Il legame tra fede biblica e pensiero greco appartiene all’“essenza del cristianesimo” o è stato un “disastroso equivoco”?
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Questo problema fondamentale all’interno della fede e della teologia si concretizza nella domanda: il legame operato dalla Chiesa nascente tra pensiero greco e fede biblica è stato legittimo, tanto da appartenere all’“essenza del cristianesimo”, oppure è stato un “disastroso equivoco” del quale dobbiamo finalmente liberarci? Questa domanda è divenuta oggi, in un momento in cui il cristianesimo, uscendo decisamente dal mondo occidentale, vuole inserirsi in altri ambiti culturali, una problematica massimamente urgente; essa costituisce, inoltre, un problema fondamentale nel dialogo tra cristianesimo cattolico e ortodosso, da una parte, ed il pensiero teologico determinato dalla Riforma, dall’altra, del quale fa parte fin dall’inizio la critica alla fusione tra metafisica e fede, tra pensiero greco e tradizione biblica» [Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Il Dio della fede e il Dio dei filosofi, Marcianum Press, Venezia 2007].
Questa pubblicazione della prolusione del 1959 del prof. Ratzinger mette in evidenza una problematica divenuta oggi centrale nell’atteggiamento missionario di evangelizzazione e che ha ricevuto una presa di posizione nel discorso del Santo Padre a Regensburg il 12 settembre 2006 e in già due Udienze del mercoledì ricordando San Giustino e Dionigi di Alessandria: “…devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione (la prima con i postulati della Riforma del XVI secolo, con la successiva radicalizzazione kantiana, la seconda con la teologia liberale del XIX e XX secolo espressa soprattutto da Adolf von Harnack) che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture, si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione, per scoprire il semplice Messaggio del Nuovo testamento e inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana e imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco: un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con al ricerca della ragione umana, fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura”. E’ tutta la Tradizione dogmatica.
E nell’Udienza generale di mercoledì 18 aprile 2007: “In questo modo l’Alessandrino costruisce la seconda grande occasione di dialogo tra l’annuncio cristiano e la filosofia greca. Sappiamo che San Paolo sull’Areopago in Atene, dove Clemente è nato, aveva fatto il primo tentativo di dialogo con la filosofia greca - e in gran parte era fallito -, ma gli avevano detto: “Ti sentiremo un’altra volta”. Ora Clemente, riprende questo dialogo, e lo nobilita in massimo grado nella tradizione filosofica greca. Come ha detto il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, l’Alessandrino giunge a interpretare la filosofia come “un’istruzione propedeutica alla fede cristiana” (n.38). E, di fatto, Clemente è arrivato fino al punto di sostenere che Dio avrebbe dato la filosofia ai Greci “come un testamento loro proprio”. Per lui la tradizione filosofica greca, quasi al pari della Legge per gli ebrei, è ambito di “rivelazione”, sono due rivoli che in definitiva vanno al Logos stesso. Così Clemente continua a segnare il cammino di chi intende “dare ragione” della propria fede in Gesù Cristo. Egli può servire d’esempio ai cristiani, ai catechisti e ai teologi del nostro tempo, ai quali Giovanni Paolo II, nella medesima Enciclica, raccomandava di “recuperare ed evidenziare al meglio la dimensione metafisica della verità, per entrare in un dialogo critico ed esigente con il pensiero filosofico contemporaneo”.