Condividi:

La preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«C’è un… dettaglio, proprio nel racconto di san Luca, che merita di essere sottolineato: l’indicazione cioè dell’oggetto della conversazione di Gesù con Mosè ed Elia, apparso accanto a Lui trasfigurato. Essi - narra l’Evangelista - “parlavano della dipartita (in greco éxodos), che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (9, 31). Dunque, Gesù ascolta la Legge e i Profeti che gli parlano della sua morte e risurrezione. Nell’ intimo con il Padre, Egli non esce dalla storia, non sfugge alla missione per la quale è venuto nel mondo, anche se sa che per arrivare alla gloria dovrà attraversare la Croce. Anzi Cristo entra più profondamente in questa missione, aderendo con tutto se stesso alla volontà del Padre, e ci mostra che la vera preghiera consiste proprio nell’unire la nostra volontà a quella di Dio.» [Benedetto XVI, Angelus II Domenica di Quaresima, 4 marzo 2007].

Per un cristiano, pertanto, pregare non è evadere dalla realtà e dalle responsabilità che essa comporta, ma assumerle fino in fondo, confidando nell’amore fedele e inesauribile del Signore. Per questo, la verifica della trasfigurazione è, paradossalmente l’agonia nel Getsemani (Lc 22, 39-46). Nell’imminenza della passione, Gesù ne sperimenterà l’angoscia mortale e si affiderà alla volontà divina; in quel momento la sua preghiera sarà pegno di salvezza per tutti noi. Cristo, infatti, supplicherà il Padre celeste di “liberarlo dalla morte” e, come scrive l’autore della lettera agli Ebrei, “fu esaudito per la sua pietà” (5 ,7). Di tale esaudimento è prova la risurrezione.
Cari fratelli e sorelle, la preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita e di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso.

Per Ratzinger l'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero filosofico greco non è stato un semplice caso, ma la concretizzazione storica del rapporto intrinseco tra rivelazione e razionalità. Ma questo è soltanto metà del discorso: l'altra metà è costituita dalla novità radicale e dalla diversità profonda della rivelazione biblica rispetto alla razionalità greca e, ciò anzitutto riguardo al tema centrale di chi è Dio, Padre che vuole tutti salvi, e del suo rapporto personale con ogni uomo.
J. Ratzinger mette grande impegno nel mostrare l'esame dei testi biblici, dal racconto del roveto ardente in Esodo 3 fino alla formula "Io sono" che Gesù applica a se stesso nel Vangelo di Giovanni: l'unico Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento è l'Essere che esiste da se stesso e in eterno, tutto in Atto fondamento dell'atto d'essere di ogni ente che viene all'esistenza, cui puntano i filosofi.
Ma egli sottolinea con uguale forza che questo Dio supera radicalmente ciò che i filosofi erano giunti ad argomentare di Lui. In primo luogo, infatti, Dio è nettamente distinto dalla natura, dal mondo che Egli liberamente ha creato per amore: solo così la "fisica" e la "metafisica" giungono a una chiara distinzione l'una dall'altra. Ma soprattutto questo Dio, non è un'idea, una realtà astratta, non è una realtà inaccessibile, che noi personalmente non possiamo incontrare in un io - Tu e a cui sarebbe inutile rivolgersi nella preghiera, come ritenevano i filosofi. Tant'è vero che si diventa cristiani con un avvenimento, una preghiera cioè un incontro con la Persona divina, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Ecco perché la preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita e di morte. Solo chi prega, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella via eterna, che è Dio stesso. Solo la preghiera rende cristiano il cristiano.

Dio ci è sempre davanti da persona a persona
Il cristianesimo non è un moralismo, qualcosa che facciamo noi. Anzitutto è Dio, la Persona del Padre, la Persona del Figlio, la Persona dello Spirito Santo che si è unito in qualche modo ad ogni uomo con l'Incarnazione del figlio, che crocefisso e risorto ci viene incontro e poi noi possiamo andare con Lui, incontrarlo, ascoltarlo, pregarlo, lasciarci assimilare a Lui in modo che le nostre energie interiori si liberano. E la preghiera, così continua, ci fa esperimentare il primato di Cristo, il primato dell'interiorità di ogni io, di ogni cuore, puntando, per amore, a giusti comportamenti in ogni ambito o santità. Quando questo elemento fondamentale non è rispettato, c'è da meravigliarsi se i progetti pastorali vanno incontro al fallimento e lasciano nell'animo un avvilente senso di frustrazione? Al di sopra del nostro attivismo occorre tornare a imparare il primato della preghiera cioè dell'intimità con la Sua presenza: è la componente mistica del cristianesimo che deve nuovamente guadagnare forza.

Dalla preghiera personale alla preghiera liturgica comune, in primo luogo l'Eucaristia domenicale
La domenica come giorno della resurrezione e l'Eucaristia come incontro con il Risorto costituiscono un insieme per cui dalla preghiera personale, in maniera del tutto conseguente si procede fino alla preghiera liturgica, alla Liturgia delle Ore, in primo luogo l'Eucaristia domenicale. Il tempo ha bisogno di un suo ritmo interno. Esso ha bisogno della corrispondenza tra il quotidiano del nostro lavoro e l'incontro festivo con Cristo nella Chiesa, nel sacramento. Pastoralmente occorre riguadagnare la domenica. Il tempo riceve così il suo ordine interno, Dio ritorna il punto di partenza e il punto di arrivo del tempo. Allo stesso tempo questo è anche il giorno della comunità umana, il giorno della famiglia, in piccolo, e il giorno in cui si forma la grande famiglia, la famiglia di Dio nella Chiesa, e la Chiesa diventa esperienza di vita. "Dove la Chiesa - continua il card. Ratzinger in Vi ho chiamato amici, pp. 108-110 - conosce solo riunioni e pezzi di carta, lì non la si conosce. Lì essa diventa scandalo, perché o si riduce a oggetto del nostro fare o appare qualcosa di imposto dall'esterno, qualcosa di estraneo. Noi conosciamo la Chiesa dall'interno solo se la esperimentiamo nel punto dove essa va oltre se stessa, dove il Signore entra in lei e la rende sua casa e, per ciò stesso, noi diventiamo suoi fratelli. Per questo è anche importante la degna celebrazione dell'Eucaristia, in cui deve apparire questa autoespropriazione della Chiesa. Non siamo noi a fare la liturgia. Noi non inventiamo qualcosa, come fanno i comitati organizzatori di feste mondane o come fanno i conduttori di quiz. Il Signore viene. La liturgia giunge a noi da lui, maturata a partire dagli apostoli nella fede della Chiesa; noi entriamo in essa, e non la facciamo noi. Solo così ha luogo la festa, e la festa, come anticipazione della libertà futura, è indispensabile per la persona umana. Si potrebbe anche dire: questo è il compito della Chiesa, donarci l'avvenimento della festa. La festa è sorta in tutta la storia dell'umanità come evento cultuale e non è pensabile senza la presenza del divino. La sua piena grandezza si verifica quando Dio diventa realmente nostro ospite e ci invita al suo banchetto".

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"