Condividi:

Praticare l’amore appartiene all’essenza della Chiesa tanto quanto il servizio dei sacramenti e l’annuncio del Vangelo

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Con il passare degli anni e con il progressivo diffondersi della Chiesa, l’esercizio della carità si confermò come uno dei suoi ambiti essenziali, insieme con l’amministrazione dei Sacramenti e l’annuncio della Parola: praticare l’amore verso le vedove e gli orfani, verso i carcerati, i malati e i bisognosi di ogni genere appartiene alla sua essenza tanto quanto il servizio dei Sacramenti e l’annuncio del Vangelo. La Chiesa non può trascurare il servizio della carità così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola» [Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, n. 22].

Il cardinale Carlo Caffarra, in un intervento del 10 marzo 2007 a Bologna, ha illustrato la tesi fondamentale enunciata da Benedetto XVI e cioè “praticare l’amore appartiene all’essenza della Chiesa tanto quanto il servizio dei sacramenti e l’annuncio del Vangelo” (n. 22).
Il s. Padre non sta parlando dell’amore verso il prossimo in quanto compito e prassi di ogni singolo fedele: non è una affermazione etica. Sta parlando dell’amore verso il prossimo in quanto compito e prassi della Chiesa come tale: è una affermazione ecclesiologica. Essa riguarda sia i suoi tre fondamentali stati cristiani di vita e cioè coniugale, consacrato, sacerdotale, e sia a tutti i suoi livelli: dalle comunità locali (= parrocchie, movimenti, nuove comunità) alla Chiesa particolare, dalla Chiesa particolare alla Chiesa universale.
L’equiparazione di “pratica della carità”, “servizio dei Sacramenti”, “annuncio del Vangelo” viene compiuta dal s. Padre in rapporto all’essenza della Chiesa. Ciò che definisce la Chiesa è “tanto quanto” l’esercizio della carità, la celebrazione dei sacramenti,la predicazione del Vangelo. Togli dalla Chiesa una di queste tre attività e non hai più la Chiesa nella sua intera realtà o verità. La “pratica della carità” ha la stessa dignità della liturgia e della predicazione della Parola di Dio e quindi “praticare l’amore appartiene all’essenza della Chiesa tanto quanto il servizio dei sacramenti e l’annuncio del Vangelo”. Così Giussani intendeva la “caritativa” nel percorso educativo alla fede ecclesiale.
Sant’Agostino dice: “Abbraccia il Dio amore e abbraccia Dio con l’amore. E’ quello stesso amore che associa tutti gli Angeli buoni e tutti i servi di Dio con il vincolo della santità e che ci unisce scambievolmente insieme, essi e noi, unendoci a lui che è al di sopra di noi. Quanto più dunque siamo esenti dal gonfiore della superbia, tanto più siamo pieni di amore” (De Trinitate VIII, 8, 12). Qui si “definisce” la Chiesa in tutta la sua verità più profonda: la Chiesa è un “vincolo”, è una “unione”, sono vissuti fraterni di comunione posti in essere dall’amore che è Dio e dall’amore che ama. Non si definisce la Chiesa come una comunità posta in essere da una prassi umana, l’esercizio della carità; e quindi soggetta all’incerta perseveranza dell’uomo in esso. Si definisce la Chiesa come partecipazione alla vita di Dio-Amore: una partecipazione che ci può essere solo donata come un avvenimento, una grazia. Da questo punto di vista la Chiesa non è soggetta all’infedeltà umana poiché è fondata sulla fedeltà divina: da questo vi riconosceranno che siete miei, mio corpo, Chiesa, quando constateranno che vi amate con il mio amore dato in dono dal mio Spirito.
Incontro una realtà, accade un fatto: Dio ha messo a disposizione Se stesso dell’uomo e degli angeli; questa disponibilità divina è la Chiesa, nella quale la vita di Dio - Amore diventa storia umana, vissuto esistenziale di comunione fraterna. Ogni uomo vi partecipa o rifiuta di parteciparvi senza che questo intacchi la misura della disponibilità divina. In rapporto ad essere illuminato, dipende da me pormi nello spazio luminoso, chiederlo nella preghiera, o in luogo non illuminato, ma la mia posizione né aumenta né diminuisce la luminosità della sorgente ecclesiale luminosa.
Se l’intima essenza dell’avvenimento, della grazia cioè dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo risorto nel vissuto fraterno di comunione ecclesiale autorevolmente guidato è “quello stesso amore che associa tutti gli Angeli buoni e tutti i servi di Dio”, ne deriva che l’espressione più alta della Chiesa è l’esercizio della carità. Una sorgente luminosa illumina; una sorgente di calore riscalda: la carità ama concretamente, visibilmente.
Senza la predicazione del Vangelo la Chiesa cesserebbe di esistere perché verrebbe tolta all’uomo la possibilità di creder in Dio: di essere introdotto nella realtà in tutti i fattori o verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza. Senza la celebrazione dei sacramenti la Chiesa cesserebbe di esistere perché verrebbe tolta la possibilità di incontrare, di vivere in Cristo crocefisso risorto, di lasciarsi assimilare a Lui: di essere partecipe della vita divina come figli nel Figlio. Senza l’esercizio della carità la Chiesa darebbe l’annuncio della sua fine perché l’organismo morto non può più agire: la carità è espressione irrinunciabile della sua essenza, è l’anima della sua corposità istituzionale, la presenza in lei dello Spirito.

Conseguenze per l’esercizio ecclesiale della carità della struttura sacramentale e non politica della Chiesa    
Prima conseguenza immediata è che “l’amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato” (n. 20). Basta ricordare il fatto della istituzione dei diaconi (At 6,1-6). L’esercizio ecclesiale della carità esige un ordine altrimenti ci sarebbero poveri emarginati anche all’interno delle comunità cristiane. La Chiesa dunque fin dalle origini ha preso coscienza di questa urgenza: organizzare, ordinare, istituzionalizzare l’esercizio ecclesiale della carità. L’erezione della Caritas diocesana risponde oggi all’esigenza che la carità ha “di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato”. La Caritas diocesana è lo strumento istituzionale mediante il quale il Vescovo, per tutta la Chiesa particolare, il Parroco per la Chiesa locale, esercitano la “presidenza della carità”. Però vale anche nell’organizzazione della carità, per un servizio comunitario ordinato, il principio di sussidiarietà: dove può arrivare la “caritativa” di associazioni, movimenti, nuove comunità la Caritas anima, coordina, promuove.
Secondo orientamento: “Le organizzazioni caritative della Chiesa costituiscono…un suo proprio, un compito a lei congeniale, nel quale essa non collabora collateralmente, ma agisce come soggetto direttamente responsabile, facendo quello che corrisponde alla sua natura” (29,3) cioè il connubio fra “pratica della carità”, “servizio dei sacramenti”, “annuncio del Vangelo”. Non stiamo parlando dell’esercizio della carità del singolo fedele che a nome proprio e collaborando con tutti si fa carico dei bisogni, del bene del prossimo. Un esercizio che va dalle opere quotidiane di misericordia all’attività politica in senso vero e proprio, che in un certo senso è la forma più alta dell’esercizio della carità Stiamo parlando dell’esercizio della carità da parte della Chiesa come tale, che si esprime in Associazioni di fedeli riconosciute, in Congregazioni religiose, in Movimenti ecclesiali, mediante la Parrocchia, e nella sua forma di espressività più alta nella Caritas diocesana e pontificia.
Questo esercizio della carità non deve essere pensato, nella sua natura più profonda, come co-operazione collaterale ad istituzioni civili, ma come operazione specificamente propria. Esiste un esercizio della carità in connubio con la celebrazione dei sacramenti e dell’annuncio del Vangelo nel quale la Chiesa esprime semplicemente se stessa, e quindi quell’esercizio ha una sua propria natura.
Da ciò deriva che la “programmazione” degli interventi caritativi non deve essere fatta da soggetti non ecclesiali. E’ la Chiesa che deve avere gli “occhi del cuore illuminati” per vedere i bisogni dell’uomo. La Chiesa non è la Croce Rossa chiamata a raccogliere i feriti della società civile.
Nell’esercizio suo proprio della carità la Chiesa può anzi in alcuni casi, deve cooperare con altre istituzioni anche pubbliche, ogni volta che lo richiede il bene di ogni persona. Collaborazione che può avvenire ad ogni livello. Essa comunque deve essere ad actum e mai istituzionalizzata.
Parola- Sacramento-Carità si connettono e si richiamano a vicenda. La Parola di Dio, la divina Rivelazione, deve essere custodita nella sua integrità, e come le nostre menti devono essere caste al riguardo, rinunciando ad ogni amplesso che non sia quello della Parola di Dio. Non possiamo cedere a nessun sincretismo culturale. Analogamente, dobbiamo custodire l’ecclesialità del servizio della carità. Solo così avremo cura dell’uomo, di ogni uomo, senza nessuna discriminazione. Mantenendo integra la purezza della nostra carità, custodiremo la struttura sacramentale e non politica della Chiesa e quindi quella capacità di giudizio critico nei confronti del mondo e dei suoi programmi economici, sociali, politici, che è dimensione esenziale del giudizio di fede: “siete stati comperati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini” (1 Cor 7,23).

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"