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Nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«La figura e l’opera di Giustino segnano la decisa opzione della Chiesa antica per la filosofia, per la ragione, piuttosto che per la religione dei pagani. Con la religione pagana, infatti, i primi cristiani rifiutarono strenuamente ogni compromesso. La ritenevano idolatria, a costo di essere tacciati per questo di “empietà” e di “ateismo”. In particolare Giustino, specialmente nella sua prima Apologia, condusse una critica implacabile nei confronti della religione pagana e dei suoi miti, considerati da lui diabolici “depistaggi” nel cammino della verità… [Udienza Generale, 21 marzo 2007].

… La filosofia rappresentò invece l’area privilegiata dell’incontro tra paganesimo, giudaismo e cristianesimo proprio sul piano della critica alla religione pagana e ai suoi falsi miti. (…) Di fatto la religione pagana non batteva le vie del Logos, ma si ostinava su quelle del mito, anche se questo era riconosciuto dalla filosofia greca come privo di consistenza nella verità. Perciò il tramonto della religione pagana era inevitabile: esso fluiva come logica conseguenza del distacco della religione - ridotta a un artificioso insieme di cerimonie, convenzioni e consuetudini - dalla verità dell’essere. Giustino, e con lui gli altri apologisti, siglarono la presa di posizione netta della fede cristiana per il Dio dei filosofi contro i falsi dei della religione pagana. Era la scelta per la verità dell’essere contro il mito della consuetudine. Qualche decennio dopo Giustino, Tertulliano definì la medesima opzione dei cristiani con una sentenza lapidaria e sempre valida. Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine” (De virg. vel. 1,1).Si noti in proposito il termine consuetudo, qui impiegato da Tertulliano in riferimento alla religione pagana, può essere tradotto nelle lingue moderne con le espressioni “moda culturale”, “moda del tempo”»
Benedetto XVI, riflettendo davanti a tutta la Chiesa, sulle grandi figure del suo momento nascente punta ad evangelizzare la cultura e le culture di oggi offrendo la Verità salvifica di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo, partendo dalla convinzione che agli inizi del terzo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità.
Questa crisi ha una duplice dimensione:

  • la sfiducia riguardo la possibilità, per l'uomo, di conoscere la verità su Dio e sulle cose divine,
  • e i dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche, hanno sollevato riguardo ai contenuti e alle origini del cristianesimo.
La gravità e il carattere radicale di una simile crisi si comprendono alla luce di quella che è la natura propria del cristianesimo.
E' certamente vero che esso non è anzitutto "una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (Deus caritas est, n. 1), ma è altrettanto vero che l'opzione per il logos, e non per il mito, ha caratterizzato fin dall'inizio lo stesso cristianesimo. Il Dio di Aristotele e il Dio di Gesù Cristo è unico e lo stesso; Aristotele ha riconosciuto il vero Dio che noi nella fede possiamo comprendere in modo più profondo e più puro e con il quale dialogare nella preghiera, così come noi nella visione di Dio amore dal volto umano in Gesù Cristo nell'al di là comprenderemo ancora più intimamente e più da vicino l'essenza. Si tratta di tre gradi di un unico cammino.
In un'età come la nostra, segnata dal relativismo nel dibattito sui valori e sulla religione - come pure nel dialogo interreligioso - la lezione di san Giustino è da non dimenticare.
Nelle due Apologie e nel Dialogo con l'Ebreo Trifone Giustino intende illustrare il progetto divino della creazione e della salvezza che si compie in Gesù Cristo, il Logos, cioè il Verbo eterno, la Ragione eterna, la Ragione creatrice, la Persona del Donatore divino di ogni essere dono. E ogni uomo concreto, storico nel proprio e altrui essere dono del Donatore divino come in tutto il mondo che lo circonda, in quanto creatura razionale, è partecipe del Logos, ne porta in sé un "seme", e può cogliere i barlumi di verità. Così lo stesso Logos, che si è rivelato come in figura profetica agli Ebrei nella Legge antica, definitivamente nel Verbo incarnato, si è manifestato parzialmente, come in "semi di verità", anche nella filosofia greca. Ora, conclude Giustino, poiché il cristianesimo è la manifestazione storica e personale del Logos nella sua totalità o verità, ne consegue che "tutto ciò che di bello è stato espresso da chiunque, appartiene a noi cristiani" (2 Apol. 13,4). In questo modo Giustino, pur contestando alla filosofia greca le sue contraddizioni, orienta decisamente al Logos qualunque verità filosofica, motivando dal punto di vista razionale la singolare "pretesa" di verità e di universalità della religione cristiana. Se l'Antico Testamento tende a Cristo come la figura orienta verso la realtà significata, la filosofia greca mira anch'essa a Cristo e al vangelo, come la parte tende ad unirsi al tutto. E dice che queste due realtà, l'Antico Testamento e la filosofia greca, sono come le due strade che guidano a Cristo, al Logos. Ecco perché la filosofia greca non può opporsi alla verità evangelica, e i cristiani possono attingervi con fiducia, come un bene proprio. Gerusalemme e Atene sono, storicamente, un connubio provvidenziale. Perciò il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, definì Giustino "pioniere di un incontro positivo col pensiero filosofico, anche nel segno di un cauto discernimento": perché Giustino, "pur conservando anche dopo la conversione grande stima per la filosofia greca, asseriva con forza e chiarezza di aver trovato nel cristianesimo 'l'unica sicura e proficua filosofia' (Dial. 8,1)" (Fides et ratio, 38).
Benedetto XVI ha concluso la catechesi: "vi propongo le ultime parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino sulla riva del mare: "Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire" (Dial. 7,3).

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