Solo all’interno della famiglia, fondata su un uomo e una donna, si può assicurare amore e giustizia alle generazioni future
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In occasione della XIII sessione plenaria della Pontificia Accademia delle scienze sociali Benedetto XVI, prima di indicare l’interesse al perseguimento della giustizia e alla promozione della civiltà dell’amore da parte della Chiesa, torna a ribadire che “la costruzione di una società giusta è responsabilità primaria dell’ordine politico, sia nei singoli Stati come nella Comunità internazionale. Come tale, ciò richiede ad ogni livello un esercizio disciplinato della ragione pratica e un allenamento della volontà per poter discernere e soddisfare specifiche richieste della giustizia, nel pieno rispetto del bene comune e dell’inalienabile dignità di ogni persona”.
Come mai prima di richiamare ciò che nell’enciclica Deus caritas est è descritto come “desiderio della Chiesa di contribuire alla necessaria purificazione della ragione, per aiutare a formare le coscienze e per stimolare una risposta più ampia alle genuine esigenze della giustizia”, come pure che “anche nella più giusta delle società, ci sarà sempre posto per la carità” (n. 28) Benedetto XVI ricorda la tentazione di interpretare il cristianesimo come una ricetta per il progresso, e il bene comune come il vero scopo di ogni religione e così anche di quella cristiana? Troviamo la risposta in Gesù di Nazaret commentando la terza tentazione fondamentale di Gesù su cosa debba fare un salvatore del mondo: “Essa appare oggi sotto le vesti della domanda: Ma che cosa ha portato Gesù, se non ha fatto emergere un mondo migliore? Non deve forse essere questo il contenuto della speranza messianica? Nell’Antico Testamento si sovrappongono ancora indistinte due linee di speranza: l’attesa di un mondo sano, in cui il lupo giace accanto all’agnello (Is 11,6), in cui i popoli del mondo si mettono in cammino verso il monte Sion e per il quale vale la profezia: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci” (Is 2,4). Accanto a questa però c’è la prospettiva del servo di Dio sofferente, di un Messia, che salva attraverso il disprezzo e la sofferenza. Durante tutto il suo cammino dopo la Pasqua, Gesù dovette mostrare ai suoi discepoli che Mosé e i Profeti parlavano di Lui, l’esteriormente privo di potere, il sofferente, il crocifisso, il risorto; dovette mostrare che le promesse si compivano proprio così. “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!” (Lc 24,25), disse il Signore ai discepoli di Emmaus, e la stessa cosa deve ripetere continuamente anche a noi, nel corso di tutti i secoli, perché anche noi pensiamo sempre che se voleva essere il Messia avrebbe dovuto portare l’età dell’oro.
Ma anche a noi Gesù dice quello che ha obiettato a Satana e quello che ha detto a Pietro e che ha spiegato ai discepoli di Emmaus: nessun regno di questo mondo è il regno di Dio, la condizione di salvezza dell’umanità in assoluto. Il regno umano resta regno umano e chi sostiene di poter edificare il mondo salvato asseconda l’inganno di Satana, fa cadere il mondo nelle sue mani” (pp. 66-67).
Ma allora “che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta molto semplice: Dio. Ha portato Dio…il Dio vero Egli ha portato ai popoli della terra.
Ha portato Dio: ora noi conosciamo il suo volto, ora noi possiamo invocarlo. Ora conosciamo la strada che, come uomini, dobbiamo prendere in questo mondo. Gesù ha portato Dio e con Lui la verità sul nostro destino e la nostra provenienza; la fede, la speranza e l’amore. Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco. Sì, il potere di Dio nel mondo è silenzioso, ma è il potere vero, duraturo. La causa di Dio sembra trovarsi continuamente come in agonia. Ma si dimostra sempre come ciò che veramente permane e salva… Dalla lotta contro Satana Gesù esce vincitore: alla divinizzazione menzognera del potere e del benessere, alla promessa menzognera di un futuro che garantisce tutto e tutti mediante il potere e l’economia, Egli ha contrapposto la natura divina di Dio, Dio quale vero bene dell’uomo. All’invito ad adorare il potere, il Signore oppone con le parole del Deuteronomio, lo stesso libro che aveva citato anche il diavolo: “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” (Mt 4,10; Dt 6,13). Il comandamento fondamentale di Israele è anche il comandamento fondamentale dei cristiani: si deve adorare solo Dio…proprio questo sì incondizionato alla prima tavola del Decalogo include anche il sì alla seconda tavola: il rispetto dell’uomo, l’amore al prossimo” (pp. 67-68), cioè giustizia e carità.
Inseparabilità di giustizia e carità
Nella Lettera Benedetto XVI ricorda che “Il convincimento della Chiesa circa l’inseparabilità di giustizia e carità nasce, in ultima analisi, dall’esperienza che essa fa della rivelazione dell’infinita giustizia e misericordia di Dio in Gesù Cristo, e ciò trova espressione nel suo insistere sulla necessità che l’uomo stesso e la sua irriducibile dignità siano al centro della vita politica e sociale. Il magistero della Chiesa, che si rivolge non soltanto ai credenti ma anche a tutti gli uomini di buona volontà, si richiama pertanto alla retta ragione e ad una sana comprensione dell’umana natura nel proporre principi capaci di guidare gli individui e le comunità verso il perseguimento di un ordine sociale contrassegnato da giustizia, libertà, solidarietà fraterna e pace. Al centro di tale insegnamento…vi è il principio della destinazione universale di tutti i beni della creazione. Secondo tale fondamentale principio, tutto ciò che la terra produce e tutto ciò che l’uomo trasforma e confeziona, tutta la sua conoscenza e tecnologia, tutto è destinato a servire lo sviluppo materiale e spirituale della famiglia umana e di tutti i suoi membri”.
Sulla base di questa prospettiva integralmente umana possiamo comprendere più pienamente il ruolo essenziale che la carità gioca nel proseguimento della giustizia. Benedetto XVI ricorda il n.!4 della Dives in misericordia: “In ogni sfera dei rapporti interumani, la giustizia deve subire, per così dire, una notevole “correzione” da parte di quell’amore il quale - come proclama san Paolo - “è paziente” e “benigno” o, in altre parole, porta in sé i caratteri dell’amore misericordioso, tanto essenziali per il Vangelo e per il cristianesimo”. In una parola la carità non soltanto consente alla giustizia di diventare più creativa e di affrontare nuove sfide, ma ispira e purifica gli sforzi dell’umanità, tesi a raggiungere l’autentica giustizia e, così, a costruire una società degna dell’uomo. Urgente oggi è la sfida che riguarda l’ambiente e uno sviluppo sostenibile dal momento che le risorse del mondo sono limitate e che è dovere di ogni popolo attuare politiche miranti alla protezione dell’ambiente per il benessere dell’umanità e a salvaguardare le condizioni morali di una autentica “ecologia umana”.
Al contrario, poi dei beni materiali, i beni spirituali che sono tipici dell’uomo si espandono e si moltiplicano quando sono comunicati: al contrario dei beni divisibili, i beni spirituali come la conoscenza e l’educazione sono indivisibili, e più vengono condivisi, più vengono posseduti. La globalizzazione ha aumentato l’interdipendenza dei popoli, con le loro differenti tradizioni, religioni e sistemi di educazione. Ciò significa che i popoli del mondo, proprio in virtù delle loro differenze, stanno continuamente imparando l’uno a riguardo dell’altro e addivenendo ad un contatto molto più grande. Sempre più importante, perciò, è il bisogno di un dialogo che possa aiutare le persone a comprendere le proprie tradizioni nel momento in cui entrano in contatto con quelle degli altri, al fine di sviluppare una maggiore autocoscienza di fronte alle sfide recate alla propria identità, promuovendo così la comprensione e il riconoscimento dei veri valori umani all’interno di una prospettiva interculturale. Per affronatre positivamente tali sfide è urgentemente necessaria una giusta uguaglianza di opportunità, specie nel campo dell’educazione e della trasmissione della conoscenza.
Ma adorando solo Dio è possibile il rispetto di ogni uomo nel proprio e altrui essere dono, come di tutto il creato che lo circonda.