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La famiglia nella sua unicità irripetibile

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Sappiamo bene come la famiglia fondata sul matrimonio costituisca l'ambiente naturale per la nascita e l'educazione dei figli, e quindi per assicurare l'avvenire dell’intera umanità. Sappiamo però pure come essa sia segnata da una profonda crisi e debba oggi affrontare molteplici sfide. Occorre pertanto difenderla, aiutarla, tutelarla e valorizzarla nella sua unicità irripetibile. Se questo impegno compete in primo luogo agli sposi, è anche prioritario dovere della Chiesa e di ogni pubblica istituzione sostenere la famiglia attraverso iniziative pastorali e politiche, che tengano conto dei reali bisogni dei coniugi, degli anziani e delle nuove generazioni» [Angelus, 4 febbraio 2007]

La tutela di ogni vita umana in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale, la tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli e l’unicità della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale, sono la ragione stessa, la finalità, l’anima dello strumento democratico di gestire il potere politico. Lo strumento della democrazia senza il presupposto e la finalità di questi valori non negoziabili si trasforma in tirannia del relativismo, in una perdita della propria identità e, a lungo andare, può degenerare in totalitarismo aperto e insidioso.
A proposito della democrazia e del suo attuale rischio di svuotarla nel suo significato originale a servizio del “valore incomparabile di ogni persona umana” (Evangelium vitae, n. 2) facendo della maggioranza l’unica fonte di ogni legge e di ogni diritto c’è un intervento illuminante di Benedetto XVI, nel messaggio inviato alla Fondazione Magna Carta nell’ottobre 2005: “Formulo poi l’auspicio che la riflessione che si farà sul tema ‘Libertà e laicità’ tenga conto della dignità dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali, che rappresentano valori previi a qualsiasi giurisdizione statale. Questi diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, ma sono inscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al Creatore. Se quindi appare legittima e proficua una sana laicità dello Stato, in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo norme loro proprie, alle quali appartengono anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo…Tra queste istanze, primaria rilevanza ha sicuramente quel ‘senso religioso’ in cui si esprime l’apertura dell’essere umano alla Trascendenza. Anche a questa fondamentale dimensione dell’animo umano uno Stato sanamente laico dovrà logicamente riconoscere spazio nella sua legislazione. Si tratta, in realtà, di una ‘laicità positiva’, che garantisca ad ogni cittadino di vivere la propria fede religiosa con autentica libertà anche in ambito pubblico. Per un rinnovamento culturale e spirituale dell’Italia e del Continente Europeo occorrerà lavorare affinché la laicità non venga interpretata come ostilità alla religione, ma al contrario, come impegno a garantire tutti, singoli e gruppi, nel rispetto delle esigenze del bene comune, la possibilità di vivere e manifestare le proprie convinzioni religiose”.
C’ una consonanza con Jurgen Habermas, forse il più noto filosofo vivente, personaggio della sinistra democratica e teorico del cosiddetto patriottismo costituzionale. Egli in un confronto con Joseph Ratzinger, riconosce al linguaggio religioso il diritto di essere presente nello spazio pubblico purché parli secondo ragione, e alla stessa religione il diritto di tradurre i suoi contributi in linguaggio laico affinché possano agire sulle decisioni che vincolano giuridicamente i cittadini. “Una religione deve rinunciare a questa pretesa di modellare in tutti i suoi aspetti l’esistenza, ivi compresa la comunità, non appena nelle società pluralistiche la vita della comunità religiosa si differenzia da quella più ampia comunità politica. Allora le grandi religioni debbono ancora una volta appropriarsi in base alle proprie premesse dei fondamenti normativi dello Stato liberale anche quando - come nel caso europeo della tradizione cristiano-giudaica - sussista fra loro un nesso genealogico” (J. Habermas, Tra scienza e fede, 2006, 161). Pertanto “tramite la partecipazione alle controversie nazionali circa questioni morali ed etiche, le comunità religiose possono promuovere un’idea post-secolare di sé della società nel suo complesso, per la quale, anche in un ambiente che si va senza sosta laicizzando, bisogna fare i conti con la vitale sopravvivenza della religione” (Idem, p. 210). “Questa riflessione apre la strada a una concezione dialettica della laicizzazione culturale. Se intendiamo la modernizzazione della coscienza pubblica in Europa come un processo di apprendimenti che investe e insieme modifica le mentalità religiose così come quelle laiche, costringendo la tradizione dell’Illuminismo, al pari delle dottrine religiose, a riflettere sui rispettivi limiti, allora una luce diversa cade sullo scontro internazionale tra le grandi culture e religioni mondiali” (Idem, p. 212). Pur discutibili su questo o quel punto,le posizioni del pensatore tedesco hanno uno spessore di grande equilibrio in questo momento storico.

Sulla difesa della famiglia nella sua unicità irripetibile è prioritario l’impegno anche politico della Chiesa
In una società democratica, “l’autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica - ma non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto” o ci si augura venga raggiunto anche nell’ambito dell’islam, di altre religioni e culture. Questo cinque anni fa ha detto una nota della Congregazione della fede nell’orizzonte di non confondere “ciò che è di Cesare” e “ciò che è di Dio”, sancito anche dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes. Benedetto XVI è stato ancora più esplicito: “La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile”. Ecco perché la difesa, la tutela della famiglia fondata sul matrimonio nella “sua unicità irripetibile” è “impegno che compete in primo luogo agli sposi”, come cittadini.
Ma “la Chiesa che non è e non intende essere un agente politico” tuttavia “ha un interesse profondo per il bene della comunità politica”. Non vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Ma non può non contribuire a far sì che valori non negoziabili di diritto naturale, inscritti nel cuore di ogni uomo, senza i quali si dissolve lo stesso strumento democratico e politico, non siano condivisi perché “in questo punto - scrive Benedetto XVI nella sua prima enciclica - politica e fede si toccano”.
Questo passaggio può essere una indicazione anche a quei cattolici democratici che pur muovendo da un giudizio etico - morale conforme al Magistero anche su valori non negoziabili accettano il compromesso, dando priorità al democratico al cattolico. Pur legittima la differenziazione politica non è ammessa su questi valori la diaspora culturale anche militando in posizioni alternative. E non è accettabile la cosiddetta “scelta religiosa”, l’”opzione spirituale”, secondo la quale “le leggi cambieranno da sole quando, con il nostro apostolato, avremo cambiato il cuore della gente”. Giovanni Paolo II, al numero 20 dell’Evangelium vitae, afferma la non negoziabilità di questi valori e in continuità Benedetto XVI pur dovendo a volte assumere posizioni coraggiose, minoritarie e integrali.

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