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Nei valori non negoziabili... i cattolici devono finalizzare lo strumento della democrazia

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Nella cultura democratica del nostro tempo si è largamente diffusa l'opinione secondo la quale l'ordinamento giuridico di una società dovrebbe limitarsi a registrare e recepire le convinzioni della maggioranza e, pertanto, dovrebbe costruirsi solo quando la maggioranza stessa riconosce e vive come morale. (...) Comune radice di tutte queste tendenze è il relativismo etico che contraddistingue tanta parte della cultura contemporanea. (...) In realtà, la democrazia non può essere mitizzata fino a farne un surrogato della moralità o un toccasana dell'immoralità. Fondamentalmente, essa è un "ordinamento" e, come tale, uno strumento e non un fine» [Evangelium vitae, n. 60 e 70].


Cristiani e altri uomini preoccupati della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, non ritengono possibile la “sintesi” tra due concezioni antropologicamente non assimilabili per una legge sulle coppie di fatto. Se i politici, nella loro valutazione autonoma, ritengono che essa sia necessaria può essere anche sopportata purché si limiti a promuovere, garantire, evidenziare meglio i diritti delle persone coinvolte nelle unioni di fatto. Ma se per il linguaggio adottato o per i contenuti delle norme la legge dovesse dar luogo a un riconoscimento qualsiasi di coppie non fondate sul matrimonio, non monogamiche e non eterosessuali il sostenerle qualificandosi cattolici democratici non è accettabile perché lontana dal modo di concepire la coppia umana e la famiglia che la stessa Costituzione italiana ha messo al primo posto.
L’Italia, nell’insieme dell’Europa, può porsi come modello di resistenza al piano inclinato sul quale rischia di scivolare tutto il mondo restando fedele alla famiglia monogamica ed eterosessuale, mantenendo la guardia sulla sua libertà di educazione e sulla difesa della vita dal concepimento alla morte naturale. E questo non solo a livello di pastorale continua ma anche con scelte politiche. Non si può accettare la scelta di coloro che dicono, anche per i valori non negoziabili, le leggi cambieranno da sole quando, con il nostro apostolato, avremo cambiato il cuore della gente. Occorre che da noi la vita cristiana mantenga la sua capacità di incidenza sulla vita pubblica per i principi che devono restare tali e valere per tutti e non relegarli solo ai momenti privati. Circa le coppie omosessuali il mutamento antropologico è drammatico e la coppia umana da sempre è data dall’unione dell’uomo e della donna. E solo a partire da questa unità duale si può avere una vera antropologia legislativa del matrimonio. E qui urge lavorare perché non si smarrisca il principio, già affermato fin dal libro della “Genesi”, illuminato dalle parole di Gesù. Ogni matrimonio è certamente frutto del libero consenso dell’uomo e della donna, ma la loro libertà traduce in atto la capacità naturale inerente alla loro mascolinità e femminilità. Per ogni politico, anche cattolico - democratico, la responsabilità etica viene prima di quella politica, del bene comune della politica. E occorre puntare che anche nella fase politica vi sia - per i cristiani di fede o di ragione - lo spazio per far valere con coraggio e chiarezza le proprie convinzioni e difendere per tutti i valori non democraticamente negoziabili, perché sono lo scopo stesso dello strumento politico della. A livello pastorale occorre un maggiore impegno culturale.

Fin dal libro della “Genesi” la pienezza dell’umano si trova nella reciprocità dell’uomo e della donna e non altrove
E’ chiaro che uomo e donna - osserva Albert Vanhoye in Il pane quotidiano della parola, pp. 324 -326 - sono diversi e questa diversità può suscitare tutta una gamma di sentimenti. Si può provare una certa irritazione ad aver bisogno di qualcuno diverso da sé; c’è una tentazione di disprezzare ciò che è diverso. Gli uomini sono tentati di misoginia e le donne di misantropia: si è cioè tentati di valorizzare le proprie qualità e di diminuire rispettivamente la donna o l’uomo. E’ una tentazione molto profonda, alla quale la Bibbia reagisce nel racconto di Genesi 2, 18-25, che ha proprio lo scopo di dimostrare che l’uomo e la donna sono complementari, che la loro diversità ha il senso di una vocazione all’amore nell’unità.
Platone, uno dei massimi filosofi dell’antichità, era un seguace della teoria della metempsicosi e spiegava che ogni anima deve prendere un corpo e in esso vivere bene per poter in seguito tornar in cielo. Ora, le anime vanno dapprima in un corpo maschile. Se in esso si comportano male, sono condannate a passare poi in un corpo di donna; se continuano a comportarsi male, allora finiscono in un corpo di animale. Anche un uomo della statura morale e intellettuale di Platone rifletteva il disprezzo per la donna della sua epoca. Il racconto della Bibbia vuole insistere sulla fondamentale uguaglianza e la profonda unità dell’uomo e della donna. Dio cerca un aiuto per l’uomo, constata cioè che l’uomo ha bisogno di un aiuto. E l’uomo deve accettare l’idea di non essere completo in sé,di aver bisogno di un aiuto simile a lui: è a questo punto che il racconto biblico pone la creazione degli animali. Come mai? Ebbene, proprio per affermare che la donna non è un animale. In molte civiltà essa è considerata e trattata come una bestia da soma, ma il racconto della Bibbia dimostra che gli animali sono diversi dall’uomo, sono a un altro livello e l’uomo non può trovare in essi l’aiuto che gli è necessario. Quanto questo è attuale quando si esclude Dio dalla cultura, dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile perché si vive in un mondo che si presenta sempre come opera nostra e Dio superfluo ed estraneo. “In stretto rapporto con tutto questo, - osserva Benedetto XVI nel Convegno ecclesiale di Verona - ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale”.
All’origine Dio interviene per dare all’uomo l’aiuto di cui ha bisogno: “Il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolta all’uomo una donna e la condusse all’uomo”. E’ un modo immaginoso di dire la profonda unità esistente tra l’uomo e la donna. Ed è questa unità che l’uomo riconosce esclamando: “Essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna (in ebraico: “ishsha”) perché dall’uomo (“ish”) è stata tolta”.
L’uomo dunque riconosce che la donna è l’aiuto di cui aveva bisogno - aver bisogno è sempre, in un certo senso, essere inferiore - e la donna da parte sua deve riconoscere che è fatto per l’uomo.
Evidentemente con Cristo qualcosa cambia in questa concezione dei rapporti fra uomo e donna. San Paolo scrive che in Cristo non c’è più uomo e donna, che l’uguaglianza è diventata molto più fondamentale: non c’è più Giudeo o pagano, non c’è più libero e schiavo: tutti sono uno in Cristo Gesù. Questa unità in Cristo relativizza ogni differenza. In un altro passo san Paolo dice che non c’uomo senza donna, né donna senza l’uomo; l’uomo nasce dalla donna, e tutto ciò viene da Dio.
C’è dunque, tra l’uomo e la donna, un rapporto che rimane rapporto di diversità, di complementarietà necessaria per farci crescere nell’amore; sappiamo bene infatti che questa diversità è un mezzo che Dio ha impiegato per obbligarci a progredire nell’amore, a uscire da noi stessi per accettare l’altro. Amare qualcuno che è identico a sé è ancora un certo modo di rimaner bloccati in se stessi, cercare l’immagine di se stesi in un altro, come Narciso che cerca la propria immagine nell’acqua e vi annega, mentre accettare qualcuno diverso da sé è uscire da sé, è fare qualche passo nell’amore, che è sempre un uscire da sé.
“Se siete fidanzati - Messaggio di Benedetto XVI per la XXII giornata mondiale della gioventù (1 aprile 2007) -, Dio ha un progetto di amore sul vostro futuro di coppia e di famiglia ed è quindi essenziale che voi lo scopriate con l’aiuto della Chiesa, liberi dal pregiudizio diffuso che il cristianesimo, con i suoi comandamenti e i suoi divieti, ponga ostacoli alla gioia dell’amore e impedisca in particolare di gustare pienamente quella felicità che l’uomo e la donna cercano nel loro reciproco amore. L’amore dell’uomo e della donna è all’origine della famiglia umana e la coppia formata da un uomo e una donna ha il suo fondamento nel disegno originario di Dio (Gn 2,18-25). Imparare ad amarsi come coppia è un cammino meraviglioso, che tuttavia richiede un tirocinio impegnativo. Il periodo del fidanzamento, fondamentale per costruire la coppia, è un tempo di attesa e di preparazione, che va vissuto nella castità dei gesti e delle parole. Ciò permette di maturare nell’amore, nella premura e nell’attenzione verso l’altro; aiuta ad esercitare il dominio di sé, a sviluppare il rispetto dell’altro, caratteristiche tutte del vero amore che non ricerca in primo luogo il proprio soddisfacimento né il proprio benessere”.

La verità matrimoniale del “principio” ripropone quella verità la cui pienezza si trova in rapporto all’unione di Cristo con la Chiesa
L Sacra Scrittura non ha trovato simbolo migliore, per esprimere l’amore di Dio, dell’amor dell’uomo e della donna. Il Cantico dei Cantici prende l’amore di un giovane uomo e di una giovane donna come simbolo dell’amore di Dio per il suo popolo. Nell’Apocalisse la Chiesa è rappresentata come una donna amata da un uomo: è una fidanzata, una sposa, I Padri della Chiesa nel racconto della creazione hanno visto il rapporto tra Cristo e la Chiesa. “Dio tolse dal suo fianco una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto”. E il fianco di Cristo dovette essere aperto perché fosse formata la Chiesa, come dal fianco aperto di Adamo fu formata Eva. Questa immagine è radicata nella nostra natura dalla stessa creazione e ci permette di comprendere meglio che cosa è l’amore. Dio è amore, e nel rapporto tra uomo e donna egli concretizza questo amore.
Di fronte alla relativizzazione soggettivistica e libertaria dell’esperienza sessuale stiamo vivendo un’epoca dominata drammaticamente dall’eclissi delle differenze e dagli orizzonti corti, che tende a dilatare la sfera del soggettivo e dei desideri, scambiandoli per bisogni e si pretende addirittura che vengano garantiti per leggi. Ecco l’esplosione di luce dell’enciclica Deus caritas est, al n. 11: “In un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione”.
Amore e riconoscimento, promozione, della struttura naturale della famiglia possono unirsi fino al punto da far sì che marito e moglie si debbano a vicenda l’amore che spontaneamente si vogliono: l’amore è in essi il frutto del loro libero volere il bene dell’altro e dei figli; il che, del resto, è anche esigenza dell’amore verso il proprio bene.

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