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Risposte a Cinque quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la Dottrina sulla Chiesa

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Continuità storica della Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica malgrado e nonostante le divisioni dei cristiani

«Secondo quesito: Come deve essere intesa l’affermazione secondo cui la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica?
Risposta: Cristo “ha costituito sulla terra” un’unica Chiesa e l’ha istituita come “comunità visibile e spirituale”, che fin dalla sua origine e nel corso della storia sempre esiste ed esisterà, e nella quale soltanto sono rimasti e rimarranno tutti gli elementi da Cristo stesso istituiti. “Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica (…). Questa Chiesa, in questo modo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui”.
Nella Costituzione dogmatica Lumen gentium (8) la sussistenza è questa perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra.
Secondo la dottrina cattolica, mentre si può rettamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse, la parola “sussiste”, invece, può essere attribuita esclusivamente alla sola Chiesa cattolica, poiché si riferisce appunto alla nota dell’unità professata nei simboli della fede (Credo… la Chiesa “una”); e questa Chiesa “una” sussiste nella Chiesa cattolica.
Terzo quesito: Perché viene adoperata l’espressione “sussiste nella” e non semplicemente la forma verbale “è”?
Risposta: L’uso di questa espressione, che indica la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, non cambia la dottrina sulla Chiesa; trova, tuttavia, la sua vera motivazione nel fatto che esprime più chiaramente come al di fuori della sua compagine si trovino “numerosi elementi di santificazione e di verità”, “che in quanto doni propri della Chiesa di Cristo spingono all’unità cattolica”.
Perciò le stesse Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che hanno carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Infatti lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica» [Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposte a Cinque quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la Dottrina sulla Chiesa, 29 giugno 2007].

Il Concilio Vaticano II, con la Costituzione dogmatica Lumen gentium e con i Decreti sull’Ecumenismo (Unitatis redintegratio) e sulle Chiese orientali (Orientalium Ecclesiarum), ha contribuito in modo determinante ad una argomentazione teologica e comprensione più profonda dell’ecclesiologia cattolica. Non ha voluto certamente cambiare - come suona la risposta al primo dei cinque quesiti posti alla Congregazione - né ha cambiato la precedente dottrina della Chiesa, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente, come con estrema chiarezza ha ribadito all’inizio del Concilio Giovanni XXIII e come si espresse nell’atto di promulgazione della Costituzione Lumen gentium Paolo VI: “E migliore commento sembra non potersi fare dicendo che questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale. Ciò che Cristo volle, vogliamo noi pure. Soltanto ciò che era semplicemente vissuto, ora è espresso; ciò che era incerto, è chiarito; ciò che era meditato, discusso, e in parte controverso, ora giunge a serena formulazione”. E i Vescovi ripetutamente manifestarono e vollero attuare questa intenzione.
Il conseguente e prezioso impegno dei teologi ad argomentare, ad illustrare sempre meglio i diversi aspetti dell’ecclesiologia ha rivelato una grande fecondità, ma talvolta si sono rese necessarie puntualizzazioni e richiami da parte del normativo Ministero dell’annuncio, come la Dichiarazione Mysterium Ecclesiae (1973), la Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica Communionis notio (1992) e la Dichiarazione Dominus Iesus (2000), tutte pubblicate dalla Congregazione per la Dottrina della fede.
La vastità e l’importanza dell’argomento, la novità di molti temi continuano a provocare la riflessione teologica, offrendo sempre nuovi contributi non sempre immuni da interpretazioni errate che suscitano perplessità e dubbi, alcuni dei quali sono stati sottoposti all’attenzione della Congregazione per la Dottrina della Fede. Essa, presupponendo l’insegnamento globale della dottrina cattolica sulla Chiesa, intende rispondervi precisando il significato autentico di talune espressioni ecclesiologiche magisteriali, che nel dibattito teologico rischiano di essere fraintese. Benedetto XVI ha approvato e confermato come magistero ordinario queste cinque Risposte decise dalla sessione ordinaria della Congregazione e ne ha ordinato la pubblicazione, avvenuta il 29 giugno 2007.

La Chiesa e la Chiese, le Comunità ecclesiali
La tunica di Cristo, purtroppo, è stata lacerata dai cristiani che si sono divisi in diverse epoche storiche. Portiamo ancora i segni delle grandi divisioni che i cristiani hanno compiuto; il secondo millennio della nostra storia ha conosciuto la separazione delle Chiese ortodosse (1054) e delle diverse denominazioni derivate dalla Riforma di Lutero (1483- 1546). Diversi sono stati i motivi e le cause che hanno portato a queste drammatiche lacerazioni; rimane intatta tra tutti l’unità del battesimo che professa lo stesso Dio e lo stesso Signore risorto, ma gravi problemi sono sorti nel comprendere la realtà della Chiesa e la sua missione. E’ successo che ognuna di queste comunità abbia preteso di interpretare per sé stessa le note che caratterizzano la Chiesa di Cristo. E’ necessario, pertanto, riprendere i punti salienti che permettono di riconoscere la Chiesa cattolica come la vera continuazione storica della Chiesa che Cristo ha fondato. Questo tema è stato affrontato dal Concilio Vaticano II il quale nella Lumen gentium ha dichiarato: “E questa l’unica Chiesa di Cristo che il Salvatore nostro, dopo la risurrezione, diede da pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida; egli l’ha eretta per sempre come colonna e fondamento della verità. Questa Chiesa, costituita e organizzata in questo,mondo come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui” (LG 8).Nessun dubbio, pertanto, che i Padri abbiano voluto riaffermare la continuità storica della Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica malgrado e nonostante le divisioni dei cristiani. Ciò che importa, inoltre, è osservare il fatto che in questo modo il concilio riafferma che la vera Chiesa di Cristo non è affatto divisa; essa rimane una, santa, cattolica e apostolica. Divisi sono i cristiani, non la Chiesa; essa nella sua natura e nella sua sostanza rimane quella che Cristo ha fondato e questa permane senza interruzione nella Chiesa cattolica.
Le divisioni tra i cristiani, tuttavia, non sono affatto indolori, perché impediscono che la “Chiesa attui la pienezza della cattolicità ad essa propria (Unitatis Redintegratio 4); ciò significa che l’unità interna della Chiesa è sempre salvaguardata per la presenza dello Spirito del Risorto, ma ne deriva una minore efficacia, nella credibilità che siamo chiamati ad esprimere. E’ importante, comunque, verificare più da vicino i motivi di unità e quelli di divisione che caratterizzano la Chiesa cattolica dalle altre comunità.
In primo piano vi sono le Chiese ortodosse. La comunione con loro è così profonda che manca davvero poco per poter celebrare insieme un giorno l’eucaristia. In queste Chiese, infatti, è stato conservato il sacerdozio valido e i vescovi appartengono alla vera successione del collegio apostolico. Questo spiega la presenza di una completa vita sacramentale, del tesoro della liturgia e della tradizione spirituali dei santi padri, della vita monastica e di tante altre ricchezze che lasciano in ombra le pur reali differenze che permangono e prima fra tutte l’universalità propria della Chiesa, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui e quindi il Concilio Vaticano II attribuisce il nome di “Chiese” alle Chiese orientali separate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, come documenta la risposta al quarto quesito.
Una soluzione diversa si verifica, invece, con le comunità che sono derivate dalla Riforma, alle quali i testi del Concilio e del Magistero successivo non attribuiscono il titolo di “Chiesa” ma di Comunità cristiane nate dalla Riforma del 16° secolo. Secondo la dottrina cattolica - è la Quinta risposta -, queste Comunità non hanno la successione apostolica del sacramento dell’Ordine, e perciò sono prive di un elemento costitutivo essenziale dell’essere Chiesa. Le suddette Comunità ecclesiali, che, specialmente a causa della mancanza del sacerdozio ministeriale, non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero eucaristico, non possono essere chiamate “Chiese” in senso proprio. Il protestantesimo è diventato una delle tre confessioni principali del cristianesimo, dopo quelle cattolica e ortodossa. Dopo la riforma di Lutero, il protestantesimo ha conosciuto numerose scissioni al suo interno, con le predicazioni di Calvino e Zwingli. Al 1534 risale invece la nascita della Chiesa anglicana con Enrico VIII. Nel mondo si contano 20 mila diverse denominazioni riconducibili al protestantesimo e nel 2000 si calcolava in 342 milioni il numero dei protestanti nel mondo. Ad accomunare le varie comunità del protestantesimo, diffuso soprattutto in America e nei paesi dell’Europa centrale e del Nord, è la concezione secondo cui la salvezza non dipende dai meriti dell’uomo, ma solo liberamente elargita da Dio in virtù della sola fede. Ma un passo significativo, comunque, è stato fatto di recente con la comune sottoscrizione circa alcune tesi sulla dottrina della giustificazione (1998), tema, questo, essenziale per le comunità luterane. Non si possono sottacere, tuttavia, le differenze nella comprensione del mistero della redenzione, della Chiesa e del ruolo di Maria e dei santi, nella determinazione della Sacra Scrittura e della vita della Chiesa come, soprattutto, della continuità del ministero ordinato. Non essendo conservata la successione apostolica, anche la stessa celebrazione eucaristica non è stata conservata nella sua integrità in queste comunità. E’ per questi motivi che il Concilio, la Dichiarazione Dominus Jesus (2000) riservano solo alla Chiesa cattolica e a quelle ortodosse il titolo di “chiesa”, mentre si preferisce identificare con il termine di “comunità ecclesiali” tutte quelle provenienti dalla Riforma. Questa distinzione nulla toglie all’autocomprensione ecclesiale che queste comunità hanno.

L’impegno ecumenico è tra gli obiettivi primari della vita della Chiesa
Ma è un cammino lungo e spesso difficile, ma necessario per corrispondere alla missione che Gesù ci ha affidato. L’ecumenismo più efficace, comunque, non si nasconde le difficoltà e non ignora le differenze che ancora persistono. Un comportamento irenico che tende a emarginare i problemi non serve; questi, presto o tardi, ritornano e hanno bisogno di trovare una risposta. La verità, d’altronde, non può e non deve mai offendere quanto è presentata nella carità; essa, piuttosto, fa prendere seria coscienza delle responsabilità che abbiamo e del cammino che si deve percorrere. L’unica fede nell’incontro con la Persona di Cristo e l’unico battesimo non devono farci perdere di vista l’unica speranza a cui tutti siamo chiamati.

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