La questione dell’uomo e le Università Europee
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«L’attuale cambiamento culturale è spesso considerato una “sfida” alla cultura universitaria e al cristianesimo stesso, piuttosto che un “orizzonte” sullo sfondo del quale possono e devono essere trovate soluzioni creative. Voi, uomini e donne di istruzione superiore, siete chiamati a partecipare allo svolgimento di questo compito difficile, che richiede una riflessione profonda su un certo numero di questioni fondamentali.
Fra queste, desidero menzionare in primo luogo la necessità di uno studio esauriente della crisi della modernità. La crisi attuale, comunque, ha meno a che fare con l’insistenza della modernità sulla centralità dell’uomo e delle sue ansie, che con i problemi sollevati da un “umanesimo” che pretende di edificare un regnum hominis alieno dal suo necessario fondamento ontologico. Una falsa dicotomia fra teismo e autentico umanesimo, spinta all’estrema conseguenza di creare un conflitto irrisolvibile fra diritto divino e libertà umana, ha condotto a una situazione in cui l’umanità, per tutti i suoi progressi economici e tecnici, si sente profondamente minacciata. (…)
Una seconda questione implica l’ampliamento della nostra idea di razionalità. (…)
Una terza questione che deve essere indagata riguarda la natura del contributo che il cristianesimo può rendere all’umanesimo futuro. (…)» [Benedetto XVI ai partecipanti all’Incontro dei Rettori e Docenti delle Università Europee, 23 giugno 2007].
Con la crisi della modernità avanza una situazione in cui l’umanità si sente profondamente minacciata
Con la crisi della modernità, durante la quale in un primo momento con la dimenticanza di Dio tutto sembrava continuare come prima, le scelte fondamentali, le principali forme di vita non vengono meno anche quando hanno perduto la loro motivazione di fondo, emerge una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe valido soltanto ciò che è esperimentabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza della modernità, che era una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà. Ciò tocca il cuore dell’uomo e si riflette oggi nel rapporto tra scienza e vita umana, dove l’essere umano è visto come un oggetto della tecnica e scompare sempre più come essere umano. Alla notizia che in laboratorio si ‘ coltivano ’ embrioni come ‘ materiale di ricerca ’, da cui ottenere ‘ scorte ‘di organi che potrebbero servire ad altri esseri umani, si leva ancora soltanto qualche rara voce di protesta inorridita. Il progresso richiede questo altro. E, tuttavia, se l’uomo alla sua origine e nelle sue radici è per se stesso soltanto un oggetto, se l’uomo ‘ produce ‘ e in questo processo produttivo viene selezionato in base a desideri e necessità, che cosa dovrebbe pensare l’uomo nei confronti dell’uomo? Come si deve comportare? Come si porrà l’uomo nei confronti dell’uomo, se nell’altro non trova più niente del mistero divino della creazione, se non il suo illimitato potere di fare? Quello che si mostra qui, nelle zone ‘ elevate ‘ della scienza, è il riflesso speculare di una realtà dove è possibile strappare Dio dal cuore degli uomini, anche a livello capillare, riconducendo l’etica entro in confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso, senza del quale è impossibile sia il vivere civile oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e la direzione della nostra vita. In questa drammatica crisi riemerge, però, un grande bisogno di chiedersi se non sia forse Dio la vera realtà, il presupposto fondamentale di ogni ‘ realismo ‘, tale che senza di esso nulla può rimanere integro.
Urge l’ampliamento della nostra idea di razionalità
La questione dell’uomo nel progresso delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Occorre capovolgere la tendenza, divenuta egemone con la crisi della modernità, a dare il primato all’irrazionale, all’inconscio, al caso e alla necessità, e ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Il concetto di ragione deve essere “ampliato” per essere in grado di esplorare e comprendere quegli aspetti della realtà che vanno oltre la dimensione puramente empirica riaprendo la nostra razionalità alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro all’Università la teologia, la filosofia e le scienze nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. “E’ questo - ha detto Benedetto XVI a Verona - un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. Il “progetto culturale” della Chiesa in Italia è senza dubbio, a tal fine, un’intuizione felice e un contributo assai importante”.
Il contributo che il cristianesimo può rendere all’umanesimo futuro
All’interno della pastorale occorre che la figura di Cristo venga spiegata, come offre il Catechismo e il suo Compendio, nei termini del dogma: è la fede che Cristo sia il figlio unico di Dio, che in lui Dio si sia realmente, storicamente fatto uomo tra gli uomini e che l’uomo Gesù sia eternamente in Dio, sia Dio stesso, quindi non una forma di manifestazione, di sola profezia di Dio, come nei profeti, bensì Dio unico e insostituibile. Cristo, cioè, da uomo che è Dio diventa uomo che ha esperimentato Dio con un volto umano. Se si toglie che Gesù è più che profeta e lo si riduce, come nella moderna teologia liberale deellenizzata a un illuminato e, in quanto tale, non più sostanzialmente diverso da altri illuminati, come il Budda, la figura di Gesù perde ogni logica intrinseca. Strappata dalle sue radici storiche, essa viene compressa in uno schema che le è estraneo. Non è più l’incontro ecclesiale con la Persona del risorto ad essere costitutivo, ma solo esclusivamente la via umana da lui mostrata. Chi si riconosce nella via di Budda, di Socrate li può dimenticare, non così anche chi conosce la dottrina cristiana. Al contrario, nel caso di Gesù è la sua persona, l’incontro ecclesiale con Lui a essere importante, reale oltre che la dottrina. Nel suo “Io sono” riecheggia l’”Io sono” pronunciato da Dio sul monte Oreb. “La via - Joseph Ratzinger nel saggio introduttivo del 2000 all’Introduzione al cristianesimo p. IX -consiste proprio (nell’incontrare la Persona) e seguire Gesù, poiché: ‘Io sono la via, la verità e la vita ‘ (Gv 14,6). Egli stesso è la via; non esiste alcuna via indipendentemente da lui; non esiste un cammino lungo il quale egli non conti più nulla. Se il messaggio lasciato da Gesù non è una dottrina, bensì la sua stessa persona, non si può non riconoscere in questo Io di Gesù un rimando al Tu del Padre; quindi un Io importante in quanto realmente ‘ via ‘, non in quanto Io in sé.”La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16). “Io non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 5,30). L’Io è importante perché coinvolge l’uomo nella dinamica della missione, perché porta l’uomo a superare se stesso e a unirsi con colui per il quale è stato creato. Se la figura di Gesù viene sottratto a questo rodine di grandezza, che certamente provoca sempre scandalo, se viene separata dall’essere Dio, essa diventa allora contradditoria: rimarrebbero solo dei frammenti che ci lascerebbero perplessi o si tradurrebbero in pretesti per indulgere nell’autoaffermazione”.
La questione dell’uomo, e quindi della crisi della modernità sfida la Chiesa a escogitare nella sua pastorale, nella sua catechesi modi efficaci di annuncio alla cultura contemporanea del “realismo” della propria fede nell’opera salvifica di Cristo. Quanto vi ha insistito mons. Giussani e quanto insiste Benedetto XVI. Il cristianesimo non va relegato al mondo del mito o dell’emozione, tanto meno dell’ideologia, ma deve essere rispettato per il suo anelito a fare luce sulla verità sull’uomo, a essere in grado di trasformare spiritualmente gli uomini e le donne, e quindi a permettere loro di realizzare la propria vocazione nel corso della Storia. “Durante la mia recente visita in Brasile - Benedetto XVI nel Discorso ai Vescovi del Celam, 3 - ho espresso la mia convinzione che “se non conosciamo Dio in Cristo e con Cristo, tutta la realtà si trasforma in un enigma indecifrabile”. La conoscenza non si può mai limitare alla mera sfera intellettuale. Essa include anche una rinnovata abilità di guardare alle cose liberi da pregiudizi e preconcetti e di lasciarsi “entusiasmare” dalla realtà, la cui verità si può scoprire unendo l’amore alla comprensione. Solo il Dio che ha un volto umano, rivelato in Gesù Cristo, può impedirci di limitare la realtà proprio quando essa richiede livelli sempre più complessi di comprensione. La Chiesa è consapevole della propria responsabilità di offrire questo contributo alla cultura contemporanea”.