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L’unità dei cristiani, oggi

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Cattolici, Ortodossi e Protestanti europei non possono, soprattutto oggi, non essere uniti

C’è una grande spinta all’unità anche per poter riprendere in modo credibile l’evangelizzazione di fronte all’“inimmaginabile scristianizzazione” dell’Europa. In realtà, in Europa orientale come in occidente, moltissimi ignorano chi sia veramente Cristo, che esista una Chiesa per la salvezza di tutti e di tutto e quindi una cultura cattolica a servizio di tutte le culture.
La spinta all’unità vera va vissuta come il processo attraverso cui si dischiude all’altro la profondità nascosta di ciò che egli ha esperimentato nella sua personale esperienza di fede vera, senza alcuna relativizzazione del dogma. L’unità dei cristiani sarà sempre da ricomporre sino alla fine dei tempi; non mediante un ritorno né un consenso differenziato, ma un dialogo sincero che porti alla comune professione integrale della fede, alla piena comunione e alla missione insieme in Europa e nel mondo. Tutto questo può passare, come insegna la storia della Chiesa, attraverso il martirio:

“Nel corso della storia, entrambe le Chiese di Roma e di Costantinopoli hanno spesso esperimentato la lezione del chicco di grano. Insieme noi veneriamo molti dei medesimi martiri il cui sangue, secondo le celebri parole di Tertulliano, è divenuto seme di nuovi cristiani. Con loro, condividiamo la stessa speranza che obbliga la Chiesa a proseguire “il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”. Per parte sua, anche il secolo appena trascorso ha visto coraggiosi testimoni della fede, sia in Oriente sia in Occidente. Anche oggi vi sono molti di tali testimoni in diverse parti del mondo (e delle diverse confessioni). Li ricordiamo nella nostra preghiera e, in ogni modo possibile, offriamo loro il nostro sostegno, mentre chiediamo con insistenza a tutti i leader del mondo di rispettare la libertà religiosa come diritto umano fondamentale” [Benedetto XVI a Istanbul].

C’è bisogno di una “ecclesiologia della persecuzione”, oltre che di “comunione”, in quanto la Chiesa si ritrova solo se accetta di perdersi nel lasciarsi assimilare a Cristo suo maestro e non di conservare o recuperare se stessa, sempre secondaria per la mediazione sacramentale a Cristo, come secondaria la civiltà e la cultura cristiana europea che da essa nasce non per il dominio ma per il servizio all’umanità e al mondo. La Chiesa ha nel martirio il sigillo della sua cattolicità ed ecumenicità. Il cristianesimo è vita di amore che può arrivare fino al martirio. Per questo sono i santi a fare l’unità reale della Chiesa e Joseph Ratzinger osserva che i martiri indicano dove sta la Chiesa: con la teologia del martirio si entra nel nucleo antico della teologia del primato… stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi” (Gv 21,18): “Morire - Benedetto XVI - si può solo personalmente. Il primato… è anzitutto da comprendere a partire dalla testimonianza responsabile personale del martirio in quanto verifica della testimonianza per il Crocefisso vittorioso sulla croce”. L’accadere per grazia di una presenza mite e ferma di Papa Benedetto XVI, disposto personalmente al martirio, è il primo e il più grande gesto concreto che cattolici, ortodossi, protestanti devono imitare e possono offrire all’ecumenismo e alla politica nell’Europa scristianizzata e nelle regioni dell’Asia, a confronto con le antiche e nuove religioni, e in quelle d’America attaccate dalle sette.

La Chiesa è una, non è e non diventerà mai una confederazione di Chiese: pur con riti particolari diversi e in forme diverse “continuiamo ad essere membri - diceva Vladimir S. Solove’v - dell’unica e indivisibile Chiesa di Cristo”. “Parlare di oriente e occidente non è il modo giusto di cominciare. Bisognerebbe sempre cominciare ogni discorso a partire dall’unica Chiesa, da un’unica fede, da un solo Signore, un solo battesimo che si esprimono nelle varie culture, fermo restando che siamo uniti come cattolici, come cristiani. Est e Ovest (polmone orientale e polmone occidentale) sono importanti per poter esprimere più perfettamente l’una e unica fede. Non dobbiamo mai partire dalla differenza tra Est e Ovest, ma dall’unità della fede. Se neghiamo l’una e l’altra tradizione, (l’uno e l’altro polmone dell’unica Chiesa), abbiamo una visione impoverita della nostra fede, e non abbiamo il diritto di far questo alla Chiesa, dobbiamo servire la Chiesa universale, l’unica fede, con tutti i doni che Dio ci ha dato” (L. Husa, “Tracce” 6 (2001), 83).
Il problema è che quando all’unica Chiesa si è sostituita ciascuna Chiesa particolare, si è passati, nel secondo millennio, dalla confessione alle confessioni, dalla tradizione alle tradizioni, e i doni sono divenuti da relativi assoluti. Eppure i carismi delle Chiese particolari servono alla missione dell’unica Chiesa universale. Per eliminare le divisioni bisogna avere le certezze e l’esperienza dell’identità della fede e del vissuto fraterno di comunione ecclesiale. La mediazione della Scrittura e della dottrina, dei sacramenti, del monachesimo e di ogni concreto vissuto fraterno di comunione, della successione apostolica e del primato di Pietro per la presenza e l’’incontro con la Persona del Crocefisso risorto sono inscindibilmente i pilastri della spiritualità, del noi della Chiesa per ogni io umano, su cui deve appoggiarsi ogni ecumenismo.
Ancora Solov’ev, cristiano ortodosso, annota nel Racconto dell’Anticristo, che la mediazione sacramentale del primato petrino non meno delle Scritture e della tradizione ha un solo scopo cui ogni cuore originariamente aspira per divenire quello che è e a cui è destinato come “io e non più io”: l’incontro e quindi l’assimilazione con la Persona viva di Cristo, Dio con un volto umano, la bellezza presente e visibile che salva il mondo. Giovanni Paolo II, prima di dichiarare la disponibilità a mutamenti nell’esercizio del primato, consapevole che esso esige una continua purificazione della memoria - una conversione interiore come ripete Benedetto XVI - occorre essere fedeli all’unità concreta della Chiesa come è stata voluta da Cristo e in chi concretamente avviene. Senza il vescovo di Roma l’ecclesiologia di comunione è imperfetta e incompiuta. La comunione con la sede di Pietro è essenziale all’essere pienamente Chiesa. E oggi, più che nel passato, ci sono cristiani ortodossi, anglicani, protestanti che cercano la pienezza, la cattolicità, la Chiesa universale nel mondo globalizzato. E in tal senso urge la disponibilità dei cattolici ad incontrarli e accoglierli, in quanto la Chiesa cattolica non può abdicare a proporsi come colei nella quale continua ad esistere, a sussistere l’unica Chiesa di Cristo. Non bisogna confondere questo cammino ecumenico con l’evangelizzazione di quanti non hanno mai conosciuto e incontrato consapevolmente Cristo, pur già in qualche modo uniti a Lui, come ogni uomo, per l’incarnazione del Figlio di Dio, e in Europa questi sono tanti tra le giovani generazioni dell’est e dell’Ovest.
Per cattolici, ortodossi e protestanti urge riprendere l’evangelizzazione di fronte all’“inimmaginabile scristianizzazione” dell’Europa. In Oriente e in Occidente è in atto una diffusa e drammatica secolarizzazione: tutto viene sradicato e si insedia il consumismo e l’idolatria del denaro con forme di trasgressione morale mai esperimentate. Emerge l’immane sofferenza dei martiri che il comunismo ateo non è riuscito a piegare e che vedono i figli travolti dall’ateismo pratico del secolarismo occidentale, dal quale si attendevano altro prima del 1989. Non è ammissibile, a motivo della mancanza di libertà confessionale dovuta al cosiddetto territorio canonico, considerare per la Chiesa ortodossa Russa, stranieri i cattolici, i protestanti. Tra cristiani di confessioni diverse, anche per non essere dissolti tutti dal comune secolarismo, occorre protendersi uniti nell’annunciare l’incontro con la Persona viva di Cristo di fronte all’inquietudine disperata del vuoto delle coscienze e della degradazione morale creata da quasi un secolo di ateismo teorico in oriente, pratico in occidente. Di fronte al secolarismo che rischia di segnare la globalizzazione dissolvendo non solo la fede cristiana ma tutte le religioni, non è possibile agire separatamente in un così immane compito ma aprirsi alla collaborazione. La mediazione cioè la secondarietà della Chiesa come della cultura, della civiltà cristiana, che rende possibile oggi, come ieri e domani, ad ogni uomo l’incontro con la Persona di Cristo, è una e tale rimarrà fino al compimento della storia quando il Risorto sarà tutto in tutti e in tutto di fronte al Padre per opera del dono del Suo Spirito.

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