A Verona da Paolo VI a Benedetto XVI attraverso Giovanni Paolo II
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Da Paolo VI…
Il 30 giugno 1968 Paolo VI volle offrire ai fedeli una versione nuova, più ampia e articolata, del “Credo di Nicea, il Credo dell’immortale Tradizione della santa Chiesa di Dio”, “con qualche sviluppo - aggiungeva - richiesto dalle condizioni spirituali del nostro tempo”. Pastoralmente voleva dare una risposta alle inquietudini e ai dubbi che avvertiva in rapporto a una chiave di lettura del Concilio che rischiava di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare: molti nostri contemporanei - diceva - “ non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così grande numero di certezze sono messe in contestazione e in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità. Senza dubbio la Chiesa ha costantemente il dovere di proseguire nello sforzo di approfondire e presentare, in modo sempre più confacente alle generazioni che si succedono, gli imperscrutabili misteri di Dio, fecondi per tutti i frutti di salvezza. Ma al tempo stesso, pur nell’adempimento dell’indispensabile dovere di indagine, è necessario avere la massima cura di non intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana. Perché ciò vorrebbe dire - come purtroppo oggi spesso avviene - un grande turbamento e perplessità in molte anime fedeli”. Il Credo del Popolo di Dio offriva gli elementi normativi essenziali di fede con cui tutti nella Chiesa potevano avere la capacità di giudicare le nuove argomentazioni biblico - teologiche e soprattutto la “contestazione” del 1968. L’“ermeneutica della discontinuità e della rottura”, anziché l’“ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto - Chiesa”, che il Signore ci ha dato, ermeneutica che si avvaleva non di rado della simpatia dei mass - media e anche di una parte della teologia moderna, causava confusione. Paolo VI, così attento in continuità con il Concilio ad assumere dalla cultura moderna elementi che potevano mettere in luce l’uno o l’altro aspetto dei misteri della fede, fu costretto alla pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae.
Particolarmente forte l’omelia Resistite fortes in fide del 29 giugno 1972 nella quale affermò di avere la sensazione che “da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. Crediamo in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo per turbare, per soffocare i frutti del Concilio ecumenico e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia per aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per ricorrerlo e chiedere a lui se ha la formula vera della vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. E’ entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce (.)Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza”.
…a Benedetto XVI
Si è scritto che nei lavori in preparazione del Convegno Ecclesiale di Verona - prima dell’intervento del Papa - si avvertiva come una “nostalgia” di Paolo VI, superata dal finale di Benedetto XVI nel riferimento a “quella secolarizzazione interna” che insidia la Chiesa nel nostro tempo, in conseguenza dei processi di secolarizzazione che hanno profondamente segnato la civiltà europea”. Ed è in continuità con Paolo VI anche nell’indicare l’antidoto che propone cioè imparare in vissuti fraterni di comunione ecclesiale “a conoscere e ad amare il mistero della Chiesa che vive nella storia” e a sentirsi “fino in fondo parte di essa”, insomma a diventare “anime ecclesiali”. Nell’udienza del 23 luglio 1975, Paolo VI, dopo aver definito la Chiesa, una “entità etnica sui generis, che si distingue per il suo carattere religioso e messianico, sacerdotale e profetico”, aveva affermato che solo possedendo quel sensus ecclesiae, cioè quella coscienza di appartenere ad una società speciale, soprannaturale, che è corpo vivo con Cristo” si poteva dar vita una scienza di vita concreta e sociale”, che non avesse bisogno di “mutuare da formule sociali antireligiose e conflittuali la sapienza e l’energia del bene da compiere, delle giuste riforme per il progresso umano, della continua affermazione della giustizia e della pace” e potesse, invece, “esplicare la interpretazione umana e sociale, con originali espressioni cristiane, che scaturiscono dal suo genio religioso ed evangelico”.
Forse oggi la “secolarizzazione interna” della Chiesa non si pone con quella drammaticità avvertita ai suoi tempi da Paolo VI: il pontificato di Giovanni Paolo II non è passato invano, certi argini sono stati eretti, primo fra tutti il “Grande Catechismo della Chiesa Cattolica” alla luce del “Credo del popolo di Dio” di Paolo VI, che presenta, nelle quattro parti, Gesù Cristo sempre al centro del mondo e della storia, dell’Antico e del Nuovo Testamento, chiave anche di ogni lettura e interpretazione biblica. Il “Compendio” o “Piccolo Catechismo della Chiesa Cattolica”, voluto sempre da Giovanni Paolo II e pubblicato da Benedetto XVI il 28 giugno 2005 è uno strumento di magistero ordinario per conoscere meglio quel Figlio di Maria, presente oggi sacramentalmente nella sua Chiesa, come Risorto, per la salvezza di tutti di tutto, per meglio celebrarlo, seguirlo, lodarlo, ringraziarlo e pregarlo.
I tre Papi, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI presentano i vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata come il luogo in cui può accadere l’incontro con la Persona del Crocefisso risorto, che fa rivivere sacramentalmente cioè liturgicamente tutti i fatti e i detti della fase terrena per assimilarci a Lui, a due livelli:
- oggettivo: la possibilità di incontrare Gesù nella Chiesa si concretizza con gesti oggettivi della vita che nella Chiesa impariamo a vivere: preghiera cioè ascolto di Dio attraverso la mediazione della Sacra Scrittura, i gesti attuali della Persona del Risorto cioè i sacramenti all’inizio dell’essere e del divenire sempre più cristiani e l’intelligenza ecclesiale della fede con il Catechismo e il suo Compendio, i vissuti fraterni con chi vive la stessa fede e la stessa attesa della vita eterna nel mondo che verrà, la devozione alla Madre di Dio, i sacerdoti, i genitori, i catechisti e tutti coloro che educano e guidano;
- soggettivo: per facilitare al massimo l’incontro con Lui, Gesù si manifesta sensibilmente e ci attira potentemente attraverso il volto di una i più persone concrete nelle quali personalmente percepiamo più intensamente il senso di una vita vera e di una attesa eterna. Può essere il volto di quella donna, di quell’uomo, di quell’amico, con cui inizi a vivere una relazione reciproca di vero amore. Può essere il volto di un povero, di un oppresso che hai soccorso certi di poter sentirsi dire nel giorno del giudizio: “Avevo fame, avevo sete.vieni benedetto in paradiso”.
Ai Vescovi austriaci che nella visita ad limina manifestavano il problema dottrinale di fronte ad un accentuarsi di pubblicazioni bibliche e teologiche, con il rischio che il cristianesimo, diversamente dal carattere popolare voluto da Gesù che ha rivendicato per i semplici la capacità di comprenderlo quanto i dotti, diventi un sistema a due classi, dotti e semplici, ha ricordato che l’unità è nell’essenziale della fede. Il ministero pastorale non abilita alle argomentazioni bibliche e della teologia scientifica ma all’annuncio di ciò che è esenziale per la fede, normativo per tutti, anche per i teologi che possono essere contraddetti, come anche il Papa quando argomenta biblicamente e teologicamente. Quindi “utilizzate, per favore, con zelo il Compendio e il Catechismo della Chiesa Cattolica! Fate in modo che i sacerdoti e i catechisti adottino questi strumenti, che vengano spiegati nelle parrocchie, nelle unioni e nei movimenti e che vengano utilizzati nelle famiglie come importanti letture! Nell’incertezza di questo periodo storico e di questa società, offrite agli uomini la certezza della fede completa della Chiesa! La chiarezza e la bellezza della fede cattolica sono ciò che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi! Questo in particolare se viene presentata da testimoni entusiasti ed entusiasmanti!”. In questo modo si dà a tutti la capacità e la dignità personale di valutare con sicurezza tutti e tutto.
A Verona, Benedetto XVI ha invitato a riconoscere che accanto all’acuirsi della lotta con un nuovo laicismo e illuminismo per spazzare via ogni senso religioso, soprattutto cristianamente religioso, ci sono “grandi opportunità” da cogliere per “camminare insieme” - almeno per un certo tratto di strada - a “molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la loro fede”. E’ ciò che Paolo VI proponeva con l’Evangelii nuntiandi cui ha collaborato l’allora cardinal Wojtyla.