Il Dio cristiano si è rivelato come Ragione e come Amore
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Prima preoccupazione pastorale di Benedetto XVI ricondurre lo sguardo e il cuore di tutti i cattolici al centro della fede cristiana per aiutare a riscoprirne la “grandezza unica”. Ed è da questa “grandezza unica” delle fede nel Dio dal volto umano in Gesù come Ragione e Amore che Benedetto XVI invita a cogliere la positività del senso per l’intelligenza, della speranza per il cuore, della consolazione per l’esistenza. Ma incontrando e stando con la Persona di Cristo si illumina la ragione e non si nasconde davanti a quella del nostro tempo facendo emergere il conseguente compito storico.
Nella lectio tenuta all’università di Ratisbona (12 settembre 2006) il Papa afferma che Dio è Logos, “la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi”. Dio è nettamente distinto dalla natura, dal mondo che Egli ha liberamente creato: solo così la “fisica” e la “metafisica” giungono a una chiara distinzione l’una dall’altra e a un chiaro rapporto. Logos significa “ragione e parola”. Anzitutto ragione. Logos - dal verbo greco leghein, raccogliere, tenere insieme - significa fondamento, principio di unità, che dà ordine alla realtà ed è fonte di verità cioè di evidenza che la rende intelligibile. Se l’essere non avesse tale unità, sarebbe chaos incomprensibile. Il Logos è parola: è una ragione, una evidenza che si comunica. Parola vuol dire relazione in cui l’Armonia e la Verità si danno a conoscere. Affermazione che ha la profondità infinita del Dio uni- trinità che è in sé comunicazione e che si dà a conoscere alla sua creatura. Al fondo dell’esistenza degli uomini e della realtà tutta non vi l’insensatezza del caso o il baratro del nulla, ma la Ragione - Verità cioè la Ragione creativa, l’Essere tutto in atto, il Logos, di cui la ragione umana è, a suo modo, infinita partecipazione, e perciò “grandezza” meritevole del rispetto dovuto all’immagine di Dio. J. Ratzinger mette grande impegno nel mostrare l’esame dei testi biblici, del racconto del roveto ardente di Esodo 3 fino alla formula “Io sono” che Gesù applica a se stesso nel Vangelo di Giovanni, che l’unico Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento è l’Essere che, come argomentano i filosofi, esiste da se stesso e in eterno, tutto in atto, fondamento dell’atto d’essere di ogni ente che viene all’esistenza.
Così lo sguardo al Logos divino svela anche un’“ampiezza” della ragione, che l’esito della vicenda culturale moderna intende negarle. Una forma tipica di tale arbitraria restrizione di campo è la riduzione al “soggettivo” (opinione e/o sentimento) degli “interrogativi propriamente umani, quelli cioè del “da dove” o del “verso dove”, gli interrogativi del senso religioso originario e dell’ethos”, che non trovano posto nella razionalità che si autoriduce materialisticamente alla verifica empirica della strumentazione scientifica.
Il Dio dal volto umano in Gesù non è solo Logos ma Cuore, Amore
Ma il Dio rivelato, che è Logos, non è solo ragione eterna ed incommensurabile, non è soltanto una matematica dell’universo e ancor meno qualche prima causa che, dopo aver provocato Il Bing Bang, si è ritirata. Al contrario il Logos biblico ama ogni uomo e per questo entra nella storia, dà vita ad una autentica storia d’amore con Israel, suo popolo, e poi, in Gesù Cristo assume un volto umano, non solo dilata questa storia di amore e di salvezza all’intera umanità ma la conduce all’estremo, al punto di “rivolgersi contro se stesso”, nella croce del proprio Figlio, per rialzare l’uomo e salvarlo, e di chiamare l’uomo, ogni uomo, a quell’unione di amore con Lui che culmina nell’Eucaristia.
In questo modo il Dio che è l’Essere, il Verbo nel volto umano di Gesù è anche identicamente l’Agape, l’Amore originario e la misura dell’amore autentico, che proprio per amore ha creato liberamente l’universo e ogni uomo.
L’incontro storico tra la fede biblica, Gerusalemme, e il logos greco, Atene - dice il Papa - non fu un atto casuale, ma “un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale” in quanto inizio di quella sintesi del tutto peculiare che sta a “fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa”.
Cosciente di questa eredità, il cristiano ha oggi un compito storico di grande rilievo nei confronti sia della cultura laica sia di quelle religiose non cristiane. Infatti la fede biblica riconcilia tra loro quelle due dimensioni della religione che prima erano separate una dall’altra, cioè il Dio eterno, l’Essere tutto in atto di cui parlano i filosofi, il Dio della metafisica che è anche identicamente il Dio della storia, il Dio che entra nella storia e nel più intimo rapporto con noi per rispondere al bisogno di salvezza che l’uomo porta dentro di sé e che le religioni pagane tentano in qualche modo di soddisfare. Infatti il cristianesimo è la forza storica - osserva Francesco Botturi nel Supplemento di Avvenire del 15 aprile 2007, p. 43 - che ha la possibilità di proporre una sintesi vitale di fede religiosa e razionalità critica in grado di mediare fra due estremi che tendono invece alla separazione e allo scontro. Se apparentemente, infatti, l’Occidente, vedi soprattutto la Francia, è attento e dialogante con le religioni, è però evidente la sostanziale estraneità dell’Occidente secolarizzato all’identità religiosa delle culture.
Come osserva il Papa, “le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio …nella…esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime: Perciò una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”. Dunque, l’attenzione dell’Occidente laico alle religioni (non cristiane) rischia di essere strumentale (forse per confermare ai propri occhi l’immagine nobile dell’Occidente tollerante; forse in funzione anticristiana, soprattutto anticattolica…); e, in ogni caso, è la testimonianza di un incontro che non c’è e il prodromo di uno scontro che ci potrebbe essere.
La coscienza di un grande compito non avrebbe efficacia cristiana, se non fosse accompagnata dall’esperienza e dalla testimonianza di un Logos divino che ha un “cuore”. E’ il grande tema dell’enciclica Deus caritas est. Basti ricordare che qui la “grandezza” della fede e della ragione consiste nel suo avere la natura di un rapporto personale: “ Credere vuol dire stabilire un personalissimo legame con il Creatore e Redentore, in virtù dello Spirito Santo che opera nei nostri cuori; e fare di questo legame il fondamento di tutta la vita” (Benedetto XVI, Convegno della diocesi di Roma sull’educazione dei giovani alla fede, 5 giugno 2006). Ancor più è un legame che ha la natura dell’amicizia: “Il Signore desidera fare di ciascuno di noi un discepolo che vive una personale amicizia con Lui. (…). Ciò è possibile soltanto nel contesto di una rapporto di grande familiarità, pervaso dal calore di una totale fiducia. E ciò avviene tra amici; per questo Gesù ebbe a dire un giorno: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (…)Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,13.15) (Udienza generale, 5 luglio 2006). La “grandezza” della fede nel Dio cristiano che si è rivelato come Ragione e come Amore mentre accoglie e protegge l’“ampiezza “ della ragione argomentata dai filosofi, svela anche la vastità a cui è chiamato l’affetto umano, il cuore dei piccoli, dei semplici.