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La pretesa di Gesù

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Gesù pretende di essere non solo uno dei profeti, ma il Figlio di Dio, l’unico Salvatore, l’unica speranza per tutti e per tutto

«Che cosa era difficile accettare per la gente a cui Gesù parlava? Che cosa continua ad esserlo anche per molta gente di oggi? Difficile da accettare è il fatto che Egli pretenda di essere non solo uno dei profeti, ma il Figlio di Dio, e rivendichi per sé la stessa autorità di Dio. Ascoltandolo predicare, vedendo guarire gli ammalati, evangelizzare i piccoli e i poveri, riconciliare i peccatori, i discepoli giunsero a poco a poco a capire che Egli era il Messia nel senso più alto del termine, vale a dire non solo un uomo inviato da Dio, ma Dio stesso fattosi uomo. Chiaramente, tutto questo era più grande di loro, superava la loro capacità di comprendere. Potevano esprimere la loro fede con i titoli della tradizione giudaica: “Cristo”, “Figlio di Dio”, “Signore”. Ma per aderire veramente alla realtà, quei titoli dovevano in qualche modo essere riscoperti nella loro verità più profonda: Gesù stesso con la sua vita ne ha rivelato il senso pieno,sempre sorprendente, addirittura paradossale rispetto alle concezioni correnti. E la fede dei discepoli ha dovuto adeguarsi progressivamente. Essa ci si presenta come un pellegrinaggio che ha il suo momento sorgivo nell’esperienza del Gesù storico, trova il suo fondamento nel mistero pasquale, ma deve poi avanzare ancora grazie all’azione dello Spirito Santo. Tale è stata anche la fede della Chiesa nel corso della storia, tale è pure la fede di noi, cristiani di oggi. Saldamente appoggiata sulla “roccia” di Pietro, è un pellegrinaggio verso la pienezza di quella verità che il Pescatore di Galilea professò con appassionata convinzione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16)» [Omelia di Benedetto XVI nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo, 29 giugno 2007].

Inscindibile la fede in Dio e la fede nel suo Figlio Gesù Cristo fattosi uomo
Spesso Gesù è considerato anche come uno dei grandi fondatori di religioni, da cui ognuno può prendere qualcosa per formarsi una propria convinzione. Come allora, dunque, anche oggi la “gente” ha opinioni diverse su Gesù. E come allora, anche a noi, a ciascuno di noi, discepoli di oggi, Gesù ripete la domanda: “E voi chi dite che io sia?”. Per credere veramente ed esperimentare che Lui è l’unica risposta a tutte le nostre attese, alle domande fondamentali del percorso di ogni esistenza umana “Chi sono?”, “da dove vengo e dove vado?”, “Perché la presenza del male?”, “che cosa ci sarà dopo questa vita?”, occorre puntare a far propria la risposta di Pietro di allora, di quello di oggi il Papa con il Catechismo della Chiesa cattolica e il suo Compendio. Attraverso l’anima biblica della catechesi cioè secondo il Vangelo di Marco Egli disse e dice: “Tu sei il Cristo” (8,29); in Luca l’affermazione è: “Il Cristo di Dio” (9,20); in Matteo suona: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (16,16); infine in Giovanni: “Tu sei il Santo di Dio” (6,69). Sono queste le risposte vere, valide per ciascuno di noi incontrandolo sacramentalmente cioè ecclesialmente nella Persona del Risorto e soggettivamente esperimentandolo come il tutto, cui tutto rifarsi per assimilarci a Lui e oggettivamente come il dogma della Chiesa lo propone: Cristo è il figlio unico di Dio, in lui Dio si è realmente fatto uomo tra gli uomini e l’uomo Gesù è eternamente in Dio. Dio stesso, quindi non una forma di manifestazione di Dio, bensì il Dio unico in tre Persone e insostituibile da cui tutto e tutti provengono e verso cui tutti e tutto sono destinati.
Così Joseph Ratzinger lo argomenta nel Saggio introduttivo alla nuova edizione 2000 della dodicesima edizione di Introduzione al cristianesimo (pp. XIV-XV). Se l’immagine cristiana di Dio il termine lògos - inteso come parola originaria, ragione creatrice e amore - è determinante e se il concetto di logos costituisce al tempo stesso il fulcro della concezione e della fede in Cristo, ancora una volta non resta che confermare l’inscindibilità tra fede in Dio e fede nel suo figlio Gesù Cristo fattosi uomo. Mettere tra parentesi la fede nella divinità di Gesù in questo clima di secolarizzazione per cui anche se Dio esistesse temporalmente all’origine come creatore, oggi non c’entrerebbe con il percorso storico, non serve a capire meglio Gesù, le domande del nostro cuore e ad avvicinarsi di più a lui. Purtroppo oggi è alquanto diffuso il timore che la fede nella sua divinità ce lo renda estraneo. E non è soltanto per evitare l’accusa di “imperialismo cristiano” di fronte alle altre religioni ma come se tutto ciò non si addicesse alla moderna visione del mondo. Si squalifica il divino come se si trattasse di mitizzazioni, trasformate in metafisica dallo spirito greco fatto proprio fino alla filosofia medioevale, fino al dualismo moderno.
Ma se separiamo Cristo da Dio, diventa lecito dubitare che Dio possa esserci vicino in ogni momento e in ogni luogo, che possa chinarsi tanto verso di noi in preghiera. Se Dio non è in Cristo, egli ritorna a dimorare in una lontananza incommensurabile; e se Dio cessa di essere Emmanuele cioè un Dio in mezzo agli uomini, presente con un volto umano e nei volti umani, diventa un Dio assente, che non c’entra con la storia, un non Dio: giacché un Dio privato della capacità di agire non è Dio. Per quanto concerne il timore che Gesù, a causa della fede nella sua figliolanza divina, si allontani da noi uomini, in realtà è vero il contrario: e, cioè, se Gesù è stato un semplice uomo, egli appartiene irrevocabilmente al passato e può essere percepito, con maggiore o minore chiarezza, solo attraverso un lontano ricordo di buon esempio, reso attuale solo dall’imitazione, scivolando in un biblicismo e in un moralismo. Se, al contrario, Dio si è realmente fatto uomo, e quindi con la più grande “mutazione” mai accaduta cioè la risurrezione, abbraccia tutti i luoghi e tutti i tempi., con il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente diverso che riguarda innanzitutto Dio con un volto umano, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo allora risorto è sempre presente in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Allora e soltanto allora Dio con un volto umano non è mero passato ma lo posso incontrare presente tra gli uomini, nostro contemporaneo. Così va concepito il Cristo in tutta la sua grandezza di Figlio di Dio, morto e risorto, così come ce lo mostrano i quattro vangeli presi assieme, come il Gesù di Nazaret, ce lo propone.

L’integrità della fede cristiana è data dalla confessione di Pietro, di tutti i Papi che in continuità dinamica la propongono
Nei Vangeli sinottici la confessione di Pietro è sempre seguita dall’annuncio da parte di Gesù della sua prossima passione. Un annuncio di fronte al quale Pietro reagisce, perché non riesce ancora a capire: la fede non va solo accolta, vissuta ma anche pensata. Si tratta di un elemento fondamentale, su cui Gesù insiste con forza. Infatti, i titoli attribuiti a Lui da Pietro - tu sei “il Cristo”, “il Cristo di Dio”, “il Figlio del Dio vivente” - si comprendono autenticamente solo alla luce del mistero della sua morte e risurrezione. Ed è vero anche l’inverso: l’avvenimento della Croce rivela il suo senso pieno soltanto se “quest’uomo”, che ha patito ed è morto in croce “era veramente il Figlio di Dio”, per usare le parole pronunciate dal centurione dinnanzi al Crocefisso (Mc 15,39). Questi testi dicono chiaramente che l’integrità della fede cristiana è data dalla confessione di Pietro, illuminata dall’insegnamento di Gesù sulla sua “via” verso la gloria, cioè sul suo modo assolutamente singolare di essere il Messia e il Figlio di Dio. Una “via” stretta, un “modo” scandaloso per i discepoli di ogni tempo, che inevitabilmente sono portati a pensare secondo gli uomini e non secondo Dio (Mt 16,23). Anche oggi, come ai tempi di Gesù, necessaria ma non basta possedere la giusta confessione di fede come il Compendio ce la propone: è necessario sempre di nuovo, incontrando continuamente la Persona di Cristo risorto, imparare il modo proprio in cui egli è Salvatore e la via sulla quale dobbiamo seguirlo. Dobbiamo infatti riconoscere che, anche per il credente, la Croce è sempre impegnativa da accettare. L’istinto spinge ad evitarla, e il tentatore induce anche i battezzati a pensare che sia più saggio preoccuparsi di salvare se stessi piuttosto che perdere la propria vita per fedeltà al proprio e altrui essere dono di Dio che è amore, per fedeltà all’amore, per essere felici.

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