Condividi:

Allargare gli spazi della nostra razionalità e riaprirla alle grandi questioni del vero e del bello

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Ci troviamo, oggi, davanti a una scientificità che esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema a-scientifico o pre-scientifico, con un tipo di laicità, in Europa, agnostica, secolarizzata. Con questo, però, ci troviamo davanti a una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.

«Nel sottofondo c’è l’auto limitazione moderna della ragione espressa in modo classico nelle “critiche” di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianesimo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua, per così dire, razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla e usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l’elemento platonico nel concetto moderno di natura. Dall’altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l’esperimento fornisce la certezza decisiva. (…) Se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del “da dove” e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” intesa in questo modo, e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo (senza rilevanza pubblica in questo tipo di laicità conseguente). Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica. In questo modo, però l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale. E’ questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione, patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell’ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un’etica, partendo dalle regole dell’evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente» [Benedetto XVI, Regensburg, 12 settembre 2006].
«La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo - che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico - suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza (post-moderna) a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. E’ questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza (in una sana laicità)» [Benedetto XVI, Verona, 19 ottobre 2006].

Il cardinale Angelo Scola, formatosi accanto a Giovanni Paolo II della Fides et ratio e di Ratzinger che ritiene possibile e urgente allargare gli spazi della nostra razionalità anche per una sana laicità, ha offerto un prezioso contributo in un’intervista sul Corriere della sera di Domenica 15 luglio.

Rapporto tra scienza e fede
Partendo dall’esperienza pastorale dell’amministrazione delle Cresime di quest’anno ha raccontato il tentativo di far capire lo Spirito Santo a bambini cresciuti nel tempo della Second Life. Immersi come sono nella mentalità corrente, pensano allo Spirito santo come fenomeno virtuale e non reale. Ma allora esiste solo ciò che è empiricamente misurabile e verificabile? Oppure ci sono realtà che pure appartengono alla nostra esperienza, capaci di dirci verità molto importanti anche se non misurabili? C’è una dimensione che non può essere ridotta al puro calcolo e questa è lo spirito. Lo possiamo chiamare anima. Contro di essa oggi si erge un’obiezione che non è più quella scientista classica, quella di Comte, secondo cui la domanda delle domande - chi mi assicura alla fine? Chi mi ama oltre la morte? - non poteva più essere posta perché non aveva più ragione d’essere. Certo, trovi ancora chi dice che bisogna svincolare le scienze dalla religione, come trovi chi dice che non possiamo essere cristiani e neppure cattolici. Ma oggi le neuroscienze non procedono più come lo scientismo tradizionale. Non escludono il valore delle credenze e della religione; anzi, studiando il rapporto tra cervello e mente, arrivano a dire che il cervello funziona in modo tale da generare credenze. La domanda religiosa non è più pregiudizialmente rifiutata, semmai depotenziata: la risposta alle domande dell’uomo verrà sempre più dalla scienza, evolutasi nel suo rapporto con la tecnologia in tecnoscienza. Questa è la vera ragione della globalizzazione: stiamo esportando in tutto il mondo la convinzione che la tecnoscienza produrrà la felicità. La tecnoscienza ha prodotto una sorta di universalismo scientifico, per cui se una cosa ha il marchio della scienza viene considerata indiscutibile. E’ paradossale: in un mondo che non ammette alcun assoluto, funziona l’assoluto pratico dell’universalismo scientifico.
Scola, come Benedetto XVI, non contesta una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettiva nella natura ma rifiuta di considerare il rapporto tra cervello e mente in termini di causa ed effetto che eventualmente chiede se non debba esserci un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze potrebbe riportarci verso il Logos creatore o Ragione creativa. La rilevazione dei processi cerebrali non può essere la spiegazione totale del fenomeno mente. Qual è il fattore che impedisce questo appiattimento? La tradizione lo chiama anima. Oggi è diventata un tabù. Invece bisogna ritornarne a parlarne riconoscendo che esiste una dimensione dell’uomo che non è puro cervello, né pura mente, né puro rapporto tra mente e cervello, ma un oltre, un altro - l’anima appunto - connessa in maniera strutturale al mio corpo.

La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano, l’anima si innalza verso la contemplazione della realtà in tutti i fattori cioè la verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza
Scola si rifà a una interessante definizione di un neuroscienziato: la scienza è l’incursione impaginatrice in ciò che può essere reale cioè vero. Per questo è inaccettabile che la ragione possa coincidere soltanto con la dimensione teorico - pratica utilizzata dalla tecnoscienza. Si deve riconoscere che esistono altri livelli della ragione ed educare a questi. E qui Scola si inserisce al richiamo di Benedetto XVI di allargare la ragione: c’è una ragione speculativa, che è quella classica verso le grandi questioni del vero e del bene, c’è una ragione teorico - scientifica, c’è una ragione pratico - tecnica, c’è una ragione poetico - espressiva che è quella propria dell’arte. Se si negassero tutti questi diversi livelli di ragione, la stessa formidabile impresa neuroscientifica ricadrebbe in una nuova forma di scientismo, meritando la critica di riduzionismo. Invece la scienza oggi, a differenza di 40 - 50 anni fa, non ha più paura di parlare di realtà in tutti i fattori, in tutti gli ambiti o verità. Esiste quindi un terreno in cui coniugare tra loro teologia, filosofia e scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. Ed è un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cattolica piena cittadinanza.

Perché su molti temi, dalla ricerca delle staminali alla fecondazione assistita, la Chiesa è fatta apparire diffidente, come un freno della scienza?
Scola annota che compito della Chiesa, fondatrice dell’Università del sapere, è ricordare all’io umano la sua apertura originaria alla realtà in tutti i fattori cioè alla verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza. Se assolutizzo, idolatro la felicità come un puro prodotto del solo fattore della tecnoscienza, finirò col proiettare la felicità solo nel futuro. E in questo caso inesorabilmente sentirò come un freno ogni richiamo alla totalità dei fattori, di senso, al peso del presente e del passato, che sono invece necessari come la proiezione nel futuro perché l’uomo sia veramente felice. In fondo è come se la Chiesa dicesse all’uomo: con il Fatto dell’Incarnazione di Dio con un volto umano, unito in qualche modo ad ogni uomo, siamo stirpe di Dio; con la “mutazione” mai accaduta della risurrezione, un “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, che riguarda Gesù di Nazaret e con Lui tutta la famiglia umana, la storia, l’intero universo, se ti affidi a questo puoi tentare tutto. Altrimenti puoi tuffarti in abissi inesplorati, rischiando di tornare a galla. La Chiesa fa emergere in modo significativo quel grande “si” che in Gesù Cristo Dio, la Ragione creativa, redentiva di tutti e di tutto, ha detto ad ogni uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza, all’universo strutturato in modo intelligente da rendere possibile la ricerca scientifica. E questo non in nome di una teoria contingente, ma di un’esperienza millenaria, come documenta Thomas E. Woods in Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale (Cantagalli); in nome del fatto che l’esperienza del male che mi porto dentro è stata vinta da Uno che ha dato la vita, si è lasciato liberamente uccidere per noi. L’uomo di oggi rischia di sentire la Chiesa come un freno quando dimentica l’anima cioè l’io aperto alla realtà in tutti i fattori cioè alla verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza. E ogni uomo non può essere veramente libero se non riceve luce sulle questioni centrali della sua esistenza, ed in particolare da dove vengo e dove vado? Perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita?
L’assolutizzazione di un fattore e quindi il dominio della tecnoscienza si fa palese nel suo influsso sull’edificazione delle democrazie occidentali e sulla formazione delle leggi, per cui risultano decisivi sempre e solo i risultati delle scienze empiriche, plagiando il consenso con i mezzi della comunicazione e dissolvendo così la vera laicità. Ora la tecnoscienza ha il dovere di fornirci tutti gli elementi disponibili sulla vita e sulla morte, ma non può decidere da sola, senza lasciare spazio agli altri fattori o livelli di senso.

Nella Chiesa, è la gerarchia a voler decidere, a vincolare i politici cattolici nelle loro mediazioni? Nel Parlamento italiano 60 di loro hanno rivendicato la loro totale autonomia.
Scola precisa che al di là delle intenzioni, che non si possono mai giudicare, che i vescovi mettano in dubbio la laicità delle istituzioni è privo di fondamento. Certo il cattolico, che tale pubblicamente si qualifica, si riconosce come appartenente a Cristo in quel soggetto “sui generis” che è la Chiesa e per sua scelta accetta che esistano significati del vissuto ecclesiale che vengono dalla parola di Dio autenticamente interpretata dal magistero. Maritain diceva che sulle questioni di principio o intermedie tra principi ed aspetti opinabili e pratici come i valori non negoziabili, il magistero ha il dovere di proporre un’interpretazione autentica: è la missione che ha ricevuto da Cristo stesso. Com’è ovvio dal momento che la fede si propone e passa sempre attraverso il rischio del libero arbitrio, tale interpretazione nella vita cristiana è inesorabilmente proposta alla libertà e alla coscienza, non è imposta a nessuno; ma è coerenza di chi si professa cattolico paragonarsi lealmente e con spirito grato con ciò che è necessario credere nelle cose essenziali. E il magistero interviene solo in ciò che fa parte di quel necessario e lo dice alla coscienza del credente, alla sua libertà. Il credente ne trarrà le conseguenze. Ampio è lo spazio per l’opinabile, ma per un cattolico non tutto si può ridurre all’opinabile. I vescovi italiani, proponendo la famosa Nota, non hanno fatto altro che il loro dovere senza essere andati in Parlamento a votare.

Ma il parlamentare, come ha ricordato il costituzionalista Leopoldo Elia, “rappresenta la nazione senza vincolo di mandato”
Scola osserva che certamente non tocca alla Chiesa determinare la norma concreta e specifica dell’espressione tecnico - giuridica della legge; però se una legge mette in campo un valore non negoziabile, una questione di principio, allora potrò verificare se questa legge rispetta o no questo principio. Quando affermo un principio, un valore non negoziabile, di fatto giudico la sostanza della legge; altrimenti sarebbe come dire che la verità non ha peso sulla realtà. Qui c’è in gioco che cos’è la libertà e l’eticità, cos’è autonomia e che cos’è autorità. Scola coglie una forte analogia in rapporto al riconoscere la necessità dell’anima sulle questioni del vero e del bene che non frena ma arricchisce la ragione teorico - scientifica empiricamente verificabile delle scienze. Scola dice: giustamente, se fossi uno scienziato, io mi ribellerei di fronte a un’ingerenza, che fissi dall’esterno i limiti della scienza fondata sulla ragione teorico - scientifica. Ma tocca a me, in quanto uomo, in quanto io aperto alla realtà in tutti i fattori o verità che viene anche e soprattutto dalla ragione speculativa riguardo al vero e al bene e che pratico la scienza, riconoscere quei limiti oggettivi e per questo sarò tanto più grato alla comunità ecclesiale cui liberamente appartengo e all’autorità che reggono e sorreggono la mia comprensione di chi è ogni uomo e alla luce del Verbo incarnato e alla luce della ragione speculativa e quindi dicibile, comprensibile da tutti. Lo stesso discorso vale, analogamente, per la politica. Scola afferma che ormai, di fronte a un liberalismo fondamentalista che assolutezza la libertà individuale cui tutto subordinare per cui nulla si può proibire: la libertà non è solo “libertà da”, ma anche “libertà per”; e per esserlo deve riconoscere la convenienza di una qualche dipendenza, come avviene in una famiglia tra marito, moglie e figli.

Ma come accettare i limiti dei valori non negoziabili che la Chiesa di Benedetto XVI richiama in un sistema democratico? Veronesi rimprovera sul testamento biologico.
Ma i valori non negoziabili ci sono anche nella Costituzione italiana come fondamento assoluto del sistema democratico: non negoziabile è il valore di ogni persona concreta, la famiglia fondata sul matrimonio naturale tra uomo e donna, la libertà di educazione. Scola afferma che le ragioni di Veronesi sul testamento biologico non sembrano convincenti. Da varie parti se ne sottolinea la debolezza. Nessuno discute la competenza della ragione tecnico - scientifica di Veronesi, ma come il teologo non deve improvvisarsi scienziato, così lo scienziato non deve improvvisarsi filosofo o teologo. La morte non è un evento puramente biologico, ma il momento del più grande abbandono personale a Dio.

Un cattolico oggi in Italia può ancora votare a sinistra o la Chiesa gli chiede una scelta diversa?
Ogni cattolico quando vota non può non cercare una coerenza con la visione dell’uomo che concretamente vive, a partire dalla sua fede cattolica, e giocare quindi questa sua concezione di vita buona nel dibattito pubblico. Da questo punto di vista, il fatto che la Chiesa non si schieri è oggettivo. Ma Scola rilancia la palla nell’altro campo: quale idea di uomo e di società un partito porta avanti? Allora la Chiesa potrà porre la domanda dal momento che la legittima differenziazione politica per i cattolici non può diventare una diaspora culturale: questa visione di che cos’è ogni essere umano concreto dall’inizio fino al termine naturale - cioè questa concezione della avita, della famiglia, dell’amore, della sessualità, della nascita, della cura, della morte, del lavoro, dell’equa distribuzione dei beni - è o non è per il bene di ogni uomo? Questo non significa imporre qualche cosa dall’esterno, ma favorire la verità da cui proviene la libertà, la responsabilità di una libera scelta adulta. Neppure il politico ateo e anticlericale può vivere e scegliere senza un riferimento. Sentirà anche lui, inevitabilmente, il peso delle appartenenze con il condiviso e non condiviso, dei legami con l’opinione corrente, con il suo segretario di partito, con il suo elettorato non sempre unito. E’ ingenuo pensare che la libertà sia spezzare i legami, anziché vivere con autenticità i legami veri. Non esiste e non può esistere l’uomo - atomo, allo stato puro, soprattutto a livello politico, capace di produrre dal nulla una decisione libera.

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"