Laicità cristiana…
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«La diffusione della fede mediante la violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima. (…) La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente (laicità), non invece della violenza e della minaccia. (…)
L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza (cioè senza laicità) è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.
La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto della Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: “In principio era il lògos” (…) Dio agisce con logos. Logos significa insieme ragione e parola; una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con questo ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (At 16,6-10), può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio del roveto ardente, che distacca questo Dio dall’insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo “Io sono”, il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso. Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all’interno dell’Antico Testamento, una nuova maturità durante l’esilio, dove il Dio d’Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: “Io sono”. Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell’uomo (Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l’adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l’epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino a un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella grande letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell’Antico Testamento, realizzata in Alessandria - la “Settanta” - è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in modo che, per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione, ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione (o laicità) (…) Non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio» [Benedetto XVI, Regensburg, 12 settembre 2006].
Per onestà il Papa, dopo questa presentazione della laicità cioè dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione, annota che nel tardo Medioevo si sono sviluppate tendenze che rompono questa sintesi o laicità tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò, con Duns Scoto, una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei successivi sviluppi, portò all’affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Sono posizioni che possono avvicinarsi alla dottrina musulmana fino all’immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene, non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le decisioni effettive: diverrebbe impossibile quindi ogni laicità.
Tre deellenizzazioni: dramma per la laicità
Impossibile la laicità con la deellenizzazione del XVI secolo fino all’affermazione di Kant di dover accantonare il pensare per far posto alla fede. Così anche la teologia liberale del XIX e XX secolo che avvia la riduzione idealistico- platonica della ragione alla sola matematizzazione del sapere e all’empiricamente verificabile escludendo gli interrogativi propriamente umani e quindi ogni metafisica - religiosa, cioè quelli del “da dove” e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica. In questo modo l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale per cui la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell’ethos non la riguardano più. In questo contesto è stravolto il significato di laicità. Nata come termine per designare il fedele cattolico, il battezzato, con l’epoca moderna, specialmente in Europa (in Francia e in Italia in particolare), la parola laico subisce a poco a poco una sorta di inversione di significato. Con tale parola non si indica più chi liberamente giunge alla verità della fede, membro dl popolo di Dio (laikos, “colui che è del popolo”), bensì l’agnostico, il non credente, soprattutto colui che, considerando la religione un fatto eminentemente privato, è contrario all’idea che la religione faccia sentire il suo peso nella sfera pubblica attraverso il suo contributo di ragionevolezza o laicità. In questo senso i difficili rapporti tra Stato moderno e Chiesa cattolica rappresentano soltanto un lato della complessa vicenda storico-culturale della laicità, la quale investendo la dialettica moderna tra illuminismo e religione, tra fede e ragione, mette in gioco una sana laicità fondata sulle grandi tradizioni metafisico-religiose sulle quali il nostro Occidente, la nostra modernità e laicità occidentale si sono sviluppati. Un nome valga per tutti: Jurgen Habermas. Soltanto pochi anni addietro questi scriveva della fine della religione, grazie al dispiegamento dello spirito moderno; oggi con molte esitazioni e incertezze, riconosce la “forza delle tradizioni religiose” nell’articolare certe “intuizioni morali”, certi “possibili contenuti di verità” capaci di essere tradotti “in un linguaggio generalmente accessibile” cioè laico. Significative sono anche le prese di posizione di Nikolas Sarkozy in ordine alla necessità finalmente di ripensare la “laicità francese” e il ruolo pubblico della religione, come pure quelle di Marcello Pera e Giuliano Ferrara nel dibattito italiano. Ma è soprattutto grazie al magistero di Giovanni Paolo II e del suo successore, Benedetto XVI, che fede e ragione, illuminismo e religione riguadagnano il centro della scena al fine di valorizzare il contributo in termini di libertà e autonomia individuale, la differenziazione di religione e politica cioè di laicità della cultura moderna. All’università di Regensburg Benedetto XVI ha detto che si tratta di operare una “critica della ragione moderna dal suo interno” che “non includa assolutamente l’opinione che ora si debba tornare indietro, a prima dell’Illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna”, bensì che sappia riconoscere “senza riserve” ciò che di “valido” è stato prodotto, come ha tentato di fare il Concilio Vaticano II, “nello sviluppo moderno dello spirito”.
Ecco perché dà un giudizio fortemente critico della “terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture, si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture: Queste dovrebbero avere il diritto di tornar indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione, per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento e inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti”. Duro il giudizio di Benedetto XVI su questi tentativi alla luce anche delle prime due deellenizzazioni: “Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana e imprecisa. Il Nuovo testamento, infatti, è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco: un contatto che era maturato nello sviluppo dell’Antico Testamento. (.) le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana (cioè la laicità), fanno parte della fede stessa e ne sono sviluppi, conformi alla sua natura”.
“L’Occidente - ancora Benedetto XVI -, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire un grave danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza: è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica entra nella disputa del tempo presente”. Questo è anche il programma di una laicità cristiana che ha avviato fin dal da Vittoria, nel XV secolo, una modernità che si è dissolta cacciandosi nel vicolo cieco e del fideismo e di una ragione solo empiricamente verificabile.