Condividi:

Insistendo sulla "verità del matrimonio" non lavoriamo per l’interesse cattolico ma sempre per l’uomo, maschio-femmina, creatura di Dio

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Questa crisi di senso del matrimonio si fa sentire anche nel modo di pensare di non pochi fedeli. Gli effetti pratici di quella che ho chiamato “ermeneutica della discontinuità e della rottura” circa l’insegnamento del Concilio Vaticano II (Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2005) si avvertono in modo particolarmente intenso nell’ambito del matrimonio e della famiglia. Infatti, ad alcuni sembra che la dottrina conciliare sul matrimonio, e concretamente la descrizione di questo istituto come “intima communitas vitae et amoris” (GS, n.48), debba portare a negare l’esistenza di un vincolo coniugale indissolubile, perché si tratterebbe di un “ideale” al quale non possono essere “obbligati” i “cristiani normali”…in fedele continuità ermeneutica con il Concilio, si è mosso il magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, come anche l’opera legislativa dei Codici tanto latino quanto orientale. Da tali istanze infatti è stato portato avanti, anche a riguardo della dottrina e della disciplina matrimoniale, lo sforzo della “riforma” e del “rinnovamento nella continuità” (Discorso alla Curia romana, cit.). Questo sforzo si è sviluppato poggiando sull’indiscusso presupposto che il matrimonio abbia una sua verità, alla cui scoperta e al cui approfondimento concorrono armonicamente ragione e fede, cioè la conoscenza umana, illuminata dalla Parola di Dio, sulla realtà sessualmente differenziata dell’uomo e della donna, con le loro profonde esigenze di complementarietà, di una donazione definitiva e di esclusività» [Ai membri della Rota romana, 27 gennaio 2007].

Nel discorso di sabato 27 gennaio 2007 ai membri della Rota romana, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Papa ha sviluppato il tema, oggi molto attuale, dell’amore alla verità quale punto di convergenza tra ricerca processuale e servizio pastorale alle persone.”Il contributo dei tribunali ecclesiastici al superamento di questa crisi di senso non è una battaglia di retroguardia ma una parola significativa per il bene di tutti”.
Non va dimenticato che orientando pastoralmente alla causa di nullità matrimoniale la verità “processuale” presuppone, per pastori e giudici, prioritaria la “verità del matrimonio”. E oggi l’espressione “verità del matrimonio” non ha molta rilevanza esistenziale in un contesto culturale segnato dal relativismo e dal positivismo giuridico che considerano il matrimonio come una mera formalizzazione sociale dei legami affettivi. E quindi esso non diventa solo contingente come lo possono essere i sentimenti umani, ma addirittura si presenta come una sovrastruttura legale che la volontà umana potrebbe manipolare a piacimento privandola perfino della sua indole eterosessuale.
Ma il Papa osserva che questa crisi sul senso del matrimonio si fa sentire anche nel modo di pensare di non pochi fedeli come effetti pratici di quella “ermeneutica della discontinuità e della rottura” circa l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Per cui si dovrebbe giungere a negare l’esistenza di un vincolo coniugale indissolubile, perché si tratterebbe di un “ideale” al quale non possono essere “obbligarti” i “cristiani normali”. E quindi si è diffusa in certi ambienti ecclesiali la convinzione secondo cui “il bene pastorale delle persone in situazione matrimoniale irregolare esigerebbe una sorta di loro regolarizzazione canonica indipendentemente dalla validità o nullità del loro matrimonio, indipendentemente cioè dalla “verità” circa la loro condizione personale”. E allora la via della dichiarazione di nullità matrimoniale di fatto assume il significato di strumento giuridico per raggiungere tale obiettivo “pastorale”, secondo una logica in cui il diritto diventa la formalizzazione delle pretese soggettive.

“Rinnovamento nella continuità ermeneutica con il Concilio
Nella logica del “rinnovamento nella continuità ermeneutica con il Concilio” si è mosso il magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, come pure anche l’opera legislativa dei Codici tanto latino quanto orientale. Questo sforzo si è sviluppato “poggiando sull’indiscusso presupposto che il matrimonio abbia una sua verità, alla cui scoperta e al cui approfondimento concorrono armonicamente ragione e fede, cioè la conoscenza umana, illuminata dalla Parola di Dio, sulla realtà sessualmente differenziata dell’uomo e della donna, con le loro profonde esigenze di complementarietà, di donazione definitiva ed esclusiva”.
La verità antropologica e salvifica del matrimonio - anche nella sua dimensione giuridica - viene presentata già nella Sacra Scrittura con la risposta di Gesù a quei farisei che gli chiedevano il suo parere circa la liceità del ripudio: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi” (Mt 19,4-6). Le citazioni della Genesi (1,27;2,24) ripropongono la verità matrimoniale del “principio”, quella verità la cui pienezza si trova in rapporto all’unione di Cristo con la Chiesa (Ef 5,30-31) e che è stata oggetto di così ampie e profonde riflessioni da parte di Papa Giovanni Paolo II nei suoi cicli di catechesi sull’amore umano nel disegno divino. E proprio a partire da questa unità duale della coppia umana si può elaborare un’autentica antropologia giuridica del matrimonio, particolarmente con le illuminanti parole conclusive di Gesù: “Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi”. Ogni matrimonio è certamente frutto del libero consenso dell’uomo e della donna, ma la loro libertà traduce in atto la capacità naturale inerente alla loro mascolinità e femminilità. L’unione avviene in virtù di Dio stesso, che li ha creati maschio e femmina e dà loro il potere di unire per sempre quelle dimensioni naturali e complementari delle loro persone. L’indissolubilità del matrimonio non deriva dall’impegno definitivo dei contraenti, ma è intrinseca alla natura del “potente legame stabilito dal Creatore”. I contraenti si devono impegnare definitivamente proprio perché il matrimonio è tale nel disegno della creazione e della redenzione. E la giuridicità essenziale del matrimonio risiede proprio in questo legame, che per l’uomo e la donna rappresenta un’esigenza di giustizia e di amore, a cui, per il loro bene e per quello di tutti, essi non si possono sottrarre senza contraddire ciò che Dio stesso ha fatto in loro.

La bellezza della verità del matrimonio
E per superare quel positivismo per cui si tratterebbe unicamente dell’applicazione di una norma umana formalmente valida senza una fondazione veritativa del diritto Benedetto XVI ha richiamato la via tradizionale della Chiesa nella comprensione della dimensione giuridica dell’unione coniugale sulla scia degli insegnamenti di Gesù, degli Apostoli e dei Santi Padri. “Di fronte alla relativizzazione soggettivistica e libertaria dell’esperienza sessuale - ha affermato Benedetto XVI - la tradizione della Chiesa afferma con chiarezza l’indole naturalmente giuridica del, matrimonio, cioè la sua appartenenza per natura all’ambito della giustizia nelle relazioni interpersonali. In quest’ottica, il diritto s’intreccia davvero con la vita e con l’amore come un suo intrinseco dover essere. Perciò, come ho scritto nella mia prima enciclica, “in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione” (Deus caritas est, 11). Amore e diritto possono così unirsi fino al punto di far sì che marito e moglie si debbano a vicenda l’amore che spontaneamente si vogliono: l’amore è in essi frutto del loro libero volere il bene dell’altro e dei figli; il che, del resto, è anche esigenza dell’amore verso il proprio bene”.
Il Papa avverte che l’intero operato ella Chiesa e dei fedeli in campo familiare non è “un interesse cattolico” ma una risposta a chi cerca di dissimulare una contraffazione della realtà coniugale per arrivare a sostenere che niente sarebbe giusto o ingiusto nelle relazioni di coppia, ma unicamente rispondente o no alla realizzazione delle aspirazioni soggettive di ciascuna delle parti.
Urge superare la crisi di senso sul matrimonio nella Chiesa e nella società civile per riscoprire la bellezza di quella “verità sul matrimonio” - la verità del “principio” - che Gesù ci ha pienamente insegnato e che lo Spirito Santo ci ricorda continuamente nell’oggi della Chiesa.

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"