Si può essere pastore del gregge di Gesù Cristo soltanto per mezzo di Lui e nella più intima comunione con Lui
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Ripropongo quanto Benedetto XVI ha detto nell’Incontro con i Sacerdoti della diocesi di Albano, l’1-9-2006. Soltanto i titoli e le sottolineature sono mie.
La pastorale parrocchiale
Dobbiamo cercare di integrare in un unico cammino pastorale sia i diversi operatori pastorali che esistono oggi, sia le diverse dimensioni del lavoro pastorale. Così, distinguerei le dimensioni dai soggetti del lavoro pastorale, e cercherei poi di integrare il tutto in un unico cammino pastorale. C’è il livello diciamo “classico” del lavoro della parrocchia per i fedeli che sono rimasti - e forse anche aumentano - dando vita alla nostra parrocchia. Questa è la pastorale “classica” ed è sempre importante. Distinguo di solito tra evangelizzazione continuata - perché la fede continua, la parrocchia vive - e evangelizzazione nuova, che cerca di essere missionaria, di andare oltre i confini di coloro che sono già “fedeli” e vivono nella parrocchia, o si servono, forse anche con una fede “ridotta”, dei servizi della parrocchia.
La parrocchia e il servizio sacramentale
Nella parrocchia, mi sembra che abbiamo tre impegni fondamentali, che risultano dall’essenza della Chiesa e del ministero sacerdotale. Il primo è il servizio sacramentale. Direi che il Battesimo, la sua preparazione e l’impegno di dare continuità alle consegne battesimali, ci mette in contatto anche con quanti non sono troppo credenti. Non è un lavoro, diciamo, per conservare la cristianità, ma è un incontro con persone che forse raramente vanno in chiesa. L’impegno di preparare il Battesimo, di aprire le anime dei genitori, dei padrini e delle madrine, alla realtà del Battesimo, già può essere e dovrebbe essere un impegno missionario, che va molto oltre i confini delle persone già “fedeli”. Preparando il battesimo, cerchiamo di far capire che questo Sacramento è inserimento nella famiglia di Dio, che Dio vive, che Egli si preoccupa di noi. Se ne preoccupa fino al punto di aver assunto la nostra carne e di aver istituito la Chiesa che è il suo Corpo, in cui può assumere, per così dire, di nuovo carne della nostra società. Il Battesimo è novità di vita nel senso che, oltre al dono della vita biologica, abbiamo bisogno del dono di un senso per la vita che sia più forte della morte e che perduri anche se i genitori un giorno non ci saranno più. Il dono della vita biologica si giustifica soltanto se possiamo aggiungere la promessa di un senso stabile, di un futuro che, anche nelle crisi che verranno - e che noi non posiamo conoscere-, darà valore alla vita, cosicché valga la pena di vivere, di essere creature.
Penso che nella preparazione del sacramento del Battesimo o a colloquio con genitori che diffidano del Battesimo, abbiamo una situazione missionaria. E’ un messaggio cristiano. Dobbiamo farci interpreti della realtà che ha inizio con il Battesimo. Nel Rituale classico, ereditato dalla Chiesa antica, il Battesimo inizia con la domanda: “Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?”. Oggi…si risponde semplicemente: “Il Battesimo”. Questo non esplicita sufficientemente che cosa è da desiderare. Nell’antico Rituale si diceva: “La fede”. Cioè, una relazione con Dio. Conoscere Dio. “E perché - si continua - chiedete la fede?”. “Perché vogliamo la vita eterna”: Vogliamo, cioè, una vita sicura anche nelle crisi future, una vita che ha senso, che giustifica l’essere uomo. Questo dialogo, in ogni caso, mi sembra che sia da realizzare già prima del Battesimo con i genitori. Solo per dire che il dono del Sacramento non è semplicemente una “cosa”, non semplicemente “codificazione”, come dicono i francesi, ma è lavoro missionario. C’è poi la Cresima, da preparare nell’età in cui le persone iniziano a prendere decisioni anche nei riguardi della fede. Certamente non dobbiamo trasformare la Cresima in una specie di “pelagianismo”, quasi che in essa uno si faccia cattolico da solo, ma in un intreccio tra dono e risposta. L’Eucaristia, infine, è al presenza permanente di Cristo nella celebrazione di ogni giorno della Santa Messa. E molto importante, come ho detto, per il sacerdote, per la sua vita sacerdotale, come presenza reale del dono del Signore.
Anche la preparazione al sacramento del matrimonio si presenta come una grande occasione missionaria, perché oggi, - grazie a Dio - vogliono ancora sposarsi in chiesa anche molti che non frequentano tanto la chiesa. E’ un’occasione per portare questi giovani a confrontarsi con la realtà che è il matrimonio cristiano, il matrimonio sacramentale. Mi sembra anche una grande responsabilità. Lo vediamo nei processi di nullità e lo vediamo soprattutto nel grande problema dei divorziati risposati, che vogliono accostarsi alla Comunione e non capiscono perché non è possibile. Probabilmente non hanno capito, nel momento del “sì” davanti al Signore, che cosa è questo “sì”. E’ un allearsi con il “sì” di Cristo con noi. E’ un entrare nella fedeltà di Cristo, quindi nel Sacramento che è la Chiesa e così nel Sacramento del matrimonio. Perciò penso che la preparazione al matrimonio è un’occasione di grandissima importanza, di missionarietà, per annunciare di nuovo nel Sacramento del matrimonio il Sacramento di Cristo.
Parrocchia e annuncio della Parola
Il secondo settore classico della pastorale parrocchiale è l’annuncio della Parola, con i due elementi essenziali: l’omelia e la catechesi. Nel Sinodo dei Vescovi dello scorso anno i Padri hanno parlato molto dell’omelia, evidenziando come sia difficile oggi trovare il “ponte” tra la Parola del Nuovo testamento, scritta duemila anni fa, e il nostro presente. Devo dire che l’esegesi storico - critica spesso non è sufficiente per aiutarci nella preparazione dell’omelia. Lo constato io stesso, cercando di preparare delle omelie che attualizzino la Parola di Dio: o meglio - dato che la Parola ha un’attualità in sé - per far vedere, sentire alla gente questa attualità. L’esegesi storico - critica ci dice molto sul passato, sul momento in cui è nata la Parola, sul significato che ha avuto al tempo degli Apostoli di Gesù, ma non ci aiuta sempre sufficientemente a capire che le parole di Gesù, degli Apostoli e anche dell’Antico Testamento, sono spirito e vita: in esso il Signore parla anche oggi. Penso che dobbiamo “sfidare” i teologi - il Sinodo lo ha fatto - ad andare avanti, ad aiutare meglio i Parroci a preparare le omelie, a far vedere la presenza della Parola: il Signore parla con me oggi e non solo nel passato. Ho letto, in questi ultimi giorni, il progetto dell’Esortazione Apostolica post-sinodale. Ho visto, con soddisfazione, che ritorna questa “sfida” nel preparare i modelli di omelia. Alla fine, l’omelia la prepara il parroco nel suo contesto, perché parla alla “sua” parrocchia. Ma ha bisogno di aiuto per capire e per poter far capire questo” presente” della Parola, che non è mai una Parola del passato, ma dell’“oggi”.
La collaborazione dei fedeli
Il secondo aspetto della pastorale riguarda sia gli operatori che il lavoro da fare. Non può fare tutto il parroco! E’ impossibile! Non può essere un “solista”, non può fare tutto, ma ha bisogno di altri operatori pastorali. Mi sembra, che oggi, sia nei Movimenti, sia nell’Azione Cattolica, nelle nuove Comunità che esistono, abbiamo operatori che devono essere collaboratori nelle parrocchie per una pastorale “integrata”. Vorrei dire che oggi è importante per questa pastorale “integrata” che gli altri operatori che ci sono, non solo siano attivati, ma si integrino nel lavoro della parrocchia. Il parroco non deve solo”fare” ma anche “delegare”. Essi devono imparare ad integrarsi realmente nel comune impegno per la parrocchia, e, naturalmente, anche nell’autotrascendenza della parrocchia in un duplice senso: autrascendenza nel senso che le parrocchie collaborano nella Diocesi, perché il Vescovo è il loro comune Pastore e aiuta a coordinare anche i loro impegni; e autotrascendenza nel senso che lavorano per tutti gli uomini di questo tempo e cercano di far arrivare il messaggio agli agnostici, alle persone che sono alla ricerca. E questo è il terzo livello,del quale in precedenza abbiamo già diffusamente parlato. Mi sembra che le occasioni indicate ci diano la possibilità di incontrare e di dire una parola missionaria a quelli che non frequentano la parrocchia,non hanno fede o hanno poca fede. Soprattutto questi nuovi soggetti della pastorale e i laici che vivono nelle professioni di questo nostro tempo, devono portare la Parola di Dio anche negli ambiti che per il parroco spesso sono inaccessibili. Coordinati dal Vescovo, cerchiamo insieme di coordinare questi diversi settori della pastorale, di attivare i diversi operatori e soggetti pastorali nel comune impegno: da una parte, di aiutare la fede dei credenti, che è una grande tesoro, e, dall’altra, di far giungere l’annuncio della fede a tutti coloro che cercano con cuore sincero una risposta appagante ai loro interrogativi esistenziali.
L’ars celebrandi, capire e interiorizzare la struttura liturgica
Ars celebrandi: anche qui direi che ci sono dimensioni diverse. La prima dimensione è che la celebratio è preghiera e colloquio con Dio: Dio con noi e noi con Dio. Quindi, la prima esigenza per una buona celebrazione è che il sacerdote entri realmente in questo colloquio. Annunciando la Parola, si sente egli stesso in colloquio con Dio. E’ ascoltatore della Parola e annunciatore della Parola, nel senso che si fa strumento del Signore e cerca di capire questa Parola di Dio che poi è da trasmettere al popolo. E’ in colloquio con Dio, perché i testi della Messa non sono testi teatrali o qualcosa di simile, ma sono preghiere, grazie alle quali, insieme con l’assemblea, parlo con Dio. Entrare quindi in questo colloquio è importante. San Benedetto, nella sua “Regola”, dice ai monaci, parlando della recita dei Salmi: “Mens concordet voci”. La vox, le parole precedono la nostra mente. Di solito non è così: prima si deve pensare e poi il pensiero diventa parola. Ma qui, la parola viene prima.
Dobbiamo imparare a capire la struttura della Liturgia e perché è articolata così. La Liturgia è cresciuta in due millenni e anche dopo la riforma non è divenuta qualcosa di elaborato soltanto da alcuni liturgisti. Essa rimane sempre continuazione di questa crescita permanente dell’adorazione e dell’annuncio. Così, è molto importante, per poterci sintonizzare bene, capire questa struttura cresciuta nel tempo ed entrare con la nostra mens nella vox della Chiesa. Nella misura in cui noi abbiamo interiorizzato questa struttura, compreso questa struttura, assimilato le parole della Liturgia, possiamo entrare in questa interiore consonanza e così non solo parlare con Dio come persone singole ma entrare nel “noi” della Chiesa che prega. E così trasformare anche il nostro “io” entrando nel “noi” della Chiesa, arricchendo, allargando questo “io”, pregando con la Chiesa, con le parole della Chiesa, essendo realmente in colloquio con Dio.
La prima condizione è questa: noi stessi dobbiamo interiorizzare la struttura, le parole della Liturgia, la Parola di Dio. Così il nostro celebrare “con” la Chiesa: il nostro cuore è allargato e noi non facciamo un qualcosa, ma stiamo “con” la Chiesa in colloquio con Dio. Mi sembra che la gente avverta se veramente noi siamo in colloquio con Dio, con loro e, per così dire, attiriamo gli altri in questa nostra preghiera comune, attiriamo gli altri nella comunione con i figli di Dio; o se invece facciamo soltanto qualcosa di esteriore, L’elemento fondamentale della vera ars celebrandi è quindi questa consonanza, questa concordia tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che pensiamo con il cuore. Il “Sursum corda”, che è una antichissima parola della Liturgia, dovrebbe essere già prima del Prefazio, già prima della Liturgia, la “strada” del nostro parlare e pensare: Lo dobbiamo elevare al Signore, il nostro cuore, non solo come risposta rituale, ma come espressione di quanto succede in questo cuore, che va in alto e attira in alto anche gli altri. In altre parole, ars celebrandi non intende invitare ad una specie di teatro, di spettacolo, ma ad una interiorità che si fa sentire e diventa accettabile ed evidente per la gente che assiste. Solo se vedono che questa non è una ars esteriore, spettacolare - non siamo attori! - m è l’espressione del cammino del nostro cuore, che attira anche il loro cuore, allora la Liturgia diventa bella, diventa comunione di tutti i presenti con il Signore.