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La teologia, come “scienza della fede”, non si lascia separare dall’adesione credente al Vangelo nella Chiesa

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Con la familiarità di allora (1972 in un corso agli studenti del II ciclo della specializzazione di teologia dogmatica), dico a voi, cari professori e studenti, che la fatica dello studio e dell’insegnamento, per avere senso in relazione al regno di Dio, deve essere sostenuta dalle virtù teologali. Infatti l’oggetto immediato della scienza teologica, nelle sue varie specificazioni, è Dio stesso, rivelatosi in Gesù Cristo, Dio con un volto umano. Anche quando, come nel diritto canonico e nella storia della Chiesa, l’oggetto immediato è il Popolo di Dio nella sua dimensione visibile e storica, l’analisi approfondita della materia risospinge alla contemplazione, nella fede, del mistero di Cristo risorto…» [Visita di Benedetto XVI alla Pontificia Università Gregoriana, 3 novembre 2006].


«…E' Lui che, presente nella sua Chiesa, la conduce tra gli eventi del tempo verso la pienezza escatologica, un traguardo verso cui camminiamo sostenuti dalla speranza. Non basta, però, conoscere Dio; per poterlo realmente incontrare, lo si deve anche amare. La conoscenza deve divenire amore. Lo studio della teologia, del diritto canonico, della storia della Chiesa non è solo conoscenza delle proposizioni della fede nella loro formulazione storica e nella loro applicazione pratica, ma è pur sempre intelligenza di esse nella fede, nella speranza e nella carità. Solo lo Spirito scruta le profondità di Dio (1 Cor 2,10), quindi solo nell'ascolto dello Spirito si può scrutare la profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio (Rm 11,33). Lo Spirito si ascolta nella preghiera, quando il cuore si apre alla contemplazione del mistero di Dio, che ci si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), costituito Capo della Chiesa e Signore di tutte le cose (Ef 1,10; Col 1,18)»
E' un dono il quarto ed ultimo capitolo del Documento della Cei su La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e norme per i seminari, intitolato Il Regolamento degli studi teologici.

L'anima del Regolamento degli studi teologici
Dal numero 126 al numero 130 è sintetizzata l'anima di questo Regolamento rivolto agli educatori e ai professori dei seminari, ai seminaristi, ai responsabili della formazione permanente del clero e all'intera comunità cristiana, coinvolta nella formazione dei propri presbiteri.
"Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3,15). L'esortazione di Pietro costituisce un appello ai credenti affinché si sforzino di corrispondere con tutta la loro vita all'esigenza di testimonianza che proviene dall'incontro con il Risorto. Il verbo "rispondere", infatti, condensa in sé i diversi mezzi possibili per rendere conto "con dolcezza e rispetto" (1 Pt 3,16) delle ragioni che appartengono alla struttura della fede e che alimentano la speranza del discepolo.
"Se già ogni cristiano (…) deve essere pronto a difendere la fede e a rendere ragione della speranza che vive in noi (1 Pt 3,15), molto di più i candidati al sacerdozio e i presbiteri devono avere diligente cura del valore della formazione intellettuale nell'educazione e nell'attività pastorale, dal momento che per la salvezza dei fratelli e delle sorelle devono cercare una più profonda conoscenza dei misteri divini" (Pastores dabo vobis, n.51).
Un'organica proposta di conoscenza e approfondimento intellettuale della fede è parte integrante dell'itinerario formativo. Come ogni acquisizione di conoscenze, essa scaturisce da un rapporto vivo tra maestro e discepolo. La trasmissione del sapere infatti non è un semplice travaso di nozioni, ma avviene all'interno di una relazione educativa, nella quale una persona esperta suscita l'interesse e cura la formazione del soggetto che deve apprendere. L'elemento oggettivo del contenuto è sempre intrecciato con l'elemento soggettivo della relazione tra docente e alunno.
Questo vale in generale per la trasmissione di ogni sapere ma si applica ancora di più al sapere teologico. E qui il n. 128 dà una definizione della teologia: La teologia, come "scienza della fede", non si lascia infatti separare dall'adesione credente al Vangelo nella Chiesa. Possono esistere momenti di ricerca scientifica che non esigono la fede e che, ciononostante, sono preparatori alla teologia (indagini filologiche, storiche, filosofiche); ma il vero e proprio "fare teologia", interrogando i dati rivelati sulla base delle problematiche degli uomini, implica quell'intuitus fidei che solo chi aderisce vitalmente al Vangelo possiede. Un docente di teologia è essenzialmente un cristiano che indaga in maniera metodica, con la ragione illuminata dalla fede, la rivelazione divina e ne trae i criteri e contenuti per rispondere alle istanze dei suoi contemporanei (Fides et ratio, n. 8).
Il 129 descrive il docente di teologia: "Un docente di teologia è dunque per definizione un cristiano appassionato della Parola di Dio, dedito allo studio e alla comunicazione della fede. Senza coinvolgimento personale, la docenza teologica si ridurrebbe a fredda ripetizione di nozioni o ad accademica trasmissione di dati; senza lo studio e la ricerca personale, si esaurirebbe in una generica perorazione. Coniugare capacità di studio e pratica della fede, ricerca scientifica e vita ecclesiale rappresenta la condizione fondamentale e imprescindibile di una feconda docenza teologica. Per questa ragione, l'insegnamento diverrà tanto più incisivo e fruttuoso quanto più il docente sarà testimone di fede, di spiritualità e di dedizione nella carità" (Pastores dabo vobis, n. 67).
Più indicativo è il n. 130: "Sotto il profilo dell'appartenenza ecclesiale, il docente di teologia è chiamato a vivere e a esprimere la fede della Chiesa cui appartiene con l'adesione al magistero dei pastori, aiutando la comunità cristiana non solo a prender coscienza e a riflettere sull'esperienza di fede, ma anche a rielaborarla e a comunicarla utilizzando le categorie contemporanee. D'altro canto, la comunità cristiana deve aiutare il docente di teologia a sviluppare una costante attenzione ai problemi pastorali, nel dialogo e nell'apprezzamento reciproco".

Il ministero dell'annuncio si impone anche per la teologia scientifica
Occorre tener presente che il cristiano arriva alle verità divine proposte dalla Chiesa per una via ordinaria, che è la vita stessa della comunità. E la condizione è che essa sia veramente ecclesiale, cioè unita al Vescovo, unito a tutti i Vescovi uniti al Vescovo di Roma, il Papa. Ecco la sorgente normale di una conoscenza ultima sicura; non lo studio teologico o l'esegesi biblica - che potranno essere utili apporti proposti alla autorità che guida -, ma le articolazioni della vita comune della Chiesa legata al magistero ordinario del Papa e dei Vescovi in comunione con lui.
Vari sono gli strumenti per riconoscere la coscienza della comunità che cammina. Possono esser le encicliche o i discorsi del Papa, i documenti e le lettere del Vescovo alla sua diocesi, in quanto unito alla pastorale del Pontefice, o i documenti di una comunità in quanto implicitamente approvati dal Vescovo a costituire i segni di tale vita.
Se il magistero ordinario è la garanzia del declinarsi della comunità in quanto vive, lo strumento più grande della comunicazione del vero - scrive Giussani in Perché la Chiesa pp. 68-69 - nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità. Si chiama Tradizione. La Tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica.
L'importanza della Tradizione è decisiva, perché se la Tradizione ci viene attraverso la vita della comunità, essendo quest'ultima il progredire degli incontri con la Persona del Risorto nella storia del Suo corpo che è la Chiesa, quanto adesso insegna non può essere in contrasto rispetto a quanto insegnava duemila, mille anni fa, non può essere come annuncio di verità, come significati ultimi - non necessariamente nelle formulazioni - una decadenza del suo primitivo messaggio apostolico. Ascoltiamo le parole di J. H. Newman: "Se consideriamo la serie dei secoli lungo i quali il cattolicesimo si è conservato, la severità delle prove che ha affrontato, i mutamenti improvvisi e prodigiosi che lo hanno colpito sia dall'esterno che nel suo interno, l'incessante attività mentale e i doni di intelligenza dei suoi membri, l'entusiasmo che ha acceso, il furore delle lotte che sono insorte tra i suoi fedeli, la violenza degli assalti che ha dovuto assumersi…, è del tutto inconcepibile che non sia andato in pezzi e in rovina, se fosse una corruzione del cristianesimo… Se la lunga serie dei suoi sviluppi fosse una sequela di corruzioni, avremmo l'esempio di un errore continuato così nuovo, così inspiegabile, così preternaturale da parere quasi un miracolo e da rivaleggiare con quelle manifestazioni della Potenza divina che costituiscono la prova del cristianesimo. Talvolta guardiamo con stupore e sbigottimento al grado di dolore che il corpo umano riesce a sopportare senza soccombere. Ma a lungo andare tutto questo ha un termine. Le febbri hanno il loro punto critico, dopo il quale viene la morte o la salute. Ma questa corruzione, se è una corruzione, che avrebbe ormai mille anni, non ha mai cessato di svilupparsi, andando vicino alla morte, ma senza mai esserne colpita e i suoi eccessi, invece di indebolirla, l'hanno resa più forte".

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