ha recato al mondo l’amore di Dio e, sulla croce, si è caricato del carico di impotenza e di male di ogni azione umana.
Così dunque non va. Quando parliamo di unità della Chiesa, dobbiamo subito smettere di sognare opere audaci e grandi realizzazioni, delle quali riterremo di essere capaci. La lettera agli Efesini ci offre una diversa indicazione: ci esorta a lasciarci incorporare e riedificare tutti nell’uomo nuovo, nella nuova umanità che Cristo ha inaugurato. Come è stato notato, “l’unità non può essere creata dagli uomini, essi possono solo riconoscerla” (J. Gnilka). La vera Chiesa non è opera nostra: ci precede ed è opera di Cristo. Il nostro compito è quello di lasciarci incorporare a essa.
Quando lo adempiamo, lasciandoci sgrezzare umilmente dal Signore come pietre vive, quando smettiamo di “progettare a tavolino” la Chiesa, quando ci lasciamo condurre là dove non vogliamo, allora fiorisce l’unità e, anche in mezzo a divisioni, le mura diventano ostacoli superabili” (Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, 365 giorni con il Papa, pp. 47-48).

Le Chiese locali, nella loro forma molteplice, sono realmente un’unica Chiesa
“La meta vera e propria di ogni sforzo ecumenico - in Chiesa, ecumenismo e politica, pp. 117 - dev’essere e rimanere naturalmente quella di cambiare il “plurale” delle Chiese locali, che nella loro forma molteplice sono realmente un’unica Chiesa. Ma a me sembra che, nella situazione concreta, è importante porre degli obiettivi realistici intermedi, perché altrimenti l’entusiasmo ecumenico può cambiarsi in rassegnazione o in un’amarezza nuova, che indica ogni volta nell’altro la colpa del fallimento delle grandi idealità. Allora, gli esiti potrebbero rivelarsi ben peggiori del promettente inizio.
Gli obiettivi intermedi saranno diversi secondo i diversi progressi fatti dai singoli dialoghi tra le confessioni. La testimonianza della carità (opere caritative e sociali) dovrebbe essere compiuta per principio sempre insieme, o per lo meno dovremmo accordarci al riguardo a vicenda, qualora organizzazioni distinte appaiono più efficaci per motivi tecnici. Allo stesso modo bisognerebbe sforzarsi di rendere insieme testimonianza quanto alle grandi questioni morali. E infine si dovrebbe realizzare una fondamentale testimonianza comune della fede davanti a un mondo sconvolto da dubbi e paure, e quanto più ampiamente, tanto meglio. Ma se ciò potesse accadere solo in misura minima, bisognerebbe ugualmente dire insieme quanto è possibile dire. Tutto ciò dovrebbe anche far sì che la comune esistenza cristiana venga all’interno delle diverse confessioni sempre più riconosciuta e amata, nonostante le divisioni; che la divisione stessa non sia più una ragione di opposizione, bensì una sfida in direzione di una comprensione e accettazione vicendevole dell’altro; il che significa di più che semplice tolleranza: significa appartenersi nella fedeltà a Gesù Cristo.
Forse in questo atteggiamento, che non perde di vista l’ultima meta, ma ogni volta mira alla meta prossima, si potrà realizzare una maturazione più profonda, in ordine alla piena unità, che non con un’“accelerazione unionistica”, che resta superficiale,e che talvolta produce effetti soltanto fittizi”.

Scoprire piccole comunità di credenti come fatti sempre nuovi, speranza ecumenica per tutti.
“Il futuro della Chiesa - in 365 giorni con il Papa, pp. 41-42 - può dipendere, anzi certamente dipenderà anche nel nostro tempo, dalla forza di quei credenti che hanno radici profonde, e vivono un’esistenza ricolma della luminosa pienezza della fede…
Sarà certamente una Chiesa consapevole della sua natura di realtà religiosa, che non si accrediterà sulla base della sua potenza politica e non amoreggerà né con le “destre” né con le sinistre”. Avrà un’esistenza faticosa, poiché la nuova configurazione e il suo rinnovamento le costeranno una purificazione nella quale si consumeranno anche molte delle sue forze migliori.
Sarà una Chiesa che ha imboccato la strada della povertà, e sarà in particolare la Chiesa dei piccoli e dei deboli: un processo, questo, tanto più delicato e rischioso, in quanto dovrà guardarsi e dalla grettezza di parte e dalla testardaggine magniloquente.
Si può prevedere che ciò sarà valido per ogni tempo. Sarà un’evoluzione lunga e tortuosa: proprio come lo è stata la via partendo dalle false istanze progressiste, diffuse alla vigilia della rivoluzione francese, ha condotto fino al rinnovamento effettivo del XIX secolo. In base a queste istanze, anche a dei vescovi poteva sembrare imperativo dell’“attualità” e inesorabile “linea di tendenza” deridere i dogmi, e addirittura lasciar intendere che l’esistenza di Dio non potesse darsi in alcun modo per certa.
Ma dopo la prova di simili divisioni, da una Chiesa che ha riscoperto la sua intima essenza e si è levata di dosso le impalcature che la soffocavano, sgorgheranno sorgenti limpide e feconde. Gli uomini di un mondo in tutto e per tutto “programmato” si ritroveranno in una indicibile solitudine. Quando Dio sarà completamente scomparso dal loro orizzonte, essi proveranno sulla loro pelle una miseria terribile e senza confini. Scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come un fatto del tutto nuovo, una novità assoluta: come una speranza che è anche per loro, come la risposta a una domanda che li ha sempre nascostamente inquietati”.

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