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Cristo è risorto

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Cristo è risorto, Cristo è vivo e Gesù di Nazaret opera ora come allora e ama con il suo cuore, divinamente in modo umano, per primo, noi

«Come è bello quel ‘di nuovo è ancora Gesù a venire verso i suoi amici… li incontra… va loro incontro’! Come tre anni prima, sulla rive dello stesso lago, quando, guardandoli, li chiamò, così ora è ancora Lui che prende l’iniziativa. Quell’’è ancora Gesù’ richiama il ‘resurrexi ed adhuc tecum sum/sono risorto e sono ancora con te’ con cui inizia la messa di Pasqua. L’iniziativa è ancora e sempre di Gesù. Per questo uno può essere - come preghiamo nel salmo - ‘sereno e tranquillo come un bambino in braccio a sua madre’ (Sal 131,2). Come commento nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, quel ‘per primo’ non riguarda solo il momento del tempo - ogni volta che noi Gli vogliamo bene, è sempre Lui ‘per primo’ che ci ama -, ma riguarda la possibilità stessa di volerGli bene: la possibilità di riconoscerLo e volerGli bene nasce dall’attrattiva amorosa del Suo farsi presente, del Suo venirci incontro. Così ‘Giovanni, illuminato dall’amore, si rivolge a Pietro e dice: ‘E’ il Signore’. Così anche noi, ‘abbracciati dall’amore, Lo possiamo ‘riconoscere’ e ‘fedelmente seguire’» [La visita pastorale di Benedetto XVI a Vigevano e Pavia, 21 - 22 aprile 2007].

Commentando nell’omelia della santa Messa a Vigevano la terza apparizione del Risorto ai discepoli Benedetto XVI ha offerto, con accenni descrittivi, stupiti, il continuo manifestarsi del Risorto: “Cristo è risorto, è vivo tra noi. Anche oggi”. “Dopo lo ‘scandalo’ della Croce essi erano tornati alla loro terra e al loro lavoro di pescatori, cioè a quelle attività che svolgevano prima di incontrare Gesù. Erano tornati alla vita di prima e questo fa intendere il clima di dispersione e di smarrimento che regnava nella loro comunità (Mc 14,27); Mt 26,31), Era difficile per i discepoli (anche dopo due apparizioni del Risorto) comprendere ciò che era avvenuto. Ma, mentre tutto sembrava finito, di nuovo, come sulla via di Emmaus, è ancora Gesù a venire verso i suoi amici. Stavolta li incontra sul mare, luogo che richiama alla mente le difficoltà e le tribolazioni della vita; li incontra sul far del mattino, dopo un’inutile fatica durata l’intera nottata. La loro rete è vuota. In certo modo, ciò appare come il bilancio della loro esperienza con Gesù: lo avevano conosciuto, gli erano stati accanto, ed Egli aveva loro promesso tante cose. Eppure ora si ritrovavano con la rete vuota di pesci. Ma ecco che all’alba Gesù va loro incontro…”.
Come ricorda il CCC al n. 521 “tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in Lui ed Egli in noi” con la presenza sacramentale di Lui risorto nelle celebrazioni liturgiche dei vissuti fraterni di comunione ecclesiale. Quindi se l’iniziativa di sentirci abbracciati dal modo umano del suo cuore di Figlio di Dio, se Lo possiamo “riconoscere” attraverso l’annuncio di un testimone che incontriamo e “fedelmente seguire”, può anche oggi capitare quello che, con parole di speranza, il Papa descrive (tutta la sua cristologia è descrittiva del Gesù di ieri nel suo oggi ecclesiale per tutti): “Quando il lavoro nella vigna del Signore sembra risultare vano, come la fatica notturna degli Apostoli, non bisogna dimenticare che Gesù è in grado di ribaltare tutto in un momento (…). Nei misteriosi disegni della sua sapienza, Dio sa quando è il tempo di intervenire”.
Se l’iniziativa è Sua, anche inserita nel nostro tentare e ritentare con fiducia e speranza pur non vedendo immediatamente risultati sia a livello personalmente morale e comunitariamente pastorale, eticamente civile, diventano invito alla vigilante speranza le parole conclusive dell’omelia del Papa a Vigevano: “La faticosa ma sterile pesca notturna dei discepoli è ammonimento perenne per la Chiesa di tutti i tempi: da soli, senza Gesù, non possiamo far nulla! Nell’impegno apostolico non bastano le nostre forze: senza la Grazia divina il nostro lavoro, pur ben organizzato, risulta inefficace. Preghiamo insieme…”. Qui c’è tutto il senso della pazienza, dell’attesa paziente, vigilante, fiduciosa dell’ecclesiologia di sant’Agostino.
E a Pavia parla dell’agire oggi di Gesù: “Cristo risorto rinnova a ciascuno di voi l’invito a seguirlo”; “E’ Lui stesso che attende il nostro amore”; “Preghiamo perché il Signore faccia sì che…”.
E commentando il brano degli Atti degli Apostoli, Benedetto XVI parla di chi non poteva tollerare che questo Gesù, mediante la predicazione degli Apostoli, ora cominciasse ad operare nuovamente; non poteva tollerare che la sua forza risanatrice si facesse di nuovo presente e intorno a questo nome si raccogliessero persone che credevano in Lui come nel Redentore promesso”.
“Proprio perché - commenta don Giacomo Tantardini in 30 giorni, n. 4, 2007 pp. 20 - 28 da cui prendiamo queste argomentazioni - è “Gesù che conduce alla conversione”, proprio perché è “Egli che crea lo spazio e la possibilità di ravvedersi, di ricominciare”: il Papa, parlando della conversione di Agostino, parla, anche in questo caso, semplicemente di quello che ha fatto Gesù”.

Le “conversioni” di sant’Agostino sono state un’unica grande conversione alla Persona viva di Cristo
“Nel suo libro Le Confessioni, Agostino ha illustrato in modo toccante il cammino della sua conversione, che col Battesimo amministratogli dal Vescovo Ambrogio nel duomo di Milano aveva raggiunto la sua meta (…) Seguendo attentamente il corso della vita di sant’Agostino, si può vedere che la conversione non fu un evento di un unico momento, ma appunto un cammino. E si può vedere che al fonte battesimale questo cammino non era terminato. Come prima del Battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione - fin nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si autoescluse dal ricevere l’Eucaristia per ripercorrere ancora una volta la via della penitenza e ricevere al salvezza dalle mani di Cristo come dono di misericordia di Dio. Così possiamo giustamente parlare delle “conversioni” di Agostino che, di fatto, sono state un’univa grande conversione nella ricerca del Volto di Cristo e poi nel camminare insieme con Lui”.
Se “la prima conversione”, - don Tantardini - che lo conduce al fonte battesimale nella notte di Pasqua del 387, viene descritta dal Papa come il passaggio dalla scoperta di Dio “lontano e intangibile”, possibile alla ragione dell’uomo (la filosofia verso la religione, verso la religione cristiana), all’“umiltà della fede che si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo”, “la seconda conversione” viene descritta dal Papa come l’accettazione “nelle lacrime” della fatica del lavoro umano, lui specialista, prima del sacerdote e poi di vescovo. Nell’accennare alla bellezza, la profondità umana del lavoro pastorale, della dignità sacramentale dice “Doveva vivere con Cristo per tutti”: trattare gli altri da uomo a uomo, disponibile per i malati come per i sani, per i giovani come per gli anziani, per il quotidiano come per i giorni di festa, sapendo compaginare in unità tutto ciò in forza dell’amore misericordioso di Dio. “Sempre di nuovo insieme con Cristo doveva donare la propria vita affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera vita”. Infatti “solo chi vive nell’esperienza personale dell’amore del Signore è in grado di esercitare il compito di guidare e accompagnare altri nel cammino della sequela di Cristo”.
Ma è “la terza conversione” descritta dal Papa quella che più sorprende, commuove e conforta. Quando, “vent’anni dopo la sua ordinazione”, Agostino è condotto dall’esperienza della grazia del Signore a correggere il suo ideale “di vita perfetta”. Citando le Ritrattazioni il Papa dice: “Nel frattempo ho compreso che uno solo è veramente perfetto e che le parole del Discorso della Montagna sono realizzate totalmente in uno solo: in Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece - tutti noi, inclusi gli Apostoli - dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Agostino aveva appreso un ultimo grado di umiltà - non soltanto l’umiltà di tradurre le sue grandi conoscenze nella semplicità dell’annuncio, ma anche l’umiltà di riconoscere che a lui stesso e all’intera Chiesa peregrinante era ed è continuamente necessaria la bontà misericordiosa di un Dio che perdona ogni giorno. E noi - aggiungeva - ci rendiamo simili a Cristo, l’unico Perfetto, nella misura più grande possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia”.
E nella preghiera davanti alle spoglie mortali descrive in che consista l’amore: “ ‘In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati’ (1 Gv 4,10)”.
E davanti ai numerosi bambini che gli fanno festa: “Cari bambini, (…) voi siete particolarmente vicini al Signore. Il suo amore è particolarmente per voi. Andiamo avanti nell’amore del Signore! Pregate per me, io prego per voi. Arrivederci!”.

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