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La Croce rivela la pienezza dell’amore di Dio per noi

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«L’amore di Dio per noi, iniziato con la creazione, si è fatto visibile nel mistero della Croce, in quella kenosi di Dio, in quello svuotamento ed umiliante abbassamento del Figlio di Dio che sentiamo proclamare dall’apostolo Paolo nel magnifico inno a Cristo della Lettera ai Filippesi. Sì, la Croce rivela la pienezza dell’amore di Dio per noi. Un amore crocefisso, che non si ferma allo scandalo del Venerdì Santo, ma culmina nella gioia della Risurrezione e Ascensione al cielo e nel dono dello Spirito Santo, Spirito dell’amore per mezzo del quale sono rimessi i peccati e concesso il perdono e la pace nel Sacramento della confessione che ognuno può esperimentare personalmente…» [Celebrazione della Penitenza con i Giovani della Diocesi di Roma in preparazione alla XXII Giornata mondiale della gioventù, 29 marzo 2007].


«…L’amore di Dio per l’uomo, che si esprime in pienezza sulla Croce, è descrivibile con il termine agape, ossia “amore oblativo che cerca esclusivamente il bene dell’altro”, ma pure con il termine eros. Infatti, mentre è amore che offre all’uomo tutto ciò che Dio è, come ho osservato nel Messaggio per questa Quaresima, anche un amore dove il “cuore stesso di Dio, l’Onnipotente, attende il ‘sì’ delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa”. Purtroppo “fin dalle origini l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza (Gn 3,1-7) (ibid.). Ma nel sacrificio della Croce Dio continua a riproporre il suo amore, la sua passione per l’uomo, quella forza che, come si esprime lo Pseudo Dionigi, “non permette all’amante di rimanere in se stesso; ma lo spinge a unirsi all’amato” (PG 3,712), venendo a “mendicare” l’amore alla sua creatura. Questa sera, accostandovi al Sacramento della confessione, potrete fare l’esperienza del “dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla (CCC, 1999) affinché, uniti a Cristo, diventiamo creature nuove»

L’Enciclica Deus caritas est, l’Esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis, il tema della XXII Giornata Mondiale della Gioventù, il comandamento nuovo lasciatoci da Gesù nella notte in cui fu tradito “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34), porta l’azione pastorale di Benedetto XVI al cuore di ogni uomo, mendicante di amore, perché mai come oggi c’è sete di amore in tutti, i giovani in particolare. E questo in continuità con la prima Enciclica Redemptor hominis del servo di Dio Giovanni Paolo II: “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa pienamente” (n. 10). Ancor più il cristiano non può vivere senza amore. Anzi, se non incontra l’amore non può dirsi nemmeno pienamente cristiano perché “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, n. 1).
Oggettivamente fin da bambini, con il Battesimo, siamo nati a vita nuova in virtù della grazia di Dio. Poiché però questa vita nuova, questo innesto di figli nel Figlio, non ha soppresso la debolezza della natura umana, né l’inclinazione al peccato, ci è data la possibilità di un secondo Battesimo finché il peccato ritorna cioè il Sacramento della confessione. Ogni volta che lo si celebra con fede e devozione, soggettivamente l’amore e la misericordia di Dio muovono il nostro cuore, dopo un attento esame di coscienza, verso il ministro di Cristo, che agisce in Persona di Cristo, a cui confessiamo i nostri peccati e da cui attendiamo il suo perdono. Al sacerdote, e così a Cristo stesso, esprimiamo il dolore per i peccati commessi, con il fermo proposito di non peccare più in avvenire e con la disponibilità ad accogliere con gioia gli atti di penitenza che il confessore indica per riparare il danno causato dal peccato. Così esperimentiamo il “perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il recupero, se perduto, dello stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e, almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenza del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano di ogni giorno” (Compendio, 310). Con il lavacro penitenziale di questo Sacramento, con questo battesimo di lacrime siamo riammessi nella piena comunione con Dio e con la Chiesa, compagnia affidabile perché “sacramento universale di salvezza” (Lumen gentium, 48). Pur utili anche la psicoterapia e la psicoanalisi per riparare la psiche umana restano insufficienti senza l’avvenimento dell’incontro sacramentale con chi può liberare il cuore dell’uomo dal giogo di morte: solo Colui che morendo ha sconfitto per sempre la potenza del male con l’onnipotenza dell’amore divino. Chi lo esperimenta ne documenta la larghezza cioè non esclude nessuno, la lunghezza cioè è perseverante e nessuna difficoltà lo vince, l’altezza cioè si propone un fine altissimo, riportare ogni uomo ad essere in Cristo figlio nel Figlio di Dio Padre per opera dello Spirito Santo, la profondità cioè esso condivide fino in fondo le miserie di ogni uomo.
Quando accade il connubio fra quello che il Sacramento della confessione è oggettivamente e quello che soggettivamente si percepisce nell’avvenimento di incontri esistenziali ci si sente attratti dal Suo amore, se ne esperimenta tutta la grandezza e la bellezza, ma non basta per “amarsi gli uni gli altri” con il suo stesso amore, come Lui ci ama. Occorre fare comunione eucaristica con Lui per giungere ad “osare” l’amore nelle nostre famiglie, nei rapporti con gli amici e anche con chi ci ha offeso. Questa accentuata priorità del Mistero eucaristico creduto e celebrato per avere le energie sul vissuto è la novità teologica e quindi pastorale della Sacramentum caritatis. E quindi “osare” l’amore in tutti gli ambienti di studio, di lavoro e di divertimento, impegnati nelle parrocchie, nei gruppi, nei movimenti, nelle associazioni e in ogni ambito della società perché i Sacramenti dell’amore, Penitenza ed Eucaristia, sono da credere, da celebrare per avere tutte le energie da vivere.
Rivolgendosi ai giovani il Papa sintetizza la conclusione del suo messaggio: “Voi, giovani fidanzati, vivete il fidanzamento nell’amore vero, che comporta il reciproco rispetto, casto e responsabile. Se il Signore chiama alcuni di voi, cari giovani amici di Roma, ad una vita di particolare consacrazione siate pronti a rispondere con un “sì” generoso e senza compromessi. Donandovi a Dio e ai fratelli, sperimenterete la gioia di chi non si ripiega su se stesso in un egoismo troppo asfissiante. Ma tutto ciò, certamente, ha un prezzo, quel prezzo che Cristo per primo ha pagato, che nel Triduo pasquale rendiamo attuale nella celebrazione liturgica e che ogni discepolo, anche se in modo inferiore rispetto al Maestro, deve anch’egli pagare liberamente cioè per amore: il prezzo del sacrificio e dell’abnegazione, della fedeltà e della perseveranza senza le quali non c’è e non ci può essere vero amore, pienamente libero e sorgente di gioia”.
Il Papa conclude dicendo che il mondo aspetta questo contributo per l’edificazione della “civiltà dell’amore” in un orizzonte sconfinato: è il mondo intero. E annota, proprio nel giorno stesso in cui lui stesso ha confessato, rivolgendosi ai sacerdoti e agli educatori: “con la grazia di Dio ed il costante soccorso della divina misericordia riuscirete ad essere all’altezza dell’arduo compito al quale il Signore vi chiama. Non perdetevi d’animo ed abbiate fiducia in Cristo e nella Chiesa… affidandovi alla Vergine Maria, Madre di misericordia…”.

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